da: La Stampa
Guccini:
“L’Ultima Thule
Così
ho cantato le mie radici”
Un
documentario sulla registrazione del suo disco al mulino di Pavana “Luogo
mitico della mia infanzia”
di Marinella
Venegoni
Il set gucciniano stasera è quello
tradizionale della sua biografia bolognese, la trattoria da Vito a pochi passi
da via Paolo Fabbri 43, la vecchia casa ma anche un disco indimenticato. Più
abitudinari di Guccini non ce n’è al mondo, per questo nell’immaginario
collettivo i suoi luoghi topici sono proprio Vito dai frequentatori
stravaganti, e Pàvana sull’Appennino tosco-emiliano, dove ormai il Maestrone
vive. Stasera da Vito maturità e infanzia si riuniscono, e insieme con la
vecchiaia che incombe danzano la vita.
Tempus fugit. Nella tavolata apparecchiata
come per cena il vino tarda ad arrivare, e Guccini racconta la novità, un film
in dvd in uscita oggi che è un riassunto della sua esistenza e del suo ultimo
(ma ultimo davvero) album, intenso e malinconico, L’ultima Thule. Presentato
con tifo di estimatori al cinema Odeon poche ore dopo, riprende il concetto
dell’isola leggendaria dell’esploratore greco Pitea: s’intitola La mia Thule.
La Thule di Francesco è quel Mulino dei nonni a Pàvana, solitario fra torrente
e castagni, di cui conosce ogni pietra. Oggi è diventato un bed&breakfast,
e i cugini/gestori gliel’han prestato
per incidere l’album con i musicisti,
trasformando le stanze in una sala di registrazione mai così calda e
accogliente. «E qui da solo penso al mio passato/vado a ritroso e frugo la mia
vita/una saga smarrita ed infinita/di quel che ho fatto, di quello che è
stato», canta nella canzone struggente. La canzone è un’astrazione amara, non
c’è traccia di solitudine nel film, che anzi è come un regalo al Guccio di sua
moglie Raffaella, coproduttrice, che ora da Vito lo affianca bella come un
cameo antico, e spiega fiera l’idea del racconto nato intorno alle vicende e ai
luoghi di lui: «Lavora con i musicisti da 40 anni, c’è un’intesa profonda. Gli
artisti hanno le paturnie, a volte si alzano storti, ma vederli insieme al
Mulino dell’infanzia è stata un’esperienza. Francesco è pigro, ha bisogno di un
posto dove riconoscersi, insonorizzare non è stato semplice, ma si sentono
l’amicizia, la condivisione, gli scazzi e la noia».
Magari si vorrebbe vedere il viso della
donna che fa il sugo, o dell’uomo che taglia la frutta mentre accanto nasce una
canzone. Ma in questo video prolungato e affettuoso, con unica nota inquieta
l’assenza dell’amata figlia Teresa, sono altre le cose che contano. Guccini,
quando comincia finalmente a parlare, è come un fiume: «Per fortuna il Mulino
ha retto alla prova, anche se nessuno lo conosce bene come me: dove c’era la
batteria di Ellade, entravano muli e somari con sacchi di grano; dove Flaco
suonava la chitarra c’era il magazzino. Io ho cantato nella sala buona, dove
raramente arrivava qualche personaggio importante, i miei cugini ci hanno dato
pane salame e vino e non mi sono neanche accorto della pesantezza del
disco».
Il bed&breakfast, rivela, «è sempre
pieno perché ho rotto le palle al mondo». Ma Pàvana non è più la stessa: «Hanno
chiuso i sarti, il ristorante fatica, ma è una società di pensionati e con
l’orto si salvano». In realtà, confessa, non è più lo stesso neanche Vito: «Non
c’è quel giro che c’era, soprattutto la sera, poi non si può più fumare». Anche
per questo esce meno.
Ma l’attualità spinge. Francesco è
diventato anche il nome del Papa... «Quando urlavano “Francesco Francesco” in
tv, pensavo: “L’ho già sentito, anche se in minore”. Flaco, che è argentino, mi
ha mandato un sms: “Habemus Pampam”». E adesso tocca al Quirinale: ha un’idea?
«Da bolognese, non mi spiacerebbe Prodi. Ma è una questione anche del Governo,
ci sono grosse difficoltà. Questi grillini da una parte mi danno un’impressione
positiva e di rinnovamento, ma mi lascia perplesso che si chiudano in modo così
feroce dentro le loro regole». Ricorda che quando fu votato Napolitano
presidente, prese due voti pure lui, Guccini: «Mi raccontò poi Prodi che uno
andò smarrito e non segnato, sennò passavo alla storia».
Conferma che non farà più dischi, neanche
concerti, ma una ultima canzone per i Nomadi sì, per finire come ha cominciato:
«Non ho più voglia di suonare, mi fanno subito male i polpastrelli, e poi non
sono Aznavour che ha cent’anni e gira il mondo. Mi stanco sul palco. Ho altro
da fare, il secondo dizionario delle cose perdute, un giallo con Machiavelli.
Scrivo con facilità, mi piace, la chitarra son mesi che la guardo e non la
tocco». Nelle sue giornate, entra il pensiero della musica? «No».
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