Le banche d’affari hanno bisogno di ben
altro che di questi comunicati spacciati
per intervista dell’ex badato da tata Confalonieri. Ciò
premesso, Piersilvio stia tranquillo. Napolitano
sta preparando l’ennesimo governo a “larghe intese” con incorporato “salvacondotto
giudiziario e dell’azienda personale” per il più grande statista del
macchiettismo italiano: Silvio Berlusconi
Nessuno ha interesse a “distruggere Mediaset indebolendo ulteriormente il sistema
industriale ed editoriale italiano”. Al contrario, c’è qualcuno che ha
interesse a tutelare solo i propri affari aziendali e a mantenere il controllo
dei telespettatori mononeuronici, a discapito dell’equità e correttezza dell’intero
sistema mediatico.
Ogni riferimento a Silvio Berlusconi non è
puramente casuale. Se non è pensabile
indebolire Mediaset non è più accettabile che ogni tentativo – per ora solo
a parole – di riformare il sistema dei
media sia tacciato da Berlusconi
padre e dall’ex badato da tata
Confalonieri come “colpire Mediaset”.
da: La Stampa
Pier
Silvio Berlusconi “Tagli e nuovi programmi per battere la crisi”
Mediaset sta per presentare il primo
bilancio in rosso. Il vice presidente: cambiamo l’offerta delle nostre reti
di Luca Ubaldeschi
La prossima
settimana Mediaset presenterà il primo bilancio in rosso della sua storia -
gli analisti parlano di un passivo di circa 45 milioni -, ma
Pier Silvio Berlusconi è fiducioso di aver
trovato la ricetta per portare l’azienda di cui è vice presidente lontano
dalle secche di una recessione aggravata, spiega, «da un’altra emergenza,
l’instabilità politica».
Annuncia «una sorta di rivoluzione» per
Mediaset, «che già da alcuni anni sta lavorando per innovare la propria
offerta, dalla sola tv generalista a un sistema multimediale integrato per
creare un gruppo più dinamico e moderno. Oggi siamo pronti a cogliere tutte le
nuove opportunità che si presenteranno dopo la crisi». I dettagli del piano che
cambia l’offerta televisiva li riassume in uno slogan: «Il 2013 sarà l’anno zero della nuova Mediaset».
I
conti in rosso sono però un brutto colpo. E’ solo colpa della crisi o c’è stato
qualche errore di strategia?
«Dipendono totalmente dalla situazione economica, dalla crisi devastante. Noi
viviamo di pubblicità e il mercato pubblicitario in Italia è passato da 9
miliardi a 7 in soli due anni. Sono scomparsi 2 miliardi».
Ma
non è anche che la tv generalista sta passando di moda?
«Al contrario. E’ l’unica che riesce a
coinvolgere l’intero Paese, anche sui social network è al centro
dell’attenzione. E, crisi a parte, ha ancora una grande forza in termini di
ricavi e utili. Assieme a Internet, che però ha un’offerta iper-frammentata, la
tv sarà l’unico mezzo a crescere ancora: i contenuti video sono già in grado di
vivere sulle nuove piattaforme digitali. Certo, di fronte al calo di mercato
che le ho citato, siamo intervenuti per tempo con un piano di trasformazione
strutturale».
Parla
del taglio dei costi?
«Esatto. Dopo tante iniziative di sviluppo,
possiamo razionalizzare. In 3 anni,
Mediaset costerà 450 milioni in meno all’anno rispetto al 2011. Abbiamo agito su tutto: strutture, costo dei
diritti, dei programmi, degli studi, delle star. E’ stata dura ottenere
efficienza ovunque ma ci stiamo riuscendo: per esempio le nuove fiction, a
parità di qualità, costeranno il 30% in meno a serata».
Anche
lei si è ridotto lo stipendio?
«Da un paio di esercizi la parte variabile
delle retribuzioni dei top manager, che vale il 30% del totale, non viene
erogata. Vale anche per me».
Avete
ridotto anche il personale.
«Nessun
licenziamento. Abbiamo fatto di tutto per non toccare l’occupazione.
Parliamo al massimo di prepensionamenti e collaborazioni. E con l’accorpamento
di alcuni settori da Roma a Milano, alcuni dipendenti hanno preferito non
trasferirsi e negoziare soluzioni concordate con il sindacato. I nostri piani non prevedono esuberi di
personale. E, me lo lasci dire, ne sono orgoglioso».
La
decisione di cambiare l’offerta televisiva parte soltanto da ragioni
economiche, di risparmio, o anche dal rinnegare un modello culturale? Per
intenderci, il Grande Fratello resterà?
«Il nostro modello culturale è la
modernità. E il Grande Fratello, rinnovato, resta eccome. Abbiamo programmato
questa evoluzione partendo da un dato di fatto. La concorrenza continua a crescere:
un rapporto del Consiglio d’Europa ha appena stabilito che l’Italia è primo
Paese europeo per numero di reti. Il 90% di questi canali vive di film,
telefilm e programmi tradotti, mentre noi vogliamo che le nostre reti
generaliste offrano sempre più prodotti italiani ed esclusivi, unici in questo
panorama affollato».
Qual
è il primo passo?
«Partiamo da Italia 1. Punteremo con decisione sull’intrattenimento autoprodotto. Per intenderci a programmi tipo Le
Iene, Colorado, Wild... Ma oseremo anche con prodotti meno sicuri sul piano
degli ascolti pur di sperimentare nuovi linguaggi. Vedremo i primi effetti già
in autunno».
Come
cambieranno Canale 5 e Retequattro?
«Retequattro sarà sempre più ricca di
informazione, talk show e approfondimenti. Primo passo: dopo Quarto grado e
Quinta colonna arriverà un altro programma di attualità in prima serata».
Vi
ispirate alla «formula La7», pure se con un’altra impostazione politica?
«Direi una La7 più popolare, meno radical-chic e soprattutto con costi sostenibili».
A
proposito de La7, l’arrivo di Cairo cambierà il mercato tv?
«Non credo. Cairo è bravo, gli auguro di
riuscire a raddrizzare le perdite di una rete posizionata bene, ma con un conto
economico squilibrato».
Torniamo
a Mediaset. Che ne sarà di Canale 5?
«Canale 5 è già molto forte, leader
assoluta nel target commerciale. E’ la rete delle giovani famiglie. Puntiamo a
mantenere elevato il tasso di qualità, quantità e modernità. Sarebbe ideale
avere costantemente una settimana con 4 prime serate di intrattenimento e 2 o 3
di fiction italiana».
Con
meno serie tv americane e meno film, il risultato finale non sarà un’offerta
più povera?
«Al contrario. Tutte le serie tv e i film
andranno di prevalenza sui nostri canali tematici. Per le generaliste saremo molto
selettivi, per avere più prodotti esclusivi, ma a costi adeguati al mercato di
oggi. Punteremo su prodotti destinati a diventare eventi collettivi, intesi non
solo come lo show di Celentano, ma come programmi in diretta - pensi ad Amici –
che diventano un appuntamento irrinunciabile per gli spettatori tv e di
interazione sul web».
C’è
poi la questione di Premium, la pay-tv che lei ha voluto e da molti considerata
un’operazione poco riuscita.
«Sorrido quando leggo di presunte
difficoltà di Premium, perché la nostra
pay sta ottenendo risultati sorprendenti. Il mercato pay è per la prima
volta in contrazione: i concorrenti
(Sky, ndr) vedono ridursi gli abbonati, mentre Premium è stabile a quota 2
milioni. E in un anno nero come il 2012, i ricavi della nostra pay sono
leggermente cresciuti. In più, Premium è la rampa di lancio ideale per i nuovi
modelli di fruizione dei contenuti video pregiati».
Quali?
«Penso prima di tutto all’on-demand, i
programmi che il cliente può vedere come e quando vuole senza vincoli di
palinsesto. Un servizio che con Play già ci vede leader. Ora stiamo lavorando a
un nuovo progetto, “Infinity”, che offrirà appunto un’infinità di contenuti on
demand visibili con la massima flessibilità commerciale su tutti i device
collegabili a Internet, dalle smart-tv ai tablet alle console di videogiochi.
Per intenderci, una Netflix italiana».
Internet
come sta condizionando l’offerta televisiva?
«Oggi siamo i primi broadcaster televisivi
sul web per pagine viste con una crescita del 20% nel 2012 e, con circa 30
milioni di filmati visti al mese, siamo i primi come editori di video
professionali. Vogliamo estendere sempre di più i programmi tv verso la Rete,
per esempio creando contenuti ad hoc per i social network».
Vi
preparate a cambiare anche la politica pubblicitaria, vero?
«Oggi siamo gli unici a poter offrire un
sistema di media così vasto. I nostri clienti hanno a disposizione quello che
il nuovo mercato chiede: piani di comunicazione completamente integrati che
vanno dalla potenza di Canale 5 alla precisione di Internet. Con il presidente
Giuliano Adreani abbiamo rafforzato la concessionaria e il nuovo ad Stefano
Sala è l’uomo giusto per guidare questa trasformazione».
Sul
fronte pubblicitario è possibile una fusione con la concessionaria di
Mondadori?
«Una fusione oggi no, ma stiamo lavorando
per sperimentare sinergie con la carta stampata».
E’
appena uscito un report di Goldman Sachs che ha migliorato le prospettive del
titolo Mediaset, reduce da un anno in calo del 28%. Il mercato si aspetta
novità, magari un socio?
«Mi auguro che le banche d’affari stiano capendo quanto abbiamo fatto e che
nell’istante in cui la crisi si fermerà, Mediaset sarà già pronta a generare
risultati con ancora più slancio. Quanto a possibili soci, siamo stati cercati
da più gruppi stranieri interessati a una quota di Premium. Ma onestamente con
l’instabilità politica di oggi chi entrerebbe in Italia?».
Quanto
pesa questa instabilità sulla situazione economica?
«Oggi è il fattore peggiore. Trovo assurdo
che in un momento così drammatico per l’economia, la politica non sia capace di
dare stabilità al Paese».
La
preoccupa la possibilità che un governo a guida Pd possa adottare provvedimenti
che vi sfavoriscano?
«Separiamo la politica dall’azienda. Oggi l’astio degli avversari politici nei
confronti di mio padre fa impressione. E la paura che questa ostilità possa
estendersi a Mediaset può venire. Ma alla fine non credo sia interesse di
nessuno distruggere Mediaset indebolendo ulteriormente il sistema industriale
ed editoriale italiano».
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