da: Il Sole 24 Ore
Da
«Gli uccelli» a «8 ½», i più grandi film datati 1963
di Andrea
Chimento
La riflessione meta-cinematografica per eccellenza:
«8 ½» di Federico Fellini, con protagonista Marcello Mastroianni nei panni di
Guido Contini (un regista in grave crisi creativa), è il film più
rappresentativo del 1963.
Vincitore del Premio Oscar al Miglior Film
Straniero (il terzo per Fellini dopo quelli per «La strada» nel 1957 e per «Le
notti di Cabiria» nel 1958), «8 ½» rappresenterà una vera e propria fonte
d'ispirazione per intere generazioni di registi e viene abitualmente
considerato uno dei lungometraggi cardine della storia del cinema italiano.
A differenza dei giorni nostri, la
produzione tricolore di allora era studiata e stimata in tutto il mondo, ricca
di tanti titoli intramontabili: basti pensare all'eleganza stilistica di
Luchino Visconti ne «Il gattopardo», ispirato al romanzo di Tomasi di
Lampedusa, con Burt Lancaster e Claudia Cardinale, all'impegno politico e
sociale di Francesco Rosi in «Le mani sulla città», atto di denuncia contro la
speculazione edilizia, o al grigio sarcasmo di Dino Risi ne «I mostri»,
straordinario affresco a episodi con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. Altri
autori italiani all'opera nel 1963, che diedero però il meglio nelle stagioni
successive, furono Marco Ferreri con «L'ape regina» e Pier Paolo Pasolini con
«La ricotta», cortometraggio con Orson Welles inserito nel film collettivo
«Ro.Go.Pa.G.».
In Europa, sulla scia della nascita della
nouvelle vague, è il cinema francese quello più all'avanguardia: «Fuoco fatuo»
di Louis Malle, «Muriel, il tempo di un ritorno» di Alain Resnais e,
soprattutto, «Il disprezzo» di Jean-Luc Godard, ispirato all'omonimo testo di
Alberto Moravia e con protagonista Brigitte Bardot, diventeranno presto dei
modelli da seguire per la cura formale e l'approfondimento psicologico sui
personaggi.
Fuori dai confini italo-francesi impossibile non menzionare «Gli uccelli» di
Alfred Hitchcock, forse il più grande capolavoro dell'anno, dove il maestro del
brivido crea con inimitabile maestria un film ricco di suspense, grazie anche
all'impagabile interpretazione della protagonista Tippi Hedren, e di sequenze
rimaste ancora oggi nella memoria collettiva.
Altri fondamentali titoli d'autore, da
rivedere o riscoprire per ogni cinefilo che si rispetti, sono indubbiamente «Il
servo» di Joseph Losey, un saggio sui rapporti di classe sceneggiato da Harold
Pinter, «Il corridoio della paura» di Samuel Fuller, dove un giornalista decide
di farsi ricoverare in un manicomio per risolvere un caso di omicidio, «Gli
invasati» di Robert Wise, uno dei più inquietanti horror della storia del
cinema, e «Anatomia di un rapimento» di Akira Kurosawa con il suo
attore-feticcio Toshiro Mifune.
Il 1963 sul grande schermo non è però
soltanto sinonimo di cinema d'autore, ma anche di pellicole entrate
nell'immaginario popolare (come la seconda avventura di James Bond, «Dalla
Russia con amore») e di diverse commedie: da «Irma la dolce» di Billy Wilder a
«Le folli notti del Dr. Jerryll» di Jerry Lewis, passando per «Questo pazzo
pazzo pazzo pazzo mondo» di Stanley Kramer, il numero di film "leggeri ma
di qualità" era davvero molto alto.
Se il titolo di esordio migliore dell'anno
lo attribuiamo a «L'asso di picche» di Milos Forman, futuro autore di «Qualcuno
volò sul nido del cuculo» e «Amadeus», un'ultima menzione speciale va a Roger
Corman maestro del cinema di serie B, che in quell'anno realizzò ben cinque
pellicole: «I diavoli del gran prix», «I maghi del terrore», «La vergine di
cera», «L'uomo dagli occhi a raggi X» e - il migliore tra questi - «La città
dei mostri», ispirato alle opere di H.P. Lovecraft e a un poema di Edgar Allan
Poe, con protagonista un indimenticabile Vincent Price.
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