da: la Repubblica
Raoul,
il nuovo papà
Padre
al cinema e nella vita. Bova parla con noi del nuovo modo di essere genitore:
“non dobbiamo nascondere, ma condividere con i figli i nostri aspetti fragili.
Dobbiamo essere un punto di riferimento: stando però sempre tre passi dietro a
loro”
Timido, riflessivo,
solo un accenno di sorriso a mitigare la serietà di fondo dei pensieri e delle
parole. A dispetto dello status divistico, della bellezza evidente e del
talento affinato ogni anno di più, Raoul Bova non è uomo da grandi discorsi
pubblici. Non ama parlare di sé, o vantarsi dei risultati raggiunti. E anche in
questo colloquio con D.it, nella saletta di un albergo nel quartiere romano di
Prati, non smentisce il suo carattere schivo. Ma guai a prendere questa
naturale ritrosia per incertezza: le idee, sugli argomenti che gli stanno più a
cuore – la famiglia, la paternità, il rapporto con gli amici di una vita, le
battaglie contro la violenza sulle donne – dimostra di averle ben chiare. Sul
suo ruolo paterno, in particolare: “La figura maschile è cambiata rispetto
all’epoca dei miei genitori ed è un bene: ora noi uomini siamo meno autoritari,
meno integerrimi e monolitici. E da questa elasticità il rapporto con i figli
ne esce migliore, rinforzato: noi papà non dobbiamo nascondere, ma condividere
con loro, i nostri aspetti fragili”.
Con queste premesse, non sorprende che Raoul abbia accettato il ruolo di protagonista nella commedia sentimentale Buongiorno papà, attualmente nelle nostre sale, diretta e co-interpretata dal suo vecchio amico Edoardo Leo. È la storia di un single quarantenne sciupafemmine, senza valori e senz’anima, la cui vita viene rivoluzionata dalla scoperta di avere una figlia adolescente (Rosabell Laurenti Sellers). Certo, la situazione descritta dalla pellicola è totalmente diversa da quella dell’attore, sposato da anni con Chiara Giordano, padre di Alessandro Leon e Francesco, e co-fondatore con la moglie di un’associazione benefica, la onlus Coloriamo i sogni. Ma la sua interpretazione, su grande schermo, fa intuire come questa storia di fantasia abbia toccato molte sue corde.
Negli ultimi tempi, nel cinema come nel dibattito sui media, la figura paterna, il rapporto padre-figlio o padre-figlia hanno assunto grande centralità…
“È perché siamo noi
uomini a essere profondamente cambiati: abbiamo accettato l’idea di diventare
padri più moderni, fallibili. Persone vere, che non nascondono più i propri
difetti e i propri limiti, che cercano di parlare con i figli. Nel film c’è un
momento per me molto commovente, quando il mio personaggio dice alla figlia ‘io
non so fare il padre, aiutami tu’. Ecco, per me questo è un passaggio
fondamentale per qualsiasi papà”.
Questa sincerità ha anche i suoi rischi?
“Bè, è inevitabile:
volendo essere padri perfetti, il rischio di incartarsi è sempre dietro
l’angolo. Bisogna stare attenti a non fare né troppo, né troppo poco: guai a
esagerare. Ma rispetto all’incomunicabilità padri-figli delle generazioni
precedenti, abbiamo fatto grandi passi avanti. Anche se su questo mutamento che
viviamo in prima persona noi uomini, tendenzialmente immaturi, non riflettiamo
con facilità: anzi, di solito non arriviamo a questa consapevolezza prima dei
40-50 anni”.
Andando indietro nel tempo, lei che tipo di figlio è stato?
“Un classico bravo
figlio, ho seguito quasi sempre le direttive dei genitori, ho obbedito alle
regole anche perché sapevo che in questo modo avrei ottenuto la mia libertà; al
contrario delle mie sorelle, più portate a disobbedire, e che per questo hanno
subito maggiori restrizioni. In questo senso, il mio è stato un comportamento
più furbo”.
Davvero è stato così un bravo ragazzo? Mai una ribellione?
“La mia vera
ribellione c’è stata intorno ai 17 anni, quando ho smesso di nuotare (Raoul
praticava questo sport a livello agonistico, ndr). Ho iniziato a vivere, a
uscire dalla piscina e a guardare il mondo fuori dall’acqua. E ho cominciato
una nuova carriera, come attore”.
E
invece con i suoi figli che padre cerca di essere?
“Cerco di essere
vicino a loro, mostrando che ci sono anche cose che non so fare, che non sono
onnipotente. Stimolando la loro confidenza, e cercando di essere un punto di
riferimento: stando però sempre tre passi dietro a loro, mai mettendomi davanti
a loro. Devono trovare da soli la loro strada: i genitori non devono decidere
per te. Una non invadenza che, visto il lavoro pubblico che faccio, ritengo
particolarmente importante”.
A proposito di figure paterne: con le ultime elezioni, i cittadini sembrano aver dimostrato un bel po’ di voglia di disfarsi (politicamente parlando) dei padri, dando fiducia a parlamentari molto più giovani.
“Io non credo che il problema sia stato quello di gettare via i padri. E giudico positivo questo svecchiamento, anche se naturalmente queste persone andranno giudicate alla prova dei fatti. Io però sono ottimista, questa ventata di novità ci voleva proprio: negli ultimi tempi noi cittadini eravamo come oppressi da una cappa, con la sensazione di essere vessati, economicamente e non solo: non si può vivere in uno stato di polizia che ti mette sempre le mani nelle tasche”.
Nel Parlamento ci sono anche più donne: ma fuori del Palazzo la violenza, il femminicidio, sembrano non avere fine.
“È una piaga
devastante, che non dipende dalla cultura né dalle classi sociali. L’unica cosa
che posso dire alle donne è di denunciare immediatamente qualsiasi tentativo di
intimidazione, di sottomissione: ai primi sintomi bisogna intervenire, subito.
E dire no. Uscirne. Perché una cosa è certa: nella violenza non c’è amore”.
Nessun commento:
Posta un commento