lunedì 18 marzo 2013

Rai1, film tv ‘K2-La montagna degli italiani: Marco Bocci è Bonatti




Marco Bocci è Bonatti, sex symbol ad alta quota



Deve il suo successo a due uomini di legge: il commissario Scialoja di Romanzo criminale e il commissario Calcaterra di Squadra antimafia. «È incredibile che che la quarta stagione sia stata, a detta degli appassionati, la migliore. Di solito le serie lunghe vanno sempre a calare, ma in questo caso no. Ha premiato l’azione e lo spirito di gruppo». Marco Bocci, ultimo eroe televisivo, il più amato dalle italiane, faccia da simpatico mascalzone, è un ragazzo di provincia (Marsciano, in provincia di Perugia) che ha iniziato a teatro ed è stato adottato dalla tv. È passato da Incantesimo a Ris, Ho sposato uno sbirro, poi la fiction di Sky che ha segnato la svolta, a cui deve tutto: Romanzo criminale. «Con Sollima abbiamo imparato tutti a lavorare in un modo diverso. Mi hanno dato fiducia, un’occasione così capita una volta nella vita… Voglio dire che nel mestiere dell’attore conta il talento, certo, ma anche la fortuna. Non sempre puoi fare quello che vuoi, il vero privilegio è scegliere: per esempio è stato un onore interpretare Walter Bonatti, e mi ha cambiato un po’ la vita».

Ha il ruolo dello scalatore nel film tv K2-La montagna degli italiani di Robert Dornhelm, in onda il 18 e il 19 marzo su RaiUno. Nel 1954, mentre l’Italia lotta per riprendersi dalla guerra, Ardito Desio (Giuseppe Cederna) ottiene da Alcide De Gasperi (Paolo Graziosi) il sostegno per una missione apparentemente impossibile: conquistare il K2, coi suoi
8611 metri, la seconda montagna più alta del mondo, una delle cime più ardue della catena dell’Himalaya. Per farlo convoca una squadra con i più forti scalatori italiani: il veterano Riccardo Cassin (Alberto Molinari), Achille Compagnoni (Massimo Poggio), Lino Lacedelli (Michele Alhaique), il giovane Bonatti, Mario Puchoz (Giorgio Lupano) e molti altri. Ma tra gli alpinisti si scatena subito la competizione e Desio capisce che la vera sfida sarà trasformarli in una vera squadra. Altrimenti ciò che si rischia non è un insuccesso ma una tragedia; in realtà l’impresa ha scatenato polemiche durate 50 anni.



Bocci, Walter Bonatti era un uomo speciale, con una filosofia di vita. Com’è stato interpretarlo?
«È la prima volta in assoluto in cui mi sono sentito una grossa responsabilità, non voglio parlare di crisi, ma di ansia da prestazione, sì. Volevo cercare di rappresentarlo al meglio, senza inventare nulla. Bonatti era ottimista, generoso, si metteva a disposizione dell’impresa era anche spavaldo, a suo modo, ma non in maniera negativa, lo era nei confronti dell’avventura. Amava la natura e la rispettava. Per la prima volta ho capito cosa vuol dire fare i conti con i limiti del proprio fisico, abbiamo girato in Austria rischiando di congelarci».
Come si è allenato per non avere problemi?
«Ero pronto dal punto di vista cardiovascolare, ho corso tanto, mi sono abituato alla fatica; eravamo a 3600 metri con la neve che arrivava alla vita, anche cercare di fare un passo era complicato. Abbiamo girato in posti dove le attrezzature non riuscivano ad arrivare, sono stato mezza giornata attaccato con una corda a un chiodo fissato su una parete a 300 metri di dislivello».
Ha avuto paura?
«In quel momento ho capito quando Bonatti diceva: ci sei solo tu e la montagna. Posso dirlo? Mi cagavo sotto, c’è la paura ma anche l’adrenalina che ti spinge a fare certe cose. Ero sospeso e non sapevo più come tirarmi su, c’era una guida alpina che mi dava le coordinate ma non riuscivo a sentirlo, ho pensato a ogni passo che facevo. Mi dicevo: se lo sbagli potrebbe essere l’ultimo. Sei solo concentrato su te stesso, i polmoni si dilatano, se perdi la testa è finita».
Dopo l’impresa del K2 c’è stato un processo durato cinquant’anni, la storia delle bombole portate su da Bonatti.
«Raggiunsero la vetta Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, con il supporto dell’intero gruppo. Un contributo fondamentale fu fornito da Bonatti e Amir Mahdi (nel film interpretato da Matteo Azchirvani) che rischiando di morire in un bivacco notturno a oltre 8100 metri (scavarono una buca per proteggersi dal gelo), trasportarono le bombole d’ossigeno essenziali per il compimento della missione. La sceneggiatura segue passo dopo passo gli atti del processo, non c’è niente di reinterpretato o di romanzato».
Ha 35 anni, primo bilancio?

«Mi ritengo soddisfatto, ho creduto nei lavori che ho fatto. Tanti mi hanno ripagato. Altri meno. Ripeto, Romanzo criminale mi ha dato grande visibilità, essere apprezzato anche dagli addetti ai lavori ti dà tante chance in più. Ora sto leggendo diversi copioni, voglio tornare a teatro, mi manca. Fino a qualche anno fa riuscivo a portare in scena uno spettacolo, ora che non posso quando vado a trovare amici che recitano rosico».

Con chi vorrebbe lavorare?
«Oliver Stone, se la devo sparare grossa. Ma anche in Italia abbiamo grandi registi e pochi soldi, purtroppo. Garrone, Sorrentino, Salvatores, Michele Placido non hanno niente da invidiare a nessuno. C’è un livello alto di interpreti e di autori, una voglia di fare che non sempre si riesce a convogliare. Poi si va ondate. Va la commedia generazionale? Per tre anni si fanno solo quelle, poi nessuno le va più a vedere e si grida alla crisi. In realtà anche i produttori rischiano il meno possibile».
Ormai il suo nome è legato al commissario Calcaterra di Squadra antimafia: si è posto il problema di legarsi così tanto a un personaggio?

«Il dubbio mi è passato subito, perché ho fatto tante altre cose. Sentirmi legato non è mai stato un cruccio troppo grande, anche perché oggi avere una fiction che ha successo di pubblico è una garanzia. Guarda caso tanti artisti che sputavano sulle serie, gli snob, sono tornati sui propri passi. Ci sono grandi attori di cinema in tv, per fortuna le acque si sono mischiate. Noi recitiamo: se fossimo in America nessuno farebbe queste distinzioni».

È considerato un sex symbol, quando ha contato la bellezza?
«Non lo so. Può contare nell’ambito quotidiano ma sul lavoro non ci ho mai puntato, ho fatto un percorso… Se devo sembrare brutto sporco e cattivo ben venga. Non ho mai ragionato come un bello. Se gli altri pensano che lo sia, meglio così».

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