L’Ernesto
era andato via da una buona mezz’ora quando la stessa suor Aspasia si rivolse
alla superiora: «Si è fermato più del solito».
«Come
dice, suora?» chiese la superiora.
«L’Ernesto»,
spiegò suor Aspasia. «E’ arrivato prima del solito. Forse l’Antonia non sta
bene?»
Suor
Speranza sorrise tra sé, guardando il viso della consorella, rugoso come se
fosse stato arato: suor Aspasia era miope da una vita e per di più aveva una
cataratta bilaterale. Non per niente, tutte le sere, quando era ora di chiudere
porta e portone scendeva lei di sotto per prenderla sottobraccio e accompagnarla
nella sua camera.
«E
lei come ha fatto a vederlo?» celiò.
«Lo
riconosco dalla voce. Le orecchie le ho ancora buone. Di solito non arriva
prima delle cinque e mezza, quando finisce la messa. Oggi è arrivato alle
quattro, quando mi hanno portato il tè.»
Le
superiora riflettè un istante sulle parole di suor Aspasia.
«Ne
è sicura?» chiese.
Suor
Aspasia dondolò la testa, a conferma di ciò che aveva appena detto. Quindi si
portò l’indice al naso.
«E
puzzava di aglio», aggiunse.
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