lunedì 18 marzo 2013

Le mine vaganti del governo Monti: il ministro Terzi


da:  Lettera 43

Terzi, il fallimento del titolare della Farnesina
Scontro con l'India scatenato da un grave errore di gestione del ministro. Che non ha mai veramente fatto politica. Assente dai dossier importanti, attivo su Twitter. New Delhi ferma l'ambasciatore italiano.
di Gea Scancarello


Adesso sono informati anche gli aeroporti. E la faccenda si fa tremendamente seria.

Il governo indiano, preso in giro e inferocito per la mancata restituzione dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, ha diramato una nota ai propri frontalieri, con le generalità dell’ambasciatore italiano a Nuova Delhi e l’avviso di non lasciarlo passare: Daniele Mancini viene trattato come un delinquente qualsiasi, ostaggio di un Paese ostile. E, molto peggio, della stoltezza di quello per cui presta servizio.

LO STRAPPO ISTITUZIONALE. Il fermo del diplomatico è infatti l’epilogo momentaneo - il peggio, probabilmente, deve ancora arrivare - del comportamento scriteriato della Farnesina, con l’avallo autorevole di Palazzo Chigi e persino del Quirinale.
A dispetto della prassi istituzionale, che vuole un governo in via di sostituzione occuparsi «soltanto del disbrigo degli affari correnti» (una pratica implicitamente rafforzata dal fatto che anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è nel pieno del semestre bianco, e dunque con poteri limitati), il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata ha scelto un colpo di mano utile per la retorica nazionalista (e per la propria vanagloria), ma non per il bene della nazione.

LA FIDUCIA APPANNATA. La decisione di non restituire i due fucilieri alla giustizia indiana - con cui pure l’Italia ha lungamente trattato nel corso dell’ultimo anno, ottenendo anche qualche risultato - è il classico scivolone nello stile e nel metodo che rischia di compromettere la già appannata immagine del nostro Paese. Mettendone in dubbio l’onestà e l’affidabilità.

Terzi ha infatti chiesto a Mancini di garantire alla Corte indiana che i due marò sarebbero rientrati a Nuova Delhi, salvo poi strombazzare che non intende affatto rimettere Latorre e Girone su un aereo per l'India.

Come se non fosse abbastanza, il collega della Difesa, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, ha aggiunto che i due fucilieri possano tornare presto al servizio nella Marina.
È lecito quindi trarre la conclusione che l’Italia non rispetti i patti. E che sia un Paese di cui non ci si possa fidare.

La credibilità dell'Italia compromessa anche da un ministro assente

Questo certamente hanno pensato gli indiani, che fino a ora con Roma avevano trattato, magari sottobanco, come sempre succede in casi altamente delicati in cui la vera posta in ballo sono rapporti commerciali e partnership economiche.



Ma è la stessa conclusione che probabilmente avevano già tratto altri governi, benché formalmente amici, che hanno escluso l’Italia e il suo esecutivo da scelte cruciali.
Basti ricordare il caso di Franco Lamolinara, l'ingegnere italiano rapito in Nigeria insieme con altri britannici e ucciso in un blitz delle teste di cuoio di Londra. All’epoca, marzo 2012, Palazzo Chigi e la Farnesina non vennero nemmeno informate dall’alleato David Cameron dell’operazione. E, a cose fatte e italiano ucciso, mentre la nazione affondava nell'imbarazzo per essere stata esclusa dall'incursione, Terzi non poté che scrivere una lettera ai quotidiani dal titolo chiarificatore: «Governo frainteso su marò e Lamolinara».
IL MINISTRO ASSENTE. D’altronde, il ministro degli Esteri è il grande «non pervenuto» su qualsiasi dossier importante finito sul tavolo dell’amministrazione italiana nell’ultimo anno.
Non lo ha consultato François Hollande quando ha mandato i caccia francesi sul Mali, pur utilizzando con ogni probabilità lo scalo Nato di Sigonella, in Sicilia, per i rifornimenti.
E, nei mesi precedenti, Terzi non era stato consultato neppure sulle complesse decisioni sulla guerra civile siriana da Barack Obama, oltre che da Hollande e Cameron.
Il nostro ministro, d’altra parte, sul tema non ha mai manifestato altro che l’accesa intenzione di trovare una soluzione: una posizione talmente moscia che persino al meeting sulla Siria organizzato a Roma la sua voce non si è praticamente sentita. E, quando anche si è levata, lo ha fatto nell'indifferenza generale.

Terzi, d'altra parte, non ha mai mostrato alcun attivismo nel caso dei rapimenti di connazionali, in Siria e in altri Paesi. Basti ricordare il caso della cooperante Rossella Urru, sequestrata in Algeria nell'ottobre 2011 e liberata nel luglio 2012: a parte smentirne la morte in un paio di occasioni, non si sono registrate altre azioni del ministro.

LA POLITICA SU TWITTER. Assodato poi che tutta la pratica delle trattative economiche con l’Europa e gli Stati Uniti è stata demandata al premier Mario Monti, la Farnesina è totalmente sparita anche dagli scenari nordafricani: Terzi non si è praticamente mai visto in Libia, tradizionale cortile di casa dell’Italia ed è desaparecido su Egitto e Tunisia, da cui pure partono bastimenti di giovani che nel nostro Paese cercano posti di lavoro, ancorché irregolari.
Non si ricordano suoi interventi nemmeno sul fronte afgano, sul quale l'Italia combatte ormai da 12 anni e dove ha lasciato 52 vite.
Il ministro, per contro, è stato estremamente attivo su Twitter, accumulando follower, e sulla stampa amica, con interviste e copertine. È quasi un peccato che proprio alla scadenza del mandato abbia scelto di entrare nella politica vera. Perché lo ha fatto in modo dilettantistico. E l'errore grossolano resta appiccicato al Paese più che al suo curriculum vitae.

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