da: Il Fatto Quotidiano
Nuova
Siae, la voce di Battisti riecheggia fuori dal coro
di Guido
Scorza
Sono stati poco più di 500 su 94820 –
neppure l’1% – gli associati della Siae che lo scorso primo marzo
hanno partecipato, a Roma, alle elezioni per la nomina del
Consiglio di Sorveglianza e sono stati meno di 3000, ovvero poco più del
3%, quelli che – non potendo raggiungere Roma – hanno delegato altri a votare
per loro.
Difficile considerare in salute un ente
pubblico a base associativa alle cui elezioni dell’organo di governo, si
registrano risultati tanto sconfortanti, almeno in termini di partecipazione.
Ed è difficile, dinanzi ai dati
incontrovertibili dell’affluenza alle urne, scrivere – come ha fatto la
Siae in un proprio comunicato stampa – che, in occasione delle elezioni
del 1° marzo, “Migliaia di persone hanno gremito l’edificio dell’Eur sin dalle
prime ore del mattino”.
Ha, invece, addirittura dell’incredibile
che si dica – come ha fatto la Federazione Autori presieduta da Gino Paoli –
che le elezioni del 1° marzo avrebbero segnato “il ritorno ad una gestione
governata dalla base associativa”.
Chi rappresenterebbe la “base associativa”
che sarebbe ritornata a governare la Siae?
Le poche centinaia di persone su quasi
centomila associati che hanno avuto il privilegio – come ha detto Vittorio
Nocenzi prendendo la parola durante l’assemblea elettorale – di
partecipare alle elezioni?
Ma la domanda che non ci si può sottrarre
dal porsi è un’altra.
La mancata partecipazione della base
associativa alle elezioni della Siae è stata un caso o il risultato di un
preciso disegno antidemocratico di chi, riscrivendo lo Statuto della
società, ha rivoluzionato leregole elettorali di sempre e previsto che
anziché votarsi negli oltre 100 uffici della società sparsi sul territorio,
quest’anno, si votasse esclusivamente a Roma?
Non c’è dubbio, infatti, che dover
necessariamente votare a Roma, nelle prime ore del mattino, di un giorno
lavorativo ha rappresentato, per decine di migliaia di associati, un
disincentivo importante ed insuperabile.
Difficile – per non dire impossibile –
comprendere le ragioni che hanno indotto la gestione commissariale della Siae
ad una scelta tanto irrazionale e tanto penalizzante per la partecipazione
della base associativa alle elezioni.
Difficile soprattutto perché per l’election
day del 1° marzo a Roma, la Siae ha speso, un milione di euro ovvero più
di quanto – “solo” 780 mila euro – aveva previsto di spendere nel 2011
lasciando votare gli associati, come di consueto, in tutti gli uffici locali.
Senza contare che tanti, troppi associati
hanno addirittura lamentato di non aver alcuna notizia dell’indizione delle
elezioni.
Tutti indici sintomatici incontrovertibili
di una frattura profonda e – almeno apparentemente incolmabile – tra
la base associativa, e chi sin qui ha governato la società: questi ultimi non
vogliono che la base associativa partecipi alla vita dell’Ente e la base
associativa, evidentemente, non ha più alcuna fiducia in chi ha governato sin
qui la società.
Ma il dato più allarmante è un altro.
Il risultato delle elezioni –
largamente annunciato e prevedibile – infatti, non lascia in alcun modo
presagire che tale frattura possa essere, in qualche modo, colmata in futuro.
Nel Consiglio di Sorveglianza è, infatti,
entrata una schiacciante maggioranza di rappresentanti nominati nelle
fila delle liste degli autori più ricchi e di quelle dei grandi
gruppi editoriali.
Questi ultimi, peraltro, nella sezione musica –
da sempre la più rilevante e rappresentativa nella Siae – hanno addirittura la
maggioranza sui rappresentanti degli autori.
Numeri e dati che rendono, purtroppo,
difficile credere che la Siae possa tornare ad essere la società italiana di
tutti gli autori ed editori.
Le elezioni del primo marzo hanno, infatti,
consegnato la società nelle mani dei grandi gruppi editoriali – in larga parte stranieri –
e degli autori multi-milionari mentre agli autori meno ricchi e, in molti casi,
più giovani così come ai piccoli editori sono andate solo briciole,
rappresentanze, poco più di testimonianze, condannate all’eterna opposizione in
seno al Consiglio di Sorveglianza.
Una situazione destinata a peggiorare se il
prossimo 18 marzo il Consiglio di Sorveglianza assegnerà solo ai più grandi ed
ai più ricchi le cinque poltrone del Consiglio di gestione che deve
eleggere.
A quel punto, davvero, la società italiana
autori ed editori potrà considerarsi un personaggio della storia della cultura
italiana perché il nuovo Ente sarà ben poco italiano ed ancor meno autorale.
La promozione e tutela del diritto
d’autore in Italia sarà consegnata definitivamente nelle mani delle multinazionali dell’editoria
musicale.
E’ questo che, purtroppo, alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dei beni e delle attività
culturali non hanno capito o non hanno voluto capire mentre firmavano il
nuovo statuto della Siae.
La società non può e non deve essere solo
una multinazionale della gestione e raccolta dei diritti d’autore governata nel
nome e nell’interesse dei grandi nomi e delle grandi etichette della musica ma
– come oggi richiesto dalla legge – il riferimento nazionale per l’intero sistema
culturale e, dunque, un soggetto che agisce ed opera per promuovere
trasversalmente l’arte e la cultura degli artisti di successo, dei giovani
emergenti e dei piccoli come dei grandi editori.
Se – come appare – la Siae perdesse tali
caratteristiche e divenisse incapace di adempiere a talefunzione pubblicistica,
non resterebbe altra soluzione che sfilarle di dosso l’abito dell’ente
pubblico, sottrarla alla vigilanza di qualsivoglia amministrazione dello Stato
e, naturalmente, ad un tempo privarla di ogni potere pubblicistico e,
soprattutto, di ogni privilegio para-monopolistico di mercato.
A quel punto, infatti, diverrebbe
inevitabile riconoscere ad ogni autore ed editore la libertà di scegliere a
quale società affidare la gestione dei propri diritti e, quindi, del proprio
presente e del proprio futuro.
La Siae di un tempo sembra, oggi, cantare
il de profundis.
Una sola voce si stacca dal coro e lascia
accesa la speranza che un futuro, anche questa Siae, possa averlo ancora.
E’ quella degli eredi di Lucio
Battisti che il primo marzo hanno negato il loro voto ai grandi autori ed
editori e lo hanno attribuito alle liste dei più piccoli spiegando così la
ragione della scelta: “Questo è il nostro regalo di compleanno per Lucio, che
il 5 marzo 2013 avrebbe compiuto 70 anni. Lucio, anche se era diventato
un grande autore e interprete, non era un egoista e non ha mai dimenticato di
essere stato un “piccolo” e di aver fatto tanta gavetta prima di raggiungere il
successo. Per cui siamo certi che avrebbe apprezzato questo nostro gesto di
aiuto e solidarietà nei confronti dei giovani autori e delle nuove generazioni”
C’è da augurarsi che il gesto della Signora
Battisti e di suo figlio sia seguito da tanti e che la società
che fu, tra gli altri, di Verdi, Carducci e De Amicis possa
così tornare ad essere la Siae di tutti e, soprattutto, di tutta la cultura e
non solo di quella commercialmente più preziosa ed apprezzata.
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