L’ho scompata bella. Ho “seriamente temuto”
che la spartizione politica designasse Angelo Scola come papa.
Per quanto…me lo devo tenere come
arcivescovo di Milano.
Io sono un’anticiellina convinta, ma
non è per questo che Scola non mi piace. E’ che non mi dice nulla.
Da quando è diventato arcivescovo di
Milano, si è mosso politicamente bene, sganciandosi subito da certe amicizie “imbarazzanti”
(Formigoni). Per convinzione e/o opportunismo non so, ha subito cercato di
dimostrare il suo essere per tutti e non solo di una parte. Quella di Comunione
e Liberazione.
Tentativo parzialmente riuscito e in tempo
utile per il conclave. Però..
E’ un seguace di Don Giussani. Che era un
ermetico. Il suo modo di scrivere e, conseguentemente, di trasmettere, era inversamente
proporzionale a quello di Ratzinger. Scola è della stessa specie di don Giussani. Parla un
italiano perfetto ma non trasmette nulla.
Almeno a me….
Tutti i santi hanno tratti caratterizzanti.
Tutti i papa che hanno lasciato un segno hanno tratti caratterizzanti.
Angelo Scola non li ha…
Se qualcuno che ascolta le sue omelie, che
segue l’azione della diocesi milanese, mi sa indicare il tratto caratterizzante
di Scola..ne discutiamo.
da: La Stampa
Scola
tradito dagli italiani fin dalla prima votazione
Vecchi
rancori e il legame con Cl: così è maturata la svolta
di Giacomo
Galeazzi
Che per il super-favorito Scola le cose
potessero complicarsi lo si era già visto martedì. Pochi istanti dopo l’extra
omnes e la meditazione in Sistina, a sorpresa Bergoglio aveva ottenuto subito
il maggior numero di voti. Però al primo scrutinio i consensi erano troppo
sparpagliati per delineare un quadro realmente indicativo. Si trattava comunque
di un campanello d’allarme per l’arcivescovo di Milano, accreditato di tali
chance di vittoria che ieri, a pochi minuti dall’annuncio del protodiacono, uno
sfortunato comunicato del segretario generale della Cei esprimeva «i sentimenti
dell’intera Chiesa italiana nell’accogliere la notizia dell’elezione del
cardinale Angelo Scola a Successore di Pietro».
A sbarrare
a Scola la strada verso il Sacro Soglio è stata la confluenza di due cordate e di due ordini di valutazioni nettamente
distinte: quella extraeuropea (e soprattutto sudamericana) intenzionata a
portare per la prima volta il papato fuori dal Vecchio continente e quella
curiale dei nemici-alleati Bertone e Sodano irriducibilmente ostili a Scola.
«Per antiche invidie e rivalità», commentano nelle Sacre Stanze. A Bertone non è mai andato giù il consiglio di Scola al Papa in un
incontro a Castel Gandolfo durante la bufera per la grazia al vescovo
negazionista Williamson: la sua
sostituzione alla guida della Segreteria di Stato. Da parte sua, invece, Sodano si è trovato su opposte barriere rispetto a Scola in
varie partite di potere per il controllo di istituzioni cattoliche. Lo stesso Ruini, pur stimando Scola, non ha dato indicazioni di voto a suo
favore ai conclavisti come l’australiano Pell che hanno chiesto di potergli
fare visita prima del conclave. Insomma, i 28 elettori italiani non hanno
remato tutti nella stessa direzione e così hanno vanificato la possibilità di
riportare un loro connazionale sul Soglio di Pietro 35 anni dopo Luciani.
Neppure tra gli arcivescovi residenziali
italiani c’è stata totalità di consensi per Scola, al quale perciò non potevano
più bastare i consensi di numerosi elettori europei. Inoltre i conclavisti vicini alla comunità di
Sant’Egidio (per esempio, Sepe) non vedevano di buon’occhio la vicinanza di
Scola a un movimento distante dalla loro impostazione come Comunione e Liberazione. Nelle ultime ore non erano mancati segnali
che la candidatura fortissima di Scola fosse un gigante dai piedi d’argilla. A
parole tutti riconoscevano la sua eccezionale statura di vescovo e
intellettuale, però poi, a scavare un po’ oltre le frasi di circostanza,
affioravano distinguo e riserve. E soprattutto prendeva sempre maggior campo
quella suggestione per il “volo oltre oceano” che faceva vacillare
l’opportunità di ripiegarsi su un pontificato italiano mentre la gran parte
della sua crescita la Chiesa la sta sperimentando in Sud America, Africa, Asia.
«Non può esserci sempre il pastore a monte e il gregge a valle», sintetizzò un
porporato africano in congregazione.
Inoltre poco prima dell’avvio del conclave,
il sodaniano Lajolo aveva pubblicamente dato voce al fastidio della Curia per
il protagonismo della pattuglia statunitense e pochi vi colsero il gradimento
del partito del decano per uno stile più sobrio. Proprio la cifra di basso
profilo, l’etichetta rispettata da Bergoglio per l’intera durata della sede
vacante. Pochissima esposizione, uscite pubbliche ridotte al minimo e
congregazioni generali vissute alla stregua degli altri peones del collegio
cardinalizio malgrado nel 2005 avesse ottenuto nell’elezione pontificia più
consensi di chiunque altro ad eccezione di Ratzinger. E Benedetto XVI non ha
mai fatto mistero della sua considerazione per l’austero gesuita che ha
«purificato» la Chiesa argentina dalle compromissioni con il regime
militare.
Per Bergoglio ora come otto anni fa il
luogo fatale è stata Santa Marta. Ma stavolta con risultato opposto. Ciò che è
accaduto ieri alle 13,30 nella Domus conta più dei primi scrutini senza esito
nella Sistina. Alle fumate nere, infatti, sono seguiti i conciliaboli domestici
nella residenza degli elettori. Bertone e Re hanno parlato con Bergoglio
garantendogli il loro sostegno. Prima i conclavisti mangiavano e dormivano
nella cappella affrescata da Michelangelo, dal 2005 rientrano (in navetta o a
piedi) per i pasti e il pernottamento nell’albergo fatto ristrutturare da
Giovanni Paolo II. Durante i pranzi e le cene i cardinali discutono liberamente
ed entrano in azione i pontieri che offrono una possibile conciliazione tra le
diverse fazioni. Otto anni fa, fu proprio nel refettorio di Santa Marta che la
partita si chiuse a favore di Ratzinger. «Dall’ultima cena in poi, nella Chiesa
le cose importanti vengono decise a tavola», spiega sorridendo un elettore di
Ratzinger.
Nel conclave del 2005, dopo le prime tre
votazioni, Bergoglio si rivolse ai commensali con un discorso destinato a
cambiare immediatamente le sorti di quella elezione pontificia. Chiese
espressamente ai suoi quaranta sostenitori di smettere di votarlo. Insomma
davanti a un piatto di pasta al sugo o a un digestivo si è deciso anche
stavolta chi si dovesse affacciarsi vestito di bianco dal balcone di San
Pietro. Le ore trascorse a Santa Marta, tra salottini, confessionali e cappella
interna, hanno offerto occasioni per concordare informalmente l’uscita di scena
dei candidati con minori consensi, a tutto vantaggio del papabile che nei primi
tre scrutini avevano ottenuto più voti.
Abboccamenti in extremis che, nello stallo
delle votazioni, sono risultati determinanti. I dubbi sono diventati
scomposizione di cordate e l’appannamento della stella di Scola si è tramutato
nella polarizzazione attorno al mite Bergoglio.
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