da: Il Fatto Quotidiano
Il
ministro Lupi e i trasporti: dov’è finita la concorrenza?
di Marco
Ponti
Il nuovo super-ministro per le
infrastrutture ed i trasporti, on. Maurizio Lupi, è del Popolo delle
Libertà, ma, come tutti i ministri del partito che sembra avere il liberalismo
nel nome stesso, non sembra manifestare alcuna tendenza liberale, il che
dovrebbe fare molto riflettere la nostra sinistra, soprattutto quella che
attribuisce al PdL tendenze e valori liberali che mai si sono sognati di avere.
Infatti il programma che il ministro ha
presentato il 21 maggio alla Commissione parlamentare della Camera preposta al
settore, nomina la parola “concorrenza” una volta sola, e in uno dei titoli dei
diversi capitoli. Poi il termine scompare per sempre, né è sostituito da pur
remoti sinonimi.
Ma c’è un altro tema cruciale per il
settore, che è quello della costituzione della sempre rimandata Autorità
indipendente per il settore. Bene, questa Autorità è nominata in una sola riga,
su 17 pagine di testo, e l’ex-ministro PdL dei trasporti Matteoli, che
ancora ha un ruolo governativo per il settore, si è affrettato a dire che non
serve.
Ora, c’è un nesso molto forte tra
regolazione e concorrenza: vediamo di spiegare perché.
La concorrenza (non la
privatizzazione, che senza concorrenza è un disastro!) serve a rendere le
imprese pubbliche o private più efficienti, cioè a ridurre i costi per lo
Stato, cioè a liberare risorse per altri servizi pubblici. E questo risultato
si può ottenere senza toccare minimamente la socialità dei servizi. Prendiamo
per esempio i trasporti pubblici: se si mette in gara un servizio urbano
fissandone prima le caratteristiche, la qualità e le tariffe, vincerà l’impresa
che chiede meno sussidi totali per il periodo di validità della gara, di solito
5-6 anni. Gli utenti manco se ne accorgono, o forse stanno ancor meglio di
prima.
La regolazione riguarda le
infrastrutture (autostrade, linee ferroviarie, aeroporti ecc.), che non si
possono affidare al libero mercato: occorre però stabilire regole stringenti
che proteggano gli utenti da rendite di monopolio se i gestori sono privati, o
da inefficienze se sono pubblici.
Concorrenza e regolazione sono entrambe
odiatissime dai gestori attuali di infrastrutture e servizi, ma farebbero molto
piacere agli utenti (e anche ai contribuenti, se ci son di mezzo i sussidi).
Un altro tema importantissimo citato in
questo documento programmatico sono gli alti costi del trasporto per i
cittadini e per le imprese. Appare davvero straordinario che le cause di questi
alti costi sono sempre attribuiti alla scarsità di infrastrutture o di buone
organizzazioni logistiche, e mai alle due cause principali. Una è la già citata
scarsa concorrenza e regolazione, e l’altra, evidente a chiunque, le altissime
tasse che gravano sul modo di trasporto stradale, che serve il 90% dei
movimenti di merci e passeggeri (e che al massimo potrà scendere all’85%….). Da
dei recenti dati Istat emerge poi un dato che conferma quello che lo scrivente
ha sempre sostenuto: le imposte sulla benzina incidono assai di più sui redditi
dei poveri che su quelli dei ricchi. Cioè, per dirla con gli economisti, sono
“regressive”, e forse anche spiegano il mistero della drammatica crisi del
settore automobilistico, con calo di acquisti e percorrenze molto superiori
alla media degli altri consumi.
Dulcis in fundo, riemergono le “grandi
opere” berlusconiane come possibile fonte del rilancio dell’occupazione.
Ora le “grandi opere” per ogni Euro pubblico speso, occupano pochissima gente,
e in tempi lunghi, mentre c’è assoluto bisogno del contrario: occupare tanta
gente in tempi brevi. E di Euro pubblici ce ne sono pochi da spendere.
Per le grandi opere si invoca poi la
“golden rule”, cioè che l’Europa consenta di non conteggiare queste spese nel
deficit nazionale, nell’ipotesi che, visto che sono utilissime per la crescita
dell’economia, non si tratti di vera spesa pubblica, ma solo di un anticipo per
il benessere futuro, al contrario della spesa corrente (stipendi ecc.). Ma a
giudicare dalle due opere maggiori menzionate, la TAV Lione-Torino e la AV
Napoli-Bari, l’ipotesi che non siano costosissimi sprechi di denaro pubblico
appare davvero remota: si pensi che per nessuna delle due è previsto un minimo
rientro finanziario dell’investimento, messo tutto a carico delle esangui
finanze pubbliche, cioè dei contribuenti. Infatti se fossero messe delle
tariffe tali da far recuperare allo Stato anche una piccola parte
dell’investimento, i pochi utenti previsti scapperebbero come lepri, né ci
sarebbero lupi capaci di riacciuffarli.
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