da: Il Fatto Quotidiano
Naturalmente Celentano è liberissimo di pensare – e di scrivere su Repubblica –
che un giornalista deve “fermare la lingua”, “azzerare il passato” e
“soprassedere”, rinunciando a dire ciò che sa del nuovo presidente del Senato,
perché siamo in un “momento così delicato”. Se invece non lo fa, anzi insiste a
raccontare in perfetta solitudine la biografia della seconda carica dello
Stato, non è perché il mestiere di giornalista consiste appunto nel dare
notizie vere e documentate; ma “per sminuire l’ascesa di Grasso alla presidenza del Senato” e per “appesantire l’aria”. A
suo dire, “Travaglio deve aver pensato: perché lasciare intatta la credibilità
del nuovo presidente del Senato, che potrebbe fare qualcosa di buono e dopo noi
ci intristiamo?”.
Ora, se queste scemenze appartenessero solo
al nostro amico Adriano, che purtroppo s’informa poco e nulla sa di Grasso né
del perché è arrivato fin lì, anche se potrebbe con poco sforzo informarsi,
pazienza. In fondo dev’essere dura per un
grande artista nazionalpopolare restare confinato troppo a lungo nel
campetto degli outsider: due anni all’opposizione, con le battaglie per i
referendum del 2011, poi per i nuovi sindaci, poi per 5Stelle, sono forse
troppi per lui. È ora di tirare i remi in barca, rientrare nei ranghi e tornare
all’ovile. All’insegna dello scurdammoce ‘o passato “in tutti i settori, anche
nel campo della giustizia” (ma sì, regaliamo a B. una bella amnistia o un bel
salvacondotto e non parliamo più della sua ineleggibilità, come fanno Flores
d’Arcais e centinaia di migliaia di cittadini, perché “è una stronzata”, “una
cazzata”, “una scorrettezza elettorale”, bisognava pensarci prima; e pazienza
se Flores ci aveva pensato fin dal ‘94, quando Celentano votava B.).
Ma Italiano
Celentano dà voce alla pancia di
molti cittadini che, complici il suicidio
di Bersani e certe mattane
autistiche di Grillo e dei 5Stelle, si sono già spaventati del cambiamento
che un mese fa hanno innescato nelle urne. E ora vivono le stesse paure che li
attanagliarono a fine 2011 quando, esaurita rapidamente l’euforia per le
dimissioni di Berlusconi, si aggrapparono acriticamente alla zattera dei
tecnici. E tremavano se qualcuno, in perfetta solitudine, scriveva che era
meglio andare a votare subito, che forse SuperMario Monti e i suoi supertecnici
non erano quei geniali salvatori della patria che stampa e tv unificate
accreditavano, anche perché la maggioranza l’aveva sempre il centrodestra,
almeno in Parlamento, non certo nel Paese. Per qualche mese restammo soli a
scrivere queste cose, beccandoci le letteracce di molti lettori.
Oggi sparare su SuperMario e i supertecnici che non han salvato niente e nessuno è
come picchiare un bambino che fa la cacca sul vasetto: troppo facile, anche
perché lo fanno tutti. Anzi i supertecnici si sparano fra loro sul caso dei
marò che sparavano ai pescatori scambiandoli per pirati: un po’ come molti
soloni della politica e dell’informazione che speravano nei tecnici
scambiandoli per Cavour, De Gasperi ed Einaudi. Gira e rigira, si torna sempre
all’Abc di questo oggetto misterioso (per molti) che si chiama democrazia: gli
elettori votano, chi vince governa, chi perde si oppone, la stampa e la
magistratura controllano, i cittadini vigilano, gli intellettuali pensano e aiutano
gli altri a pensare. E non c’è emergenza che possa indurre un giornale o un
programma libero a “fermare la lingua”, “azzerare il passato” e “soprassedere”.
Sarebbe un tradimento del nostro mestiere e dei nostri lettori, oltreché un
piccolo ulteriore arretramento dalla nostra democrazia. E poi lo fanno già in
troppi. Chi vuole giornalisti cantori che suonano la viola del pensiero sotto
il balcone dei potenti può cambiare giornale, e canale. Noi continueremo a
raccontare e a criticare chi lo merita. E, se è il caso, a disturbare i
manovratori.
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