da: Huffington Post
Caro Beppe,
ti scrivo da Venezia. Ti scrivo una lettera
aperta, trasparente, ispirato solo da me stesso ed in piena libertà.
Tu non mi
conosci ma io ti seguo dal 2006 e dal 2009 faccio parte del meetup di Venezia
dove adesso mi trovo a sostituire come consigliere comunale il nostro mitico
Gava, fondatore del nostro meetup e primo grillino consigliere in laguna.
Ci sono arrivato attraverso un percorso
personale totalmente diverso dal suo, spiazzando così una volta di più quanti
cercano di darci un’identità unica, non capendo quanto la diversità sia la
nostra carta vincente. Ci sono arrivato il 21 gennaio di quest’anno, quando
eravamo sotto gli occhi di quanti osservavano esterrefatti e rassegnati il
consenso che ci stava premiando e sentendo fisicamente le aspettative dei tanti
che ci dichiaravano il loro sostegno.
Il 26 febbraio, il giorno dopo le elezioni,
mi sono trovato a ricevere, senza alcun merito personale,
i complimenti per lo straordinario successo ed insieme la richiesta di spiegare
le strategie che avremmo attuato ora che finalmente eravamo arrivati in
Parlamento. Io come tutti gli altri del nostro gruppo abbiamo lasciato la
parola al nostro deputato veneziano-mestrino, il nostro portavoce.
Ma dal giorno dopo i festeggiamenti abbiamo
subito capito che la strada non era facile.
Io, come altri, ho convinto tante persone che il M5S sarebbe stato il
cambiamento, quello che il paese sfinito aspettava da subito. La gente aveva
voluto credere in quella prospettiva, ci ha votati perché era sfinita dal
degrado morale. politico ed economico del berlusconismo. Tutta gente che non
vuole essere riconsegnata a quel governo di continuità, di conservazione, di
convenienze incrociate proposto da Napolitano.
Sono molti, tra quella gente che aveva
finalmente cominciato a respirare la svolta, quelli che ora mi fermano per
strada e mi dicono: “Sono sconcertato, preoccupato, vi ho votato per cambiare e
voi state fermi ed aspettate che siano gli altri a sbagliare senza accorgervi o
voler ammettere che l’inerzia è peggio dell’errore”.
E non posso non riferirtele queste parole che dicono solo l’inizio, perché
l’inerzia significa che lo spazio dell’iniziativa sarà preso da altri, da tutti
quelli a cui avremo lasciato il tempo per risorgere.
E questo, in tanti non ce lo perdoneranno, torneranno a ritirarsi risentiti,
delusi, arrabbiati, contro l’ennesima prova di fiducia senza effetto.
Chi ci ha votato ha creduto nella
democrazia diretta via web di cui gli eletti sarebbero stati i portavoce. Ma il
web resta muto; o meglio la sua voce, sparsa e non incanalata su una
piattaforma aperta, resta sconnessa dai terminali, non arriva ai nostri
dipendenti.
Quegli eletti che oggi non hanno argomenti completamente convincenti a
giustificare la chiusura, la sordità verso gli appelli di un paese che implora
un segnale di movimento, di ripresa del cammino, un segno per riprendere a
sperare.
Ma tanti sono anche quelli che ci hanno
votato senza sapere niente degli impegni presi dai candidati, dei nostri
meetup, di liquid feedback, di discussioni on line. Sono tanti quelli che,
senza pensarci su più di tanto, ci hanno affidato il loro desiderio di
cambiamento e la speranza di sopravvivere alla crisi che falcia futuro ed
esistenze. Sono la maggioranza del nostro 25% ?
Forse; o forse no, ma non possiamo ignorarli e sacrificarli al progetto di
diventare la maggioranza assoluta al prossimo giro elettorale.
Prova a considerare un’altra cosa: come
abbiamo avuti tutti contro nella recente campagna elettorale, così li avremo di
nuovo contro nella prossima; ma a quelli si aggiungeranno i delusi.
Penso poi che fra due anni a Venezia e tra qualche mese in qualche città della
sua provincia, si tornerà a votare per le amministrative e molti di noi
dovranno tornare a chiedere fiducia, a promettere, di nuovo, che con noi si fa sul
serio, si fa diversamente e meglio.
Con quale credibilità potremo impegnarci se
proprio in questo momento in cui dovremmo mettere a frutto il voto di
preferenza restiamo a guardare la restaurazione che si riprende gli spazi della
novità che abbiamo seminato. Con la scelta dura e pura del no a tutto, superbo
e implacabile li avremo delusi, respinti, riconsegnati nelle mani di chi li
sfrutterà fino all’estinzione.
Non è più tempo di proclami di dogmi, di
certezze assolute di orgogliose crociate. E’ tempo di ascoltare con umiltà e
con urgenza quello che il paese sempre più flebilmente ci chiede: di salvarlo
dalla miseria che incombe. Non c’è più tempo, Beppe, per strategie. Per il no
inflessibile.
C’è appena il tempo per far nascere un
governo, cosicché il Paese, tutti noi possiamo sopravvivere. E’ il momento di
tendere la mano a chi la rivolge a noi, proprio a noi, e prendere sulle nostre
spalle un parte del loro peso, soffrendo un po’ di più noi che abbiamo ancora
forza, per evitare che soffrano tutti quelli che di forze non ne hanno più.
Spero che mi leggerai. Io ho pensato di doverlo a tutti quelli che mi hanno
creduto.
Nessun commento:
Posta un commento