da: la Repubblica
Con il pragmatismo e cinismo che sono
congeniti al capitalismo finanziario, la Borsa italiana ha accolto
l’insediamento del governo Letta con un significativo rialzo di due titoli in
particolare quello del Monte dei Paschi di Siena e quello di Mediaset. E cioè,
rispettivamente, la “banca del Pd” com’è stata ormai ribatezzata e l’azienda
privata che appartiene al leader del Pdl, Silvio Berlusconi. Due titoli, due
imprese, due partiti al governo.
Evidentemente gli investitori hanno
scommesso sulla – diciamo così – “protezione” che Monte dei Paschi e Mediaset potrebbero
ricevere dall’alleanza Pd-Pdl. O quantomeno, sul riguardo o sul trattamento di
favore di cui magari possono beneficiare. E’ ciò che accade, purtroppo, quando
la politica s’intreccia con gli affari, in quella commistione che comunemente
si chiama conflitto d’interessi: argomento o materia a cui il presidente Letta
non ha ritenuto di fare minimamente cenno nel suo discorso d’investitura in
Parlamento, benchè fosse un preciso ed esplicito impegno programmatico del Pd,
di cui lui stesso è stato finora vice-segretario.
Eppure, il conflitto d’interessi – e non
soltanto quello che fa capo a Berlusconi – è il male oscuro della vita pubblica
nazionale. La fonte principale da cui derivano in gran parte il malcostume, il
malaffare e la corruzione. L’origine, insomma, di quella “questione morale” sui
cui il povero Enrico Berlinguer predicava al vento già più di trent’anni fa.
Né tantomeno il capo del nuovo governo ha
voluto fare alcun riferimento alla cosiddetta “questione televisiva” che pure
implica diversi aspetti politici, economici e culturali. Non è neppure quella
una priorità assoluta, ma tuttavia – come si sa – è strettamente connessa al
conflitto d’interessi, al pluralismo dell’informazione e alla libera
concorrenza. Un “contesto ambientale”, un habitat mediatico, in cui maturano
consumi e costumi, comportamenti collettivi, scelte politiche ed elettorali.
Non è certamente un caso che, proprio alla
vigilia dell’intesa Pd-Pdl, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri abbia
sentito il bisogno di lanciare un appello affinché “la vecchia e nuova politica
non distruggano la tv”. Per la prima volta nella sua storia, l’azienda del
Biscione ha chiuso il 2012 con un rosso di 287 milioni di euro e ora di aspetta
probabilmente un mano dal governo. Un “aiutino”, come si dice nei giochi
televisivi a quiz, magari sul costo delle frequenze o sugli indici di
affollamento pubblicitario.
Sul fronte opposto, anzi sullo stesso
fronte, anche il “partito trasversale della Rai” attende un segnale di conforto
o d’incoraggiamento. L’azienda di viale Mazzini accusa un “buco” di 245 milioni
e prevede di coprirlo in 24 mesi, quasi in coincidenza con la scadenza
ipotizzata da Letta per le riforme istituzionali, arrivando così al pareggio
alla fine del 2014. Un ritocco al canone d’abbonamento, qualche altro taglio di
personale o “maquillage” contabile e il bilancio si mette a posto.
Quello guidato da Enrico Letta sarà,
dunque, il nuovo governo del vecchio duopolio? L’alleanza Pd-Pdl come Raiset?
Ma sì: basta abolire l’Imu, o meglio ancora restituirla; ridurre il costo del
lavoro, sistemare gli esodati, bloccare l’Iva, aumentare il fondo di
solidarietà per i mutui e magari elargire il “reddito minimo” ai più bisognosi,
per distribuire un po’ di “panem et circenses” a destra e a sinistra.
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