da: la Repubblica
I tablet spingono il
consumo di contenuti video via web ma è il grande schermo del televisore al
centro delle strategie di broadcaster e big della rete, da Amazon a Netflix. Il
settore corre in Europa a una media annua del 39%
di Stefano Carli
La vecchia
televisione vince ancora: cresce Internet, avanza e travolge con la sua
rivoluzione digitale tutto quello che incontra, dall’economia alla politica, ma
chi pensava che il Web, l’online i social network avrebbero finito per
lasciarla spenta si è sbagliato. L’online
cresce, i contenuti video scaricati
dalla Rete sono sempre di più (e anche sempre più lunghi, non più solo le
clip di YouTube) ma il consumo di tv
non cala. Anzi è proprio “lei” la regina dei terminali connessi per fruire di film, serie tv, documentari,
reportage, eventi sportivi e video musicali. Più di pc, tavolette e smartphone.
«Il mercato dei contenuti video online sta crescendo. E la crescita dei ricavi
legati a questo mercato sta a sua volta crescendo a ritmi ben superiori a
quelli stessi della pubblicità online, che in questi anni di crisi è scesa
sotto la soglia della doppia cifra. Qui no: questo mercato correrà di qui al
2016 a un tasso annuo del 39% in Europa. Un paragone sarà più chiaro: ancora
alla fine di quest’anno tutto il
comparto dei contenuti video online vale circa l’1% dell’insieme dei ricavi delle pay tv europee. Tra quattro anni si sarà decuplicato ». A
sciorinare queste cifre è Augusto Preta, direttore di ItMedia Consulting che ha
appena concluso la stesura del suo ultimo report intitolato “The Internet Era
of TV. It’s a Multiscreen World”, in cui aggrega e analizza i dati relativi ai
mercati dell’Europa
Occidentale.
«Abbiamo registrato la crescita dei consumi veicolati online - continua Preta -
e l’affermazione sempre più ampia della fruizione “multiscreen”, ossia utenti
che guardano la tv e usano tablet e smarphone interagendo con quello che
vedono sul grande schermo domestico. Ma questi nuovi consumi non vanno a
scapito della tv. Non è un gioco a somma zero. E’ tutto il sistema che cresce».
Cresce tutto, ma non tutto cresce allo stesso modo. Una seconda indicazione
tratta dal report di ItMedia è in special modo atta a spiegare i movimenti in
atto nel mercato, tra i broadcaster da una parte e le Internet company
dall’altra. Spiega Preta: «Se il mercato cresce nel suo complesso del 39%
l’anno, e arriverà nel 2016 in Europa occidentale a valere 3 miliardi di euro,
va segnalato che la componente pubblicità va a una velocità dimezzata: il 18%
annuo. Tantissimo rispetto agli andamenti complessivi del mercato
pubblicitario, ma comunque la metà di quanto correranno i ricavi generati dagli
utenti, sia in termini di abbonamenti, che di pay per view, il pagamento di
ogni singolo programma scaricato e visto. Prevediamo che a fine 2016 i ricavi da pubblicità, in questo settore dei contenuti
video online, saranno stati raggiunti dal totale dei ricavi in abbonamento, che
sono la componente che cresce di più. I ricavi da pay-per-view varranno circa
un terzo in meno degli abbonamenti ». Ecco, il senso della sfida è tutta qui.
L’online sta rapidamente diventando una piattaforma di distribuzione affidabile
e diffusa, come è testimoniato dall’allungarsi della durata media dei contenuti
richiesti dagli utenti. E più i
contenuti si allungano, più il consumo si sposta su schermi più grandi: tablet
e tv. Quindi ora la lotta è per conquistare posto dentro i televisori nelle
case degli utenti, visto che direttamente da loro arriveranno i due terzi dei
ricavi complessivi di questa tv 2.0. I mercato
dei distributori online è al momento diviso sostanzialmente in due parti.
Da una parte ci sono gli operatori che sono in qualche modo gli eredi del vecchio
mercato dell’home video, spettatori che
volta per volta vogliono vedere un film e lo cercano nei cataloghi. Sono
gli utenti che alimentano il comparto del pay-per-program.
E’ il mercato a cui si rivolgono in prima battuta operatori come Netflix o Amazon, che opera in Europa con il marchio Lovefilm. Dall’altra
parte ci sono gli utenti disposti a pagare un
canone mensile per avere accesso a un’offerta più ricca, con un catalogo di titoli da “coda lunga”, ma
con offerte variate periodicamente con contenuti premium, specialmente prime
visioni di film e soprattutto le serie tv. E’ questa la parte che cresce di più
e, per tipologia di offerta, va a pescare ovviamente nel target classico delle
pay tv. Non è infatti un caso che il primo tra i grandi broadcaster a muoversi
con decisione sull’online sia stato Sky.
Lo ha fatto in termini difensivi: quando ha lanciato SkyGo, la possibilità di vedere i contenuti della pay tv anche su
pc, tavolette e smartphone, prima in Gran Bretagna e poi in Italia, non lo ha
messo sul mercato in modo autonomo, con un suo prezzo, ma come “premio” per gli
abbonati. E lo stesso ha fatto Mediaset in
Italia con Premium Play. L’obiettivo
è stato di presidiare i mercati arricchendo l’offerta che passa attraverso i
decoder delle rispettive pay-tv: decoder
di nuova generazione che possono essere collegati agli abbonamenti a banda
larga degli utenti. Questo ha alzato l’asticella per l’ingresso sui mercati. Ma
il successo di questi prodotti sta anche facendo da apripista a nuova domanda.
Il caso inglese, è paradigmatico.
Gli utenti di Sky Go sono cresciuti in un anno di un milione. Lo spazio di
mercato quindi c’è. E la prova è che quando sono scesi in pista i pesi massimi,
Netflix e Amazon, sono a loro volta riusciti a superare agevolmente il milione
di abbonati ciascuno. E a questo punto la lotta si è fatta più dura. Anche
perché Amazon ha lanciato la sfida:
ha passato per primo i confini del suo
mercato, quello dei cataloghi dei film e si è aggiudicato primo
non-broadcaster, l’esclusiva online di
una serie tv inglese di successo: Downton Abbey. Lo ha fatto per il solo
mercato Usa, per ora, ma la minaccia è reale. Sky ha risposto a ottobre creando Sky Now, che è in pratica Sky
Movie venduto per la prima volta a parte, indipendentemente
dall’abbonamento satellitare. Sono insomma saltate le dighe e i due mercati
stanno iniziando a convergere. In Italia, con il solito ritardo, ora aggravato
dalla crisi, le cose si stanno però muovendo nella stessa direzione. Sky Go ha 1,4 milioni di utenti attivi
raggiunti in circa dodici mesi. E il 50% dei 4,8 milioni di utenti Sky Italia
utilizza regolarmente My Sky, l’offerta di video “on demand push”, una scelta
basata cioè su un catalogo ridotto ma variabile di contenuti selezionati dal
palinsesto. In più ci sono 500 mila
utenti che hanno accesso ad un servizio di video on demand puro, ossia aprono un catalogo e scaricano, tramite il
decoder connesso via Internet, ciò che vogliono vedere. Da luglio scorso a oggi questo mezzo milione ha scaricato 14 milioni di titoli: in sei mesi ognuno ne ha scaricati
circa trenta, 5 al mese. Non è poco: segno di una tipologia di consumo dei
video che può svilupparsi in fretta. Non tanto da spingere Sky a lanciare anche
in Italia Sky Now. Ma è solo questione di tempo. Se Sky prepara le difese più
difficili si fanno le prospettive in casa Mediaset,
la cui pay tv già zoppica di suo. A meno che non riesca a
vendere la sua piattaforma a qualche nuovo operatore. Ma a chi? Non certo a
Amazon, che ha la sua piattaforma e ha ancora differito il suo ingresso sul
mercato italiano, considerato ancora troppo piccolo. Le voci dicono che se ne
parlerà a novembre. E questo dà modo a chi già c’è di consolidarsi e mettere a
punto nuove strategie. Cubovision di
Telecom Italia ha per esempio lanciato un servizio, Anycast, adatto in modo particolare ai contenuti meno complessi,
non tanto i film quanto le serie tv:
il contenuto scaricato può essere visto su
qualsiasi terminale, smartphone, tablet e tv. E infatti il 10% degli accessi
avviene da mobile, tanto che è stato creato un “bundle” speciale per i clienti
Tim che offre a un prezzo unico, ovviamente a sconto rispetto alle singole
parti, i video di Cubovision e il traffico telefonico mobile. La stessa Rai vuole sfruttare il momento
dell’online, anche se non direttamente, ma ha appena siglato un accordo con Telecom tramite il quale metterà su Cubovision tutta la sua library
di film (i ricavi sono in revenue sharing). E’ una fase nuova del mercato
tv che si apre. Nel giro di pochi mesi, tutto può cambiare. La corsa alla tv,
intesa nel senso del televisore di casa è partita. E con una caratteristica:
per ora non c’è iTunes. Apple è rimasta
fuori, continua ad operare solo sui pc, smartphone e tablet, ma se il
grande schermo tv è e resterà al centro di questo mercato, allora avrà dato ai
suoi concorrenti la possibilità di recuperare terreno, visto che iTunes ha una
quota di mercato sui video online televisore escluso di circa il 70%. Google, Amazon, Netflix e i grandi
broadcaster, le telecom che la banda larga ha riportato al centro di questi
mercati e molti nuovi operatori piccoli e medi nei vari mercati locali. La
partita si fa complessa, ma c’è una certezza. Questo è ormai un mercato unico
per tutti. E prima o poi si porrà il problema delle regole, così asimmetriche
tra broadcaster e Internet company (tetti di pubblicità, obblighi di
investimento, obblighi di fasce orarie). «La gara è una sola, il mercato pure.
E ha bisogno di poche regole, certe e uguali per tutti. Regole che oggi
esistono per tv e carta stampata, mentre Internet non ne ha». Lo ha detto
Andrea Zappia, ad di Sky Italia, poco tempo fa. Non resterà il solo. Nei
grafici in questa pagina, i dati sul mercato europeo tratti dal rapporto “The
Internet Era of TV. It’s a Multiscreen World” di ItMedia Consulting.
Nessun commento:
Posta un commento