da: Il Fatto Quotidiano
Grillo
e le leggi fai-da-te
di Marco Lillo
Bernardo di Chartres
diceva che noi siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti, cosicché
possiamo vedere più lontano di loro non grazie alla nostra statura o
all’acutezza della nostra vista, ma perché – stando appunto sulle loro spalle –
stiamo più in alto di loro”. Grillo, prima di scrivere i suoi post sull’articolo 67 della Costituzione dovrebbe
meditare su questa massima. Ieri, il leader 5 stelle ha scritto sul suo blog: “Il
problema non è Grasso. Se, per ipotesi, il gruppo dei senatori del M5S avesse
deciso di votare a maggioranza Grasso e tutti si fossero attenuti alla scelta,
non vi sarebbe stato alcun caso. In gioco non c’è Grasso, ma il rispetto delle
regole del M5S”.
Dopo questa premessa
su una presunta libertà di autodeterminazione degli eletti che non esiste
(provate a immaginare cosa accadrebbe se i grillini decidessero a maggioranza
di votare D’Alema presidente) Grillo va al nocciolo del problema: “Nel ‘Codice
di comportamento eletti Movimento 5 Stelle in Parlamento’ sottoscritto
liberamente da tutti i candidati, al punto Trasparenza è citato: Votazioni in
aula decise a maggioranza dei parlamentari del M5S”. Non si può disattendere un
contratto. Chi lo ha firmato deve mantenere la parola data per una questione di
coerenza e di rispetto verso gli elettori”. Ecco il punto: il contratto violato
dall’eletto, quello che impone di votare secondo la scelta presa a maggioranza
dal gruppo. Anche i dissidenti che hanno votato il procuratore antimafia
Grasso, in verità, non contestano questa impostazione. Scrive
il senatore Marino
Mastrangeli: “Ho votato Grasso attenendomi al supremo principio contenuto nel
comunicato politico numero 45 scritto da Grillo l’11 agosto 2011” in cui
viene sancito il diritto di ogni elettore a rispondere “al Movimento 5 Stelle e
alla propria coscienza”. E anche il senatore Giuseppe Vacciano ci tiene a dire:
“certamente non mi trincererò dietro l’articolo 67 della Costituzione, ho
seguito la mia coscienza e sono pronto a discutere l’opportunità delle mie dimissioni”.
Altri precisano che comunque l’espulsione può essere decisa solo da tutti
i parlamentari 5stelle e poi deve essere ratificata da tutti gli iscritti sul
web.
La partita per
stabilire dove sia il giusto e lo sbagliato resta insomma tutta interna a questo
mondo un po’ claustrofobico: il contratto, il comunicato 45 e l’ordalia del popolo
grillino sul web, sono questi i riferimenti supremi del movimento, altro che la
Costituzione o i principi generali delle leggi. A Grillo si potrebbe rispondere
che un contratto che impedisce a un parlamentare di votare secondo
coscienza viola l’articolo 67 della Costituzione e che un contratto
contrario alla legge è nullo. Ma sarebbe una risposta “giuridica” mentre è
chiaro che il leader del Movimento 5stelle lamenta l’inadempimento di un patto
politico e morale, non legale.
La questione alla
fine non è Grasso ma non è nemmeno la violazione del contratto-non statuto da
parte dei senatori. Il problema è proprio il rispetto dell’articolo 67 della
Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le
sue funzioni senza vincolo di mandato”. Non a caso Grillo nel comunicato
precedente aveva chiesto di gettare a mare questo principio che risale
addirittura a Edmund Burke perché così finalmente avrebbe potuto “perseguire
penalmente e cacciare a calci dalla Camera e dal Senato” i traditori. Grillo
scriveva quel post pensando a Scilipoti ma il rischio è gettare via un principio
basilare della democrazia parlamentare assieme all’acqua sporca della
Casta.
Non è un caso se i
Padri costituenti hanno voluto l’articolo 67. La Corte costituzionale nel 1964
ha stabilito che “nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino
conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che abbia votato contro le
direttive del suo partito” per tutelare i cittadini dalla partitocrazia. Nel
1969 il Consiglio di Stato è arrivato ad annullare una delibera del consiglio
provinciale di Rieti perché i consiglieri dichiararono di essersi determinati a
votarla solo per disciplina di partito. Quella norma è ispirata non alla tutela
del posto di Scilipoti, ma a un principio alto: l’attività politica deve essere
esercizio di libertà anche nel modo in cui la volontà dei singoli partiti si
trasforma in volontà del parlamento e quindi in volontà dello Stato.
Nessun commento:
Posta un commento