lunedì 25 marzo 2013

Francesco Guccini: “L’Ultima Thule, così ho cantato le mie radici”



da: La Stampa

Guccini: “L’Ultima Thule
Così ho cantato le mie radici”
Un documentario sulla registrazione del suo disco al mulino di Pavana “Luogo mitico della mia infanzia”
di Marinella Venegoni


Il set gucciniano stasera è quello tradizionale della sua biografia bolognese, la trattoria da Vito a pochi passi da via Paolo Fabbri 43, la vecchia casa ma anche un disco indimenticato. Più abitudinari di Guccini non ce n’è al mondo, per questo nell’immaginario collettivo i suoi luoghi topici sono proprio Vito dai frequentatori stravaganti, e Pàvana sull’Appennino tosco-emiliano, dove ormai il Maestrone vive. Stasera da Vito maturità e infanzia si riuniscono, e insieme con la vecchiaia che incombe danzano la vita.  
Tempus fugit. Nella tavolata apparecchiata come per cena il vino tarda ad arrivare, e Guccini racconta la novità, un film in dvd in uscita oggi che è un riassunto della sua esistenza e del suo ultimo (ma ultimo davvero) album, intenso e malinconico, L’ultima Thule. Presentato con tifo di estimatori al cinema Odeon poche ore dopo, riprende il concetto dell’isola leggendaria dell’esploratore greco Pitea: s’intitola La mia Thule. La Thule di Francesco è quel Mulino dei nonni a Pàvana, solitario fra torrente e castagni, di cui conosce ogni pietra. Oggi è diventato un bed&breakfast, e i cugini/gestori gliel’han prestato
per incidere l’album con i musicisti, trasformando le stanze in una sala di registrazione mai così calda e accogliente. «E qui da solo penso al mio passato/vado a ritroso e frugo la mia vita/una saga smarrita ed infinita/di quel che ho fatto, di quello che è stato», canta nella canzone struggente. La canzone è un’astrazione amara, non c’è traccia di solitudine nel film, che anzi è come un regalo al Guccio di sua moglie Raffaella, coproduttrice, che ora da Vito lo affianca bella come un cameo antico, e spiega fiera l’idea del racconto nato intorno alle vicende e ai luoghi di lui: «Lavora con i musicisti da 40 anni, c’è un’intesa profonda. Gli artisti hanno le paturnie, a volte si alzano storti, ma vederli insieme al Mulino dell’infanzia è stata un’esperienza. Francesco è pigro, ha bisogno di un posto dove riconoscersi, insonorizzare non è stato semplice, ma si sentono l’amicizia, la condivisione, gli scazzi e la noia».

Magari si vorrebbe vedere il viso della donna che fa il sugo, o dell’uomo che taglia la frutta mentre accanto nasce una canzone. Ma in questo video prolungato e affettuoso, con unica nota inquieta l’assenza dell’amata figlia Teresa, sono altre le cose che contano. Guccini, quando comincia finalmente a parlare, è come un fiume: «Per fortuna il Mulino ha retto alla prova, anche se nessuno lo conosce bene come me: dove c’era la batteria di Ellade, entravano muli e somari con sacchi di grano; dove Flaco suonava la chitarra c’era il magazzino. Io ho cantato nella sala buona, dove raramente arrivava qualche personaggio importante, i miei cugini ci hanno dato pane salame e vino e non mi sono neanche accorto della pesantezza del disco». 

Il bed&breakfast, rivela, «è sempre pieno perché ho rotto le palle al mondo». Ma Pàvana non è più la stessa: «Hanno chiuso i sarti, il ristorante fatica, ma è una società di pensionati e con l’orto si salvano». In realtà, confessa, non è più lo stesso neanche Vito: «Non c’è quel giro che c’era, soprattutto la sera, poi non si può più fumare». Anche per questo esce meno. 

Ma l’attualità spinge. Francesco è diventato anche il nome del Papa... «Quando urlavano “Francesco Francesco” in tv, pensavo: “L’ho già sentito, anche se in minore”. Flaco, che è argentino, mi ha mandato un sms: “Habemus Pampam”». E adesso tocca al Quirinale: ha un’idea? «Da bolognese, non mi spiacerebbe Prodi. Ma è una questione anche del Governo, ci sono grosse difficoltà. Questi grillini da una parte mi danno un’impressione positiva e di rinnovamento, ma mi lascia perplesso che si chiudano in modo così feroce dentro le loro regole». Ricorda che quando fu votato Napolitano presidente, prese due voti pure lui, Guccini: «Mi raccontò poi Prodi che uno andò smarrito e non segnato, sennò passavo alla storia». 

Conferma che non farà più dischi, neanche concerti, ma una ultima canzone per i Nomadi sì, per finire come ha cominciato: «Non ho più voglia di suonare, mi fanno subito male i polpastrelli, e poi non sono Aznavour che ha cent’anni e gira il mondo. Mi stanco sul palco. Ho altro da fare, il secondo dizionario delle cose perdute, un giallo con Machiavelli. Scrivo con facilità, mi piace, la chitarra son mesi che la guardo e non la tocco». Nelle sue giornate, entra il pensiero della musica? «No». 

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