giovedì 21 marzo 2013

Luca Ricolfi: “La pagliuzza e la trave”


da: La Stampa

La pagliuzza e la trave
di Luca Ricolfi

L’altro ieri, collegati con il programma Ballarò, i nuovi presidenti di Camera e Senato (Piero Grasso e Laura Boldrini) hanno fatto la loro prima mossa politico-mediatica. Felici e sorridenti, come due scolaretti al loro primo giorno di scuola, hanno dichiarato a milioni di telespettatori-elettori che, loro due, lo stipendio se lo autoridurranno (del 30%). Inoltre cercheranno di raddoppiare la produttività dei parlamentari, facendoli lavorare anche il lunedì e il venerdì. E infine proporranno un abbassamento degli stipendi non solo dei deputati e dei senatori, ma anche del personale di Camera e Senato, le cui retribuzioni sono «molto alte». E qui, pudicamente, hanno aggiunto che quest’ultima riduzione, coinvolgendo dei lavoratori, andrà negoziata con i sindacati.  

È scontato che una mossa del genere non può che aumentare la già notevole popolarità dei due neo-eletti presidenti, di cui un po’ tutti hanno sottolineato le qualità, ma soprattutto la non appartenenza al ceto politico professionale. Saremmo tutti felici che la medesima mancanza di attaccamento ai privilegi della casta fosse manifestata un po’ da tutto il ceto politico, e non solo da chi è appena entrato a farvi parte. E tuttavia, a mio parere, la campagna per l’autoriduzione degli stipendi dei politici ha anche qualche aspetto problematico

Non mi riferisco tanto ai contenuti delle proposte, su cui peraltro ci sarebbe da discutere (in un Paese inflazionato dalle leggi, l’idea di un Parlamento che legifera anche il lunedì e il venerdì più che un sogno è un incubo). Quel che mi lascia perplesso è la penosa gara a chi è più puro, più immacolato, meno politico, che si sta scatenando fra i politici stessi. Era già abbastanza ridicolo vedere Bersani e i suoi inseguire i grillini sul loro terreno, con la tesi secondo cui l’autoriduzione dei parlamentari del Pd a favore del partito sarebbe uguale o superiore a quella dei parlamentari grillini a favore del Movimento Cinque Stelle. Ma ho trovato semplicemente umiliante (per le istituzioni) il ping pong fra il duo Boldrini-Grasso e Grillo, con i primi che non perdono occasione per sottolineare che loro non sono casta, «come il 99% degli italiani», e il secondo che li invita a ridursi lo stipendio ancora di più (il 30% non basta, la riduzione deve essere almeno del 50%). Una conferma, se ve ne fosse bisogno, che a fare i puri si trova sempre qualcuno che si crede più puro di te. 

Non mi sembra un grande inizio. Il problema dei costi della politica esiste, ma forse sarebbe meglio sottrarlo alla propaganda. Un manipolo di parlamentari che pensa di attrarre voti, suscitare consensi, o guadagnare in popolarità perché trasferisce una parte dello stipendio al suo gruppo, perché pranza al sacco, o arriva in Parlamento in bicicletta, va bene per dare un po’ di lavoro ai giornalisti e ai fotografi ma non serve a cambiare le cose. Per essere veramente utile, una riduzione dei costi della politica dovrebbe essere drastica nei redditi individuali percepiti, ma soprattutto ampia nella platea dei destinatari. Drastica negli emolumenti perché solo così si terrebbero lontani dalla politica quanti abbracciano tale carriera solo per i redditi che offre. Ampia nel numero di soggetti toccati perché solo così le risorse che si potrebbero risparmiare avrebbero un impatto macroeconomico non trascurabile (diversi miliardi di euro). Da questo punto di vista le (poche) autoriduzioni volontarie di alcuni politici in vista servono a ben poco, mentre molto servirebbero leggi che agissero anche sull’immenso arcipelago di politici locali, consulenti, faccendieri, fornitori, ditte appaltatrici, personale di servizio, ex politici in pensione. Giusto per dare un ordine di grandezza, l’apparato complessivo della politica ci costa almeno 20 volte l’ammontare totale degli stipendi dei parlamentari. I cittadini paiono vedere assai bene la pagliuzza dei costi del Parlamento, ma sembrano ben poco attenti alla trave dell’apparato politico considerato nel suo insieme.  

Da questo punto di vista hanno fatto assai bene i nuovi presidenti della Camere, dopo la boutade un po’ piaciona dell’autoriduzione, ad attirare l’attenzione sui costi e sui privilegi del personale che ha la fortuna di lavorare al servizio della politica anziché di una normale impresa privata. Vedremo se i sindacati sapranno raccogliere la sfida, o ripeteranno anche questa volta il solito copione, secondo cui sono solo i dirigenti e gli alti funzionari a doversi fare carico dei problemi della Pubblica Amministrazione. Ma vedremo, soprattutto, se la politica – oltre a trovare il coraggio di ridurre i propri costi – troverà la chiarezza per indicare su quale obiettivo intende convogliare le risorse così liberate. Sapere che, come oggi accade, le (rare) rinunce dei singoli finiscono nelle casse di un partito, di un movimento o di un gruppo parlamentare ci conforta ben poco. Molto più ci conforterebbe sapere che i risparmi sono regolati da una legge, sono ingenti, e permettono all’Italia di risolvere almeno uno dei suoi innumerevoli problemi.  

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