da: La Stampa
Conclave
1 - Parlamento 0
Possibile che un centinaio di anziani preti
abbiano intercettato in pochi giorni il desiderio di cambiamento che i politici
italiani si rifiutano da anni di vedere? Da quando papa Francesco è apparso al
balcone, con quella faccia da «santo subito» che i primi gesti si sono
incaricati di confermare, le persone normali non smettono di porsi questa
domanda.
Chi crede nello Spirito Santo ha la
risposta pronta. Gli altri arrancano, ma il buon senso giunge loro in soccorso.
Suggerendo che ai cardinali giunti a Roma per l’elezione del successore di
Ratzinger sia bastato annusare l’aria di Curia per capire che con un altro
pontefice intellettuale si sarebbe rischiato il tracollo. Sesso, soldi,
segreti, ricatti, il Vaticano precipitato in un brutto romanzo di Dan Brown.
Per risollevare l’umore dei fedeli e la reputazione della ditta non serviva
tanto un cesellatore di encicliche, quanto un uomo di cuore. Meglio se
provvisto di mano ferma e di una certa energia vitale, per non prendere troppi
raffreddori in quelle stanze piene di spifferi.
Tratteggiato l’identikit del momento,
hanno individuato la persona giusta e l’hanno votata. Tra alti e bassi, si
comportano allo stesso modo da circa duemila anni: è una delle ragioni della
loro durata.
E qui scatta il paragone deprimente. Perché
mentre le cronache del Conclave
raccontano di un Bergoglio che va a saldare il
conto dell’albergo la mattina dopo essere diventato papa, quelle della politica
insinuano una possibile candidatura alla presidenza del Senato della signora
Finocchiaro, di cui solo gli estimatori strettissimi ricordano pensieri e
parole, mentre alle folle furibonde che poi votano Grillo il suo nome riporta
piuttosto alla mente una fotografia che la ritrae all’Ikea con la scorta
intenta a trascinarle il carrello della spesa.
Intendiamoci. Alzi la mano, o uno scaffale
di truciolato, chi osa mettere in dubbio che Finocchiaro sia una persona
meravigliosa e una politica eccellente. Però appartiene ad altra epoca storica.
E non per età, ma per anzianità di servizio e di linguaggio: incomprensibile
senza traduttore automatico. Possibile che, persino dopo la scoppola
elettorale, fra i dirigenti di lungo corso di quel partito nemmeno uno sia
stato attraversato dal sospetto che in tempi di sommossa sociale contro la
Casta certi nomi abbiano sullo stomaco dei cittadini lo stesso effetto di una
peperonata a colazione?
Non che dalle parti del Pdl i cervelli
sfrigolino meglio. Ieri il collegio cardinalizio della libertà era riunito a
conclave nella suite ospedaliera di Polifemo Berlusconi. Fra i porporati più
attivi si segnalava Cicchitto, lo stesso Cicchitto su cui già quarant’anni fa
si espresse definitivamente Montanelli con uno dei suoi formidabili
controcorrente: «A chi ieri gli chiedeva perché avesse fondato una nuova
corrente del Psi, l’onorevole Cicchitto ha risposto: “Devo pur vivere anch’io”.
Non ne vediamo il motivo».
Non serve possedere l’intuito di un
cardinale di Santa Romana Chiesa. Ai protagonisti della Seconda Repubblica al
crepuscolo basterebbe un giro al mercato (senza scorta) per capire che il loro
tempo in politica è finito. Almeno per ora. I vecchi democristiani - cardinali
in sedicesimo - sapevano quando era il momento di inabissarsi, di mandare
avanti le seconde linee per poi ricomparire al successivo cambio di stagione.
Oppure per dedicarsi ad altro, applicando su se stessi quel principio di riconversione
esistenziale che oggi la politica auspica soltanto per i cassintegrati.
Costretti, e con molti meno mezzi, a reinventarsi la vita a cinquant’anni. Ma i
nuovi notabili non hanno il fiuto dei cardinali né l’udito dei democristiani. A
furia di credere che la campana suoni sempre per qualcun altro, non si
accorgono che è suonata per loro.
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