da: La Stampa
A furia di
rinfacciare al Pd il suo tormentato conservatorismo, ci eravamo dimenticati che
in Italia esiste una nomenclatura incollata alle poltrone senza sensi di colpa:
il centrodestra. Per Lega e Pdl lo tsunami di Grillo è una brezza: non li
spaventa, non li riguarda. Il parallelo fra la nuova giunta lombarda e quella
laziale è illuminante. In Lazio il democratico Zingaretti ha scelto solo
assessori esterni, sei donne su dieci, pescate dall’università, dall’impresa e
persino (Lidia Ravera) dai bestseller. Invece Maroni ha infarcito il Pirellone
di notabili di partito, con l’eccezione di un canoista, benché da quelle parti
il ceto politico non abbia dato ultimamente il meglio di sé. E il suo vicino di
macroregione Cota? Ha rimpolpato il governo piemontese con due trombati alle
elezioni e un ineleggibile, oltre a essersi inventato un assessore con delega
al tartufo.
Possibile che la
campana della rottamazione agiti i sonni dei democratici e lasci indifferenti i
loro avversari? Qualcuno tira in ballo la differenza fra gli elettorati. Quello
di sinistra, più critico e informato, quindi più deluso dalla sua classe
dirigente. Quello di destra, più attratto dal carisma dei leader, quindi meno
sensibile all’esigenza di cambiare le facce di contorno. Io sospetto invece che
gli elettori dei due schieramenti siano esasperati allo stesso modo. Sono i
politici del centrodestra a non averlo capito. Convinti di venire sgominati
alle elezioni, hanno scambiato la propria sopravvivenza per una vittoria. Tanto
da essersi già scordati di avere lasciato per strada 6 milioni di voti, che con
un Renzi in campo sarebbero stati molti di più.
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