venerdì 29 marzo 2013

Siria: opposizione debole contro Bashar al Assad


da: Lettera 43

Siria, opposizione debole contro Bashar al Assad
Il Paese è dilaniato da due anni di guerra civile. E la Coalizione, tra spie e doppi giochi, appare impotente.
di Susan Dabbous

a Beirut



Uomini del fare che spuntano da lontano. Papi stranieri. E politici che offrono dimissioni, salvo poi ritirarle al momento opportuno.
Almeno quanto a confusione dell’opposizione, la Siria appare un Paese normale. Ma anche le scaramucce politiche, dopo due anni di guerra civile, qui sono segnali di un Paese dilaniato. Che non riesce a trovare l’alternativa a un regime brutale che in due anni ha prodotto 70 mila morti, 2 milioni di sfollati e l’abominio di bambini soldato che lanciano bombe per 15 dollari.
SPIE E DOPPI GIOCHI. E anche i duri e puri dell’opposizione, quelli che ogni giorno combattono per strada contro le milizie, sono accusati di essere collusi con il regime, in un gioco di spie e doppi giochi che ha sprofondato quel che resta della nazione nel terrore puro.
Le riunioni per trovare la via d’uscita si susseguono: cambiano le città del mondo dalle quali sono ospitate, restano la disillusione e l’impotenza.

«Dopo due anni, avere un nemico comune non basta più. Per rimanere uniti ci vuole un progetto, una visione, o forse una nuova ideologia, cosa che invece manca completamente», racconta aLettera43.it Shadi Abu Karam, uno degli attivisti siriani più conosciuti in Rete, al termine della prima giornata del summit della Lega Araba a Doha, il 26 marzo. Il primo a cui l’opposizione siriana partecipa in qualità di legittimo rappresentante del Paese.

OPPOSIZIONE DIVISA. Bashar al Assad, il presidente macellaio, li ha definiti terroristi. «Terroristi no, ma divisi sì. Andare al summit con due leader non è davvero segno di grande intelligenza», prosegue Abu Karam.

Sul palcoscenico, infatti, si contendono le attenzioni Moaz al Khatib, capo della Coalizione nazionale siriana («Tremendo carrozzone, voluto proprio da Qatar e Usa», riassume l’attivista digitale) e Ghassan Hitto, neo eletto primo ministro del governo in esilio.
Un governo che non c’è. Per un uomo - Hitto - che ha vissuto gli ultimi 25 anni della sua vita a Dallas, in Texas, ma è comunque una figura vicina ai Fratelli musulmani.
Talmente inviso a Khatib, imam che ha sempre combattuto sul campo, da spingerlo a porgere le proprie dimissioni, domenica 24 marzo. Salvo poi ritirarle alla vigilia del meeting.

CONFUSIONE POLITICA. La confusione, insomma, regna sovrana. Anche all’interno del blocco che dovrebbe coalizzare le proprie forze per rovesciare il dittatore. Perché, iniziano a chiedersi in molti, se anche si riuscisse a sconfiggere Assad, si riuscirebbe a fornire un’alternativa al suo governo?

La preoccupazione inizia ad affacciarsi anche tra gli occidentali. I due più forti gruppi di combattenti in Siria hanno iniziato a lottare tra di loro per il dominio del territorio nell’area Nord orientale. Si tratta del battaglione al Faruq, uno dei primi gruppi organizzati di ispirazione islamica ma non estremista, e della formazione filo al Qaeda, più recente, Jabhat al Nusra (Fronte di liberazione del popolo), inserita dagli Stati Uniti tra i i gruppi del terrorismo internazionale.

In molti confermano che il regime abbia al suo interno infiltrati dei ribelli


Il territorio è alla mercé delle bande armate. Il risultato si vede nella città di Aleppo, controllata per il 75% dai ribelli dopo mesi di combattimenti tra le forze del regime e l’Esercito siriano libero.

Dopo l’entusiasmo per il “lancio della grande battaglia”, lo scorso agosto, i gruppi ribelli si sono spartiti i quartieri, ma non senza intoppi.
ACCUSE GRAVI. «C’è una brigata specializzata solo in furti», spiega Mohammed Abdelaziz, autore di un’inchiesta in cui si fanno i nomi dei responsabili dell’incendio di ottobre dello storico suq di Aleppo, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. «È stato un gruppo dell’esercito siriano libero a compiere quel sacrilegio. Probabilmente pagato dal regime, che ha rivelato delle informazioni fondamentali come il disinnesco del sistema antincendio: quel giorno, guarda caso, non ha funzionato», prosegue.
L’accusa è grave, ma che il regime sia in contatto con i ribelli o che abbia degli infiltrati al suo interno è un fatto che confermano in molti. «Un mese fa, sono state trovate cinque spie ad Atme», rivela un abitante del villaggio siriano a ridosso del confine turco, che chiede di non scrivere il suo nome.
«Sono stati arrestati e torturati dai capi della brigata locale dell’esercito siriano libero: non li hanno ancora uccisi perché stanno dando tante informazioni». Per esempio, i soldati hanno confessato di aver piazzato delle telecamere dentro la scuola usata come quartier generale dell’esercito libero, ad Atme, e dentro la moschea. Per controllare i movimenti. E riferirli ad Assad.

RAPITI DUE MEDICI. L’episodio non ha fatto che esacerbare gli animi. Nella cittadina vige la diffidenza più totale e, in un clima ormai da Far west, a metà marzo, sono stati rapiti due medici francesi, entrati illegalmente in Siria per curare gli sfollati interni nelle baraccopoli che sorgono in aperta campagna.

«Si trovano a Parigi, Cairo, Istanbul: ma perché la Coalizione nazionale non si trasferisce ad Aleppo o ad Idlib?», chiede sarcastico Abu Abdo, un profugo siriano nel campo di Atme. «Viviamo senza elettricità, col prezzo della benzina alle stelle, l’umidità nelle ossa, il fango fino alle ginocchia. Quando i politici vengono a trovarci nei campi distribuiscono cibo, vestiti, giocattoli e coperte, si fermano a parlare con noi, ci abbracciano, si fanno delle foto e poi se ne vanno via. Noi, invece, il giorno dopo ci svegliamo di nuovo qui, nella miseria, passiamo la giornata a fare la fila, per il cibo, per le medicine, per il bagno, per la doccia».
ARMI AI RIBELLI. La Lega Araba ha appena stanziato nuovi fondi per l’emergenza profughi in Siria, così come nuovi finanziamenti per l’invio di armi ai ribelli.
Spesso, però, i due piani non vengono separati: con gli stessi soldi vengono comprati cibo, armi e pannolini. E le organizzazioni caritatevoli dei Paesi del Golfo o di siriani all’estero, di fatto, sono i veicoli dei finanziamenti che arrivano ai vari gruppi che combattono in Siria. Per chi o per cosa combattano, però, non è più chiaro.

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