Marco
Bocci è Bonatti, sex symbol ad alta quota
Deve il suo successo
a due uomini di legge: il commissario Scialoja di Romanzo criminale e il
commissario Calcaterra di Squadra antimafia. «È incredibile che che la quarta
stagione sia stata, a detta degli appassionati, la migliore. Di solito le serie
lunghe vanno sempre a calare, ma in questo caso no. Ha premiato l’azione e lo
spirito di gruppo». Marco Bocci, ultimo eroe televisivo, il più amato dalle
italiane, faccia da simpatico mascalzone, è un ragazzo di provincia (Marsciano,
in provincia di Perugia) che ha iniziato a teatro ed è stato adottato dalla tv.
È passato da Incantesimo a Ris, Ho sposato uno sbirro, poi la fiction di Sky
che ha segnato la svolta, a cui deve tutto: Romanzo criminale. «Con Sollima
abbiamo imparato tutti a lavorare in un modo diverso. Mi hanno dato fiducia,
un’occasione così capita una volta nella vita… Voglio dire che nel mestiere
dell’attore conta il talento, certo, ma anche la fortuna. Non sempre puoi fare
quello che vuoi, il vero privilegio è scegliere: per esempio è stato un onore
interpretare Walter Bonatti, e mi ha cambiato un po’ la vita».
Ha il ruolo dello scalatore nel film tv
K2-La montagna degli italiani di Robert Dornhelm, in onda il 18 e il 19 marzo su RaiUno. Nel 1954,
mentre l’Italia lotta per riprendersi dalla guerra, Ardito Desio (Giuseppe
Cederna) ottiene da Alcide De Gasperi (Paolo Graziosi) il sostegno per una
missione apparentemente impossibile: conquistare il K2, coi suoi
8611 metri, la
seconda montagna più alta del mondo, una delle cime più ardue della catena
dell’Himalaya. Per farlo convoca una squadra con i più forti scalatori
italiani: il veterano Riccardo Cassin (Alberto Molinari), Achille Compagnoni
(Massimo Poggio), Lino Lacedelli (Michele Alhaique), il giovane Bonatti, Mario
Puchoz (Giorgio Lupano) e molti altri. Ma tra gli alpinisti si scatena subito
la competizione e Desio capisce che la vera sfida sarà trasformarli in una vera
squadra. Altrimenti ciò che si rischia non è un insuccesso ma una tragedia; in
realtà l’impresa ha scatenato polemiche durate 50 anni.
Bocci, Walter Bonatti era un uomo
speciale, con una filosofia di vita. Com’è stato interpretarlo?
«È la prima volta in
assoluto in cui mi sono sentito una grossa responsabilità, non voglio parlare
di crisi, ma di ansia da prestazione, sì. Volevo cercare di rappresentarlo al
meglio, senza inventare nulla. Bonatti era ottimista, generoso, si metteva a
disposizione dell’impresa era anche spavaldo, a suo modo, ma non in maniera
negativa, lo era nei confronti dell’avventura. Amava la natura e la rispettava.
Per la prima volta ho capito cosa vuol dire fare i conti con i limiti del
proprio fisico, abbiamo girato in Austria rischiando di congelarci».
Come
si è allenato per non avere problemi?
«Ero pronto dal
punto di vista cardiovascolare, ho corso tanto, mi sono abituato alla fatica;
eravamo a 3600 metri con la neve che arrivava alla vita, anche cercare di fare
un passo era complicato. Abbiamo girato in posti dove le attrezzature non
riuscivano ad arrivare, sono stato mezza giornata attaccato con una corda a un
chiodo fissato su una parete a 300 metri di dislivello».
Ha
avuto paura?
«In quel momento ho
capito quando Bonatti diceva: ci sei solo tu e la montagna. Posso dirlo? Mi
cagavo sotto, c’è la paura ma anche l’adrenalina che ti spinge a fare certe
cose. Ero sospeso e non sapevo più come tirarmi su, c’era una guida alpina che
mi dava le coordinate ma non riuscivo a sentirlo, ho pensato a ogni passo che
facevo. Mi dicevo: se lo sbagli potrebbe essere l’ultimo. Sei solo concentrato
su te stesso, i polmoni si dilatano, se perdi la testa è finita».
Dopo
l’impresa del K2 c’è stato un processo durato cinquant’anni, la storia delle
bombole portate su da Bonatti.
«Raggiunsero la
vetta Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, con il supporto dell’intero gruppo.
Un contributo fondamentale fu fornito da Bonatti e Amir Mahdi (nel film
interpretato da Matteo Azchirvani) che rischiando di morire in un bivacco
notturno a oltre 8100 metri (scavarono una buca per proteggersi dal gelo),
trasportarono le bombole d’ossigeno essenziali per il compimento della
missione. La sceneggiatura segue passo dopo passo gli atti del processo, non
c’è niente di reinterpretato o di romanzato».
Ha
35 anni, primo bilancio?
«Mi ritengo
soddisfatto, ho creduto nei lavori che ho fatto. Tanti mi hanno ripagato. Altri
meno. Ripeto, Romanzo criminale mi ha dato grande visibilità, essere apprezzato
anche dagli addetti ai lavori ti dà tante chance in più. Ora sto leggendo
diversi copioni, voglio tornare a teatro, mi manca. Fino a qualche anno fa
riuscivo a portare in scena uno spettacolo, ora che non posso quando vado a
trovare amici che recitano rosico».
Con chi vorrebbe lavorare?
«Oliver Stone, se la
devo sparare grossa. Ma anche in Italia abbiamo grandi registi e pochi soldi,
purtroppo. Garrone, Sorrentino, Salvatores, Michele Placido non hanno niente da
invidiare a nessuno. C’è un livello alto di interpreti e di autori, una voglia
di fare che non sempre si riesce a convogliare. Poi si va ondate. Va la
commedia generazionale? Per tre anni si fanno solo quelle, poi nessuno le va più
a vedere e si grida alla crisi. In realtà anche i produttori rischiano il meno
possibile».
Ormai
il suo nome è legato al commissario Calcaterra di Squadra antimafia: si è posto
il problema di legarsi così tanto a un personaggio?
«Il dubbio mi è
passato subito, perché ho fatto tante altre cose. Sentirmi legato non è mai
stato un cruccio troppo grande, anche perché oggi avere una fiction che ha
successo di pubblico è una garanzia. Guarda caso tanti artisti che sputavano
sulle serie, gli snob, sono tornati sui propri passi. Ci sono grandi attori di
cinema in tv, per fortuna le acque si sono mischiate. Noi recitiamo: se fossimo
in America nessuno farebbe queste distinzioni».
È considerato un sex symbol, quando ha
contato la bellezza?
«Non lo so. Può
contare nell’ambito quotidiano ma sul lavoro non ci ho mai puntato, ho fatto un
percorso… Se devo sembrare brutto sporco e cattivo ben venga. Non ho mai
ragionato come un bello. Se gli altri pensano che lo sia, meglio così».
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