mercoledì 20 marzo 2013

Marco Lillo: “Grillo e le leggi fai-da-te”



da: Il Fatto Quotidiano

Grillo e le leggi fai-da-te
di Marco Lillo

Bernardo di Chartres diceva che noi siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti, cosicché possiamo vedere più lontano di loro non grazie alla nostra statura o all’acutezza della nostra vista, ma perché – stando appunto sulle loro spalle – stiamo più in alto di loro”. Grillo, prima di scrivere i suoi post sull’articolo 67 della Costituzione dovrebbe meditare su questa massima. Ieri, il leader 5 stelle ha scritto sul suo blog: “Il problema non è Grasso. Se, per ipotesi, il gruppo dei senatori del M5S avesse deciso di votare a maggioranza Grasso e tutti si fossero attenuti alla scelta, non vi sarebbe stato alcun caso. In gioco non c’è Grasso, ma il rispetto delle regole del M5S”.
Dopo questa premessa su una presunta libertà di autodeterminazione degli eletti che non esiste (provate a immaginare cosa accadrebbe se i grillini decidessero a maggioranza di votare D’Alema presidente) Grillo va al nocciolo del problema: “Nel ‘Codice di comportamento eletti Movimento 5 Stelle in Parlamento’ sottoscritto liberamente da tutti i candidati, al punto Trasparenza è citato: Votazioni in aula decise a maggioranza dei parlamentari del M5S”. Non si può disattendere un contratto. Chi lo ha firmato deve mantenere la parola data per una questione di coerenza e di rispetto verso gli elettori”. Ecco il punto: il contratto violato dall’eletto, quello che impone di votare secondo la scelta presa a maggioranza dal gruppo. Anche i dissidenti che hanno votato il procuratore antimafia Grasso, in verità, non contestano questa impostazione. Scrive
il senatore Marino Mastrangeli: “Ho votato Grasso attenendomi al supremo principio contenuto nel comunicato politico numero 45 scritto da Grillo l’11 agosto 2011” in cui viene sancito il diritto di ogni elettore a rispondere “al Movimento 5 Stelle e alla propria coscienza”. E anche il senatore Giuseppe Vacciano ci tiene a dire: “certamente non mi trincererò dietro l’articolo 67 della Costituzione, ho seguito la mia coscienza e sono pronto a discutere l’opportunità delle mie dimissioni”. Altri precisano che comunque l’espulsione può essere decisa solo da tutti i parlamentari 5stelle e poi deve essere ratificata da tutti gli iscritti sul web.
La partita per stabilire dove sia il giusto e lo sbagliato resta insomma tutta interna a questo mondo un po’ claustrofobico: il contratto, il comunicato 45 e l’ordalia del popolo grillino sul web, sono questi i riferimenti supremi del movimento, altro che la Costituzione o i principi generali delle leggi. A Grillo si potrebbe rispondere che un contratto che impedisce a un parlamentare di votare secondo coscienza viola l’articolo 67 della Costituzione e che un contratto contrario alla legge è nullo. Ma sarebbe una risposta “giuridica” mentre è chiaro che il leader del Movimento 5stelle lamenta l’inadempimento di un patto politico e morale, non legale.
La questione alla fine non è Grasso ma non è nemmeno la violazione del contratto-non statuto da parte dei senatori. Il problema è proprio il rispetto dell’articolo 67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Non a caso Grillo nel comunicato precedente aveva chiesto di gettare a mare questo principio che risale addirittura a Edmund Burke perché così finalmente avrebbe potuto “perseguire penalmente e cacciare a calci dalla Camera e dal Senato” i traditori. Grillo scriveva quel post pensando a Scilipoti ma il rischio è gettare via un principio basilare della democrazia parlamentare assieme all’acqua sporca della Casta.
Non è un caso se i Padri costituenti hanno voluto l’articolo 67. La Corte costituzionale nel 1964 ha stabilito che “nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che abbia votato contro le direttive del suo partito” per tutelare i cittadini dalla partitocrazia. Nel 1969 il Consiglio di Stato è arrivato ad annullare una delibera del consiglio provinciale di Rieti perché i consiglieri dichiararono di essersi determinati a votarla solo per disciplina di partito. Quella norma è ispirata non alla tutela del posto di Scilipoti, ma a un principio alto: l’attività politica deve essere esercizio di libertà anche nel modo in cui la volontà dei singoli partiti si trasforma in volontà del parlamento e quindi in volontà dello Stato.

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