mercoledì 20 marzo 2013

Media, video online: in crescita, ma tramite la tv


da: la Repubblica

Tv, Sky e la carica dei film online così Internet cambia il mercato
I tablet spingono il consumo di contenuti video via web ma è il grande schermo del televisore al centro delle strategie di broadcaster e big della rete, da Amazon a Netflix. Il settore corre in Europa a una media annua del 39%
di Stefano Carli

La vecchia televisione vince ancora: cresce Internet, avanza e travolge con la sua rivoluzione digitale tutto quello che incontra, dall’economia alla politica, ma chi pensava che il Web, l’online i social network avrebbero finito per lasciarla spenta si è sbagliato. L’online cresce, i contenuti video scaricati dalla Rete sono sempre di più (e anche sempre più lunghi, non più solo le clip di YouTube) ma il consumo di tv non cala. Anzi è proprio “lei” la regina dei terminali connessi per fruire di film, serie tv, documentari, reportage, eventi sportivi e video musicali. Più di pc, tavolette e smartphone. «Il mercato dei contenuti video online sta crescendo. E la crescita dei ricavi legati a questo mercato sta a sua volta crescendo a ritmi ben superiori a quelli stessi della pubblicità online, che in questi anni di crisi è scesa sotto la soglia della doppia cifra. Qui no: questo mercato correrà di qui al 2016 a un tasso annuo del 39% in Europa. Un paragone sarà più chiaro: ancora alla fine di quest’anno tutto il comparto dei contenuti video online vale circa l’1% dell’insieme dei ricavi delle pay tv europee. Tra quattro anni si sarà decuplicato ». A sciorinare queste cifre è Augusto Preta, direttore di ItMedia Consulting che ha
appena concluso la stesura del suo ultimo report intitolato “The Internet Era of TV. It’s a Multiscreen World”, in cui aggrega e analizza i dati relativi ai mercati dell’Europa
Occidentale. «Abbiamo registrato la crescita dei consumi veicolati online - continua Preta - e l’affermazione sempre più ampia della fruizione “multiscreen”, ossia utenti che guardano la tv e usano tablet e smarphone interagendo con quello che vedono sul grande schermo domestico. Ma questi nuovi consumi non vanno a scapito della tv. Non è un gioco a somma zero. E’ tutto il sistema che cresce». Cresce tutto, ma non tutto cresce allo stesso modo. Una seconda indicazione tratta dal report di ItMedia è in special modo atta a spiegare i movimenti in atto nel mercato, tra i broadcaster da una parte e le Internet company dall’altra. Spiega Preta: «Se il mercato cresce nel suo complesso del 39% l’anno, e arriverà nel 2016 in Europa occidentale a valere 3 miliardi di euro, va segnalato che la componente pubblicità va a una velocità dimezzata: il 18% annuo. Tantissimo rispetto agli andamenti complessivi del mercato pubblicitario, ma comunque la metà di quanto correranno i ricavi generati dagli utenti, sia in termini di abbonamenti, che di pay per view, il pagamento di ogni singolo programma scaricato e visto. Prevediamo che a fine 2016 i ricavi da pubblicità, in questo settore dei contenuti video online, saranno stati raggiunti dal totale dei ricavi in abbonamento, che sono la componente che cresce di più. I ricavi da pay-per-view varranno circa un terzo in meno degli abbonamenti ». Ecco, il senso della sfida è tutta qui. L’online sta rapidamente diventando una piattaforma di distribuzione affidabile e diffusa, come è testimoniato dall’allungarsi della durata media dei contenuti richiesti dagli utenti. E più i contenuti si allungano, più il consumo si sposta su schermi più grandi: tablet e tv. Quindi ora la lotta è per conquistare posto dentro i televisori nelle case degli utenti, visto che direttamente da loro arriveranno i due terzi dei ricavi complessivi di questa tv 2.0. I mercato dei distributori online è al momento diviso sostanzialmente in due parti. Da una parte ci sono gli operatori che sono in qualche modo gli eredi del vecchio mercato dell’home video, spettatori che volta per volta vogliono vedere un film e lo cercano nei cataloghi. Sono gli utenti che alimentano il comparto del pay-per-program. E’ il mercato a cui si rivolgono in prima battuta operatori come Netflix o Amazon, che opera in Europa con il marchio Lovefilm. Dall’altra parte ci sono gli utenti disposti a pagare un canone mensile per avere accesso a un’offerta più ricca, con un catalogo di titoli da “coda lunga”, ma con offerte variate periodicamente con contenuti premium, specialmente prime visioni di film e soprattutto le serie tv. E’ questa la parte che cresce di più e, per tipologia di offerta, va a pescare ovviamente nel target classico delle pay tv. Non è infatti un caso che il primo tra i grandi broadcaster a muoversi con decisione sull’online sia stato Sky. Lo ha fatto in termini difensivi: quando ha lanciato SkyGo, la possibilità di vedere i contenuti della pay tv anche su pc, tavolette e smartphone, prima in Gran Bretagna e poi in Italia, non lo ha messo sul mercato in modo autonomo, con un suo prezzo, ma come “premio” per gli abbonati. E lo stesso ha fatto Mediaset in Italia con Premium Play. L’obiettivo è stato di presidiare i mercati arricchendo l’offerta che passa attraverso i decoder delle rispettive pay-tv: decoder di nuova generazione che possono essere collegati agli abbonamenti a banda larga degli utenti. Questo ha alzato l’asticella per l’ingresso sui mercati. Ma il successo di questi prodotti sta anche facendo da apripista a nuova domanda. Il caso inglese, è paradigmatico. Gli utenti di Sky Go sono cresciuti in un anno di un milione. Lo spazio di mercato quindi c’è. E la prova è che quando sono scesi in pista i pesi massimi, Netflix e Amazon, sono a loro volta riusciti a superare agevolmente il milione di abbonati ciascuno. E a questo punto la lotta si è fatta più dura. Anche perché Amazon ha lanciato la sfida: ha passato per primo i confini del suo mercato, quello dei cataloghi dei film e si è aggiudicato primo non-broadcaster, l’esclusiva online di una serie tv inglese di successo: Downton Abbey. Lo ha fatto per il solo mercato Usa, per ora, ma la minaccia è reale. Sky ha risposto a ottobre creando Sky Now, che è in pratica Sky Movie venduto per la prima volta a parte, indipendentemente dall’abbonamento satellitare. Sono insomma saltate le dighe e i due mercati stanno iniziando a convergere. In Italia, con il solito ritardo, ora aggravato dalla crisi, le cose si stanno però muovendo nella stessa direzione. Sky Go ha 1,4 milioni di utenti attivi raggiunti in circa dodici mesi. E il 50% dei 4,8 milioni di utenti Sky Italia utilizza regolarmente My Sky, l’offerta di video “on demand push”, una scelta basata cioè su un catalogo ridotto ma variabile di contenuti selezionati dal palinsesto. In più ci sono 500 mila utenti che hanno accesso ad un servizio di video on demand puro, ossia aprono un catalogo e scaricano, tramite il decoder connesso via Internet, ciò che vogliono vedere. Da luglio scorso a oggi questo mezzo milione ha scaricato 14 milioni di titoli: in sei mesi ognuno ne ha scaricati circa trenta, 5 al mese. Non è poco: segno di una tipologia di consumo dei video che può svilupparsi in fretta. Non tanto da spingere Sky a lanciare anche in Italia Sky Now. Ma è solo questione di tempo. Se Sky prepara le difese più difficili si fanno le prospettive in casa Mediaset, la cui pay tv già zoppica di suo. A meno che non riesca a vendere la sua piattaforma a qualche nuovo operatore. Ma a chi? Non certo a Amazon, che ha la sua piattaforma e ha ancora differito il suo ingresso sul mercato italiano, considerato ancora troppo piccolo. Le voci dicono che se ne parlerà a novembre. E questo dà modo a chi già c’è di consolidarsi e mettere a punto nuove strategie. Cubovision di Telecom Italia ha per esempio lanciato un servizio, Anycast, adatto in modo particolare ai contenuti meno complessi, non tanto i film quanto le serie tv: il contenuto scaricato può essere visto su qualsiasi terminale, smartphone, tablet e tv. E infatti il 10% degli accessi avviene da mobile, tanto che è stato creato un “bundle” speciale per i clienti Tim che offre a un prezzo unico, ovviamente a sconto rispetto alle singole parti, i video di Cubovision e il traffico telefonico mobile. La stessa Rai vuole sfruttare il momento dell’online, anche se non direttamente, ma ha appena siglato un accordo con Telecom tramite il quale metterà su Cubovision tutta la sua library di film (i ricavi sono in revenue sharing). E’ una fase nuova del mercato tv che si apre. Nel giro di pochi mesi, tutto può cambiare. La corsa alla tv, intesa nel senso del televisore di casa è partita. E con una caratteristica: per ora non c’è iTunes. Apple è rimasta fuori, continua ad operare solo sui pc, smartphone e tablet, ma se il grande schermo tv è e resterà al centro di questo mercato, allora avrà dato ai suoi concorrenti la possibilità di recuperare terreno, visto che iTunes ha una quota di mercato sui video online televisore escluso di circa il 70%. Google, Amazon, Netflix e i grandi broadcaster, le telecom che la banda larga ha riportato al centro di questi mercati e molti nuovi operatori piccoli e medi nei vari mercati locali. La partita si fa complessa, ma c’è una certezza. Questo è ormai un mercato unico per tutti. E prima o poi si porrà il problema delle regole, così asimmetriche tra broadcaster e Internet company (tetti di pubblicità, obblighi di investimento, obblighi di fasce orarie). «La gara è una sola, il mercato pure. E ha bisogno di poche regole, certe e uguali per tutti. Regole che oggi esistono per tv e carta stampata, mentre Internet non ne ha». Lo ha detto Andrea Zappia, ad di Sky Italia, poco tempo fa. Non resterà il solo. Nei grafici in questa pagina, i dati sul mercato europeo tratti dal rapporto “The Internet Era of TV. It’s a Multiscreen World” di ItMedia Consulting.

Nessun commento:

Posta un commento