da: L’Huffington Post
Il
mestiere della verità
di Giovanni
Tizian
"Gli spariamo in bocca". E io
ignaro corro ogni giorno a caccia di una notizia, piccola o grande che sia, tra
precarietà e pericolo. E' incredibile come un pezzo di novanta righe scritto su
un quotidiano locale possa mettere in crisi un sistema dai contorni mafiosi ben
radicato.
In questo Paese raccontare la verità può
costare molto caro. Possono fartela pagare con la violenza. Sguainando le
pistole. Oppure attraverso metodi più raffinati. Esercitando pressioni sulle
persone giuste, sugli insospettabili, per esempio. Pur se meno grave per
l'incolumità personale, è drammatico dal punto di vista etico.
E' sintomatico di un'Emilia, e del Nord
ingenerale, dove è diventato fin troppo facile per i mafiosi agganciare
professionisti disposti a muovere le pedine giuste per agevolare gli scopi
dell'organizzazione criminale. In cambio di un'entrata extra a fine mese e di
una protezione armata ai loro affari". Nella mia situazione ci sono altri
bravissimi colleghi. Penso a Lirio Abbate, Rosaria Capacchione, Roberto
Saviano. E ai tanti cronisti di provincia in terre di frontiera costretti a
subire minacce quotidiane. Esempi di giornalismo vero, di
"giornalismogiornalismo". Armati di pc, penna e quaderno, cerchiamo
di svolgere al meglio lanostra funzione: informare. Raccontare ai cittadini il
lato nascosto della realtà.
Da un anno e qualche mese vivo sotto
scorta. La protezione è stata decisa
d'urgenza il 2 dicembre 2011, dopoavere
ascoltato la telefonata tra GuidoTorello e don Nicola Femia, detto"
Rocco" in cui progettano di zittirmi. Il re delle slot, Femia, chiede
aiuto al dottor Torello, che prende carta e penna per appuntarsi nome del
giornale e del giornalista. Le loro intenzioni? Ammazzarmi, forse. O più
probabile fare pressioni su qualcuno di importante a Modena per incatenarmi le
mani e spezzarmi la penna.
Ma che segreti nasconde "Rocco"
da temere le inchieste giornalistiche di un giovane cronista di provincia. Cela
un passato di arresti per narcotraffico, da alleato delle cosche della Locride.
E un presente da impresario del gioco legale. Da ricco imprenditore delle video
slot, forte dei suo metodi mafiosi, secondo l'accusa, con cui si è imposto nel
mercato. Controlla attraverso familiari e prestanome decine di società che
noleggiano le macchinette mangiasoldi e le ricariche per il poker online.
L'impero della Holding Femia, sconosciuto fino al 2010, più di tutto teme la
parola, la carta, l'informazione. Di lui avevo riportato affari, amicizie,
trascorsi. Provocando una reazione brutale.
Mi occupai della prima volta di
"Rocco", conosciuto agli atti anche come "u-Curtu", nel
2010. Un'inchiesta di due pagine sul controllo mafioso dei videopoker prima e
delle slot dopo. Raccontavo di un passaggio di testimone tra clan dei Casalesi
- dagli anni '90 leader del settore nel Modenese - e la' ndrangheta. La mafia
calabrese è oggi in grado di fornire consulenze alle altre organizzazioni
intenzionate a investire nel gioco d'azzardo legale, la quale, va ricordato, è
la terza economia del Paese. E proprio di offerta di servizi sitrattava quando
tra le pagine di un'inchiesta sul clan dei Casalesi trovai il nome di Nicola
Femia.
Era il 2-009 e lui un perfetto sconosciuto
agli investigatori locali e ai giornali. In quell'inchiesta il clan di Gomorra
chiama di continuo "Rocco". A lui richiedono ricariche per il poker
online. Gli uomini del boss Nicola Schiavone, il figlio del noto
"Sandokan", hanno affidato a Femia il compito di rifornirli della
materia prima: le card con cui i clienti possono giocare migliaia di euro a
serata. Da lì partii per mettere insieme i pezzi della futura indagine
giornalistica. Intrecciai semplicemente alcuni fatti emersi da documenti di
diverse procure. A qualcuno però quelle due pagine non andarono giù. Ma,
avranno pensato, sarà un caso, e lasciarono correre.
L'anno successivo, a dicembre 2011, la
Guardia di Finanza di Caltanissetta sequestra alcune società di noleggio video
slot. Tra queste una ditta con sede a Modena e legata a Cosa nostra. Il capo
servizio, oltre a raccontare la cronaca con carte alla mano, mi chiede un
approfondimento. Ne viene fuori un articolo in cui racconto la lunga vita
imprenditoriale di "Rocco". Ma soprattutto lo metto in relazione alla
'ndrangheta lombarda.
Metto a nudo le amicizie di cui gode il
"re" emiliano del gioco. Amico del boss Leonardo Valle e del suo
braccio economico Giulio Lampada. Entrambi, secondo gli investigatori,
espressione raffinata del potenteclan Condello di Reggio Calabria. Racconto di
quando Giulio Lampada chiama "Rocco" per organizzare una cena
elettorale in Emilia. In previsione delle politiche del 2008 e a sostegno di un
candidato dell'Udc di Reggio Emilia. Infine ho scritto delle avventure
societarie di Femia la settimana scorsa. Raccontando il suo rapporto di
conoscenza con un altro nome di primo piano delle 'ndrine lombarde: Paolo Martino,
fedelissimo, secondo i magistrati, della famigerata cosca De Stefano di Reggio
Calabria.
Al secondo approfondimento apparso sulla Gazzetta,
Femia decide che devo smettere di scrivere. Forse impaurito dalla possibilità
che partano indagini sul suo patrimonio. Telefona al faccendiere di Asti,
Torello, per chiedere un disperato aiuto: zittirmi, in qualsiasi modo. E il
professionista, che Femia chiama "Dottore", si dimostra
disponibilissimo.
"Dammi il nome ", "lo
facciamo smettere", e via discorrendo, fino a ipotizzare una cordata tra
giornale e magistratura fatta di scambio di notizie sulconto di Femia. Conclude
Torello: "Seno gli spariamo in bocca". Frasi glaciali, pronunciate
con una calma chefa tremare ancor più della minaccia stessa. Come se stessero
elaborando un piano industriale in cui la vita umana passa in secondo piano.
Le parole, a volte, fanno più maledelle
pistole. E ora, un pezzo della storia si è chiusa con l'arresto del gruppo
imprenditoriale" criminale" di Femia e dei suoi complici. Per quanto
riguarda me, nessun dubbio o ripensamento. Con la testa e gli occhi continuerò
a raccontare la cruda verità e le ingiustizie di questa Italia fatta a pezzi da
interessi e giochi criminali, chepiù di ogni altra cosa temono le parole e
l'informazione.
Articolo pubblicato su Repubblica il 24 gennaio 2013
"O la smette o gli sparo in
bocca", ascolta l'audio
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