La
bomba dell’elettrosmog. In Italia 1,8 milioni di malati
Il
Governo ignora una sua stessa ricerca. In gioco gli interessi delle società
telefoniche
di Alessandro
Barcella
Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità
rappresentano dall’1 al 3 % della popolazione mondiale. Dati in realtà
sottostimati, perché le più recenti statistiche parlano di un 10%. E in Italia?
Ufficialmente non esistono, anche se stando
alla percentuale più ottimistica dovrebbero essere circa 1.8 milioni. Parliamo
dei cosiddetti “elettrosensibili”, persone con un vero e proprio stato di
malattia attribuito all’esposizione ai campi elettromagnetici (sia in alta che
in bassa frequenza) emessi da svariate sorgenti. I loro “nemici mortali” sono
ovunque: telefoni cellulari e cordless, stazioni radio base di telefonia mobile
e linee elettriche, wi-fi e computer portatili. E ancora radar di uso civile e
industriale, I-Pad o forni a microonde.
Una condanna senza scampo per alcuni, che in vari paesi del mondo sono
costretti a vivere in grotte o in aperta campagna.
Paolo Orio, vicepresidente dell’associazione italiana elettrosensibili, è uno
di quei malati. “ I sintomi possono variare di intensità, durata e
localizzazione – ci racconta -. Tra questi troviamo cefalea, disturbi del sonno
e della memoria, nausea e bruciori lungo tutto il tronco, o ancora arrossamenti
cutanei, alterazioni del ritmo cardiaco e del tono dell’umore”. Un “calvario”,
il suo, che inizia con i primi sintomi nel lontano 1999, dopo 3 anni di intenso
utilizzo
del telefono cellulare. “Tutto iniziò con mal di testa, dolore a
carico del padiglione auricolare su cui appoggiavo il telefono, sensazione di
prurito anche intenso dentro il condotto uditivo. Andai dal medico di base ma
non trovai risposte, anche perchè la patologia non è ancora riconosciuta come
malattia inquadrabile nei classici codici della malattie internazionali (
I.C.D) da parte della Organizzazione Mondiale della Sanità”.
Sì perché l’elettrosensibilità è vittima di fortissimi conflitti di interesse,
giganteschi se pensiamo solo al ruolo della telefonia mobile.
Una malattia, questa, che riguarda una non
piccola fascia di popolazione abbandonata a sè stessa, senza alcuna minima
garanzia di assistenza sanitaria in termini di diagnosi, prognosi e terapia.
“Per noi diventa difficile se non impossibile andare al cinema, a teatro, in
luoghi pubblici come le biblioteche dove ormai il wi-fi è omnipresente, sui
principali mezzi di trasporto – prosegue Paolo Orio -. Non uso il cellulare da
14 anni, ho l’auto schermata in quanto le centraline elettroniche producono
campi elettromagnetici e noi li avvertiamo subito e ho tolto la corrente dietro
il letto. Una malattia che per l’Italia non esiste, dicevamo. Un Paese, il
nostro, che ha soglie di pericolo che arrivano molto dopo quelle dimostrate
dagli studi scientifici internazionali.
In Italia i valori limite per l’ esposizione ai campi elettromagnetici sono
infatti di 6 volt/metro per le alte frequenze e rispettivamente di 10 e 3
microtesla per valore d’attenzione e obiettivi di qualità delle basse.
Vi è un vastissimo corpo di evidenze scientifiche, con migliaia di studi
pubblicati, che dimostrano invece come si possano avere effetti
biologico/sanitari su uomini e animali a livelli di campo elettromagnetico
molto basso, anche dell’ordine di 0,4 microtesla per le basse frequenze e di
0,2 volt/metro per le alte.
Urge allora un’ immediata modifica dei limiti di legge come auspicato dal
Parlamento Europeo con la storica risoluzione del 2009, del Consiglio
d’Europa”.
Ma cosa rischia la popolazione “esposta”?
Sono tre le fasi della malattia e tutte e tre irreversibili. L’ultima, secondo
le ricerche del professor Belpomme (noto oncologo parigino di fama
internazionale, ndr) è rappresentata da uno stadio di pre-Alzheimer, con danni
irreversibili causati a livello neuronale e di perfusione sanguigna cerebrale.
Un quadro generale, questo, aggravato dal fatto che lo strumento del telefono
cellulare vede abbassarsi sempre più l’ età degli utilizzatori.
Recentemente il Belgio ha decretato il
divieto del cellulare sotto i 7 anni e Israele ha imposto ai gestori di
telefonia un’etichettatura con la scritta attenzione può causarti il cancro”.
Ma l’Italia è anche il Paese in cui
ricerche scientifiche, prima commissionate, scompaiono all’improvviso. E’ sempre
Paolo Orio a raccontare: “Qualche anno fa l’Istituto Superiore di Sanità fece
partire uno studio per valutare le persone affette da questa sindrome. Gli
scopi dello studio erano la valutazione di alcuni parametri che possono subire
variazioni in soggetti elettrosensibili.
Uno studio indubbiamente partito con tutti
i buoni auspici, ma che misteriosamente non fu pubblicato.
Recentemente poi, l’ultima “beffa”. “Il
decreto sviluppo correlato all’ implementazione della tecnologia 4G o LTE
(Governo Monti, ndr) ha, con l’articolo 14, aumentato surrettiziamente i limiti
di esposizione di legge. Nel decreto si dice infatti che l’elettrosmog prodotto
da un impianto di telefonia mobile situato vicino ad una abitazione, ad un
cortile o ad una scuola deve essere calcolato come media delle emissioni
nell’arco delle 24 ore e non più nei 6 minuti di picco giornaliero ( in geznere
alle 13 o alle 20 come fasce di maggior traffico telefonico nei centri urbani).
In tal modo si allarga la base di calcolo e nella media giornaliera i picchi
massimi verranno compensati da quelli minimi delle ore notturne, quando c’è
meno traffico e dunque meno elettrosmog. Una bella mossa, non c’è che dire”.
Che fare allora, anche individualmente, per
ridurre i rischi? “Intanto per noi ammalati – conclude Orio – evitare di
utilizzare cellulari, cordless (sostituirli con i telefoni fissi), eliminare il
wi-fi, sostituire le lampadine a basso consumo energetico.
Per i sani utilizzare il telefonino con
l’auricolare, se si ha un wi-fi spegnerlo almeno di notte, sostituire il
cordless con un fisso e non appoggiare il lap-top sulle gambe in connessione
wi-fi, perché è dimostrato che riduce la fertilità nel maschio”. Diverse, a
livello legislativo, le richieste dell’Associazione alla politica. Intanto il rapido
riconoscimento dell’elettrosensibilità come patologia, che in Svezia è
addirittura classificata tra le disabilità. In secondo luogo una riduzione dei
limiti di esposizione, come hanno richiamato le agenzie internazionali e i
gruppi di scienziati indipendenti scevri da conflitti di interesse.
E magari, sull’esempio di altre realtà anche europee, aree “electric free” ,
dove poter riposare per qualche istante almeno. E infine, ma questo è un
auspicio tutto nostro, impedire che nuove fasce di popolazione (soprattutto
bambini e ed adolescenti) possano ammalarsi. Una pia speranza forse, in un
Paese in cui le nuove antenne di telefonia mobile sono definite dalla politica
“opere di urbanizzazione primaria”.
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