lunedì 14 gennaio 2013

Festival Sanremo 2013, ospiti: Asaf Avidan


da: la Repubblica

Asaf Avidan: "Avevo perso tutto.
La voce mi ha guarito e ora sono una star"


Sarà tra gli ospiti internazionali del prossimo Sanremo. "Il mio manager me l'ha appena comunicato, sarò al Festival il 13 febbraio", conferma Asaf Avidan, il rocker israeliano. Trentadue anni, magrissimo, tatuato, l'aria da enfant gâté maledetto, Avidan - figlio di diplomatici, vissuto in Giamaica dagli otto agli undici anni, cresciuto a Gerusalemme, una star in patria - è diventato famoso in pochi mesi a livello mondiale grazie al remix One Day /Reckoning Song (oltre cento milioni di visualizzazioni su YouTube) che aveva inciso quattro anni addietro con il gruppo dei Mojos. Il 15 gennaio pubblica Different Pulses, primo album da solista in cui dà sfogo alla sua voce particolarissima, metallica, infantile, dolente, in bilico tra Tim Buckley e Thom Yorke. "La reincarnazione di Janis Joplin", ha commentato Roberto Saviano, un suo fan. "È un onore che l'autore di Gomorra si sia interessato alla mia musica", commenta l'artista. "Quanto a Janis Joplin, credo che lo scrittore si riferisca soprattutto ai miei primi dischi, quando ostentavo un tipo di voce più roca e blues. Le canzoni del nuovo cd, il quinto, sono assai più personali, eclettiche, indefinibili".

Come è cambiata la sua vita dopo il successo internazionale di Reckoning?
"Nulla è cambiato. Ho costruito la mia carriera con le unghie e i denti. Continuo a lavorare sodo, con la stessa feroce determinazione di prima, schivando l'imitazione. Non credo che l’accettazione del pubblico debba influenzare l'attitudine dell'artista. Sarebbe l'inizio della fine".


La celebrità non sempre è un buon viatico per il giovane rocker.
"Sono tornato in patria da un paio di settimane dopo un tour interminabile e, a dire il vero, le cose non sono esattamente come prima. Posso permettermi una casa, e nel 2013 non potrò rimanere in Israele per più di due mesi. Il successo richiede sacrifici, come qualsiasi lavoro. Non mi lamento. Volevo far conoscere la mia musica, ora non mi tiro indietro, anche se la vita on the road è durissima".

Com'è nata Reckoning?
"È una ballata personale, delicata, disperata, uno di quei brani di cui un autore è geloso come di un figlio o di una fidanzata. A dir la verità il remix non mi è piaciuto per niente. Avevo dato l'ok quando mi avevano mandato il link da Berlino, non pensavo che avrebbe avuto questa risonanza. Ho detto di sì per evitare che pensassero: ma questo chi si crede di essere?".

Quando è nata la sua passione per la musica?
"Incominciai a immaginarmi cantante sei anni fa, frequentavo un corso di animazione alla Bezalel Academy di Gerusalemme. Poi arrivai a un punto morto nella mia vita, persi il lavoro, la casa, la ragazza mi lasciò, avevo bisogno di un mezzo immediato per esprimermi. Cominciai a scrivere e cantare canzoni introverse con la voce angosciata. Fu una terapia. Forse la musica non mi ha guarito ma mi ha purificato, soprattutto attraverso i concerti; quando sono sul palco riesco a esorcizzare ogni angoscia".

Com'è stato per un aspirante rocker crescere a Gerusalemme?
"I bambini si adattano all'ambiente più facilmente degli adulti. Per me la tensione era la normalità. Poi ho frequentato una scuola d'arte, i miei amici erano più interessati al cinema e al teatro che alla questione israelo-palestinese. Mi sono reso conto di vivere in una città malinconica che avrebbe negativamente condizionato - limitato certamente - la mia ispirazione. Israele è un paese piccolo, ma le altre città non sono come Gerusalemme, dove i tumulti sono all'ordine del giorno. Ora vivo a Tel Aviv, una capitale dinamica, con un'effervescente vita giovanile. Gerusalemme mi sembra lontana mille miglia. È un posto per conservatori, non per un ragazzo liberal e decisamente poco religioso come me". 

Come affrontò il periodo della leva?
"Dovevo fare il militare per tre anni - come la legge impone a uomini e donne - me la sono cavata con dodici mesi. Ritrovarmi col mitra in mano a presidiare una frontiera fu uno choc. Avevo diciotto anni quando ricevetti la cartolina, non ero cresciuto con quei valori tipo "sono pronto a morire per il mio paese". Non vestivo l'uniforme con orgoglio, non sarei mai diventato un soldato aggressivo e spietato".

Che ricordi ha degli anni trascorsi in Giamaica?
"Non sono mai stato affascinato dalla musica reggae. Amo Bob Marley per i contenuti delle canzoni, per la sua genialità. Tuttavia crescere a contatto con culture e sonorità diverse mi ha aiutato a capire che in musica non ci sono confini".

Quali sono gli artisti che l'hanno ispirata di più?
"Ho sempre avuto una grande ammirazione per Leonard Cohen, Bob Dylan e Tom Waits grazie ai vinili di mio padre. Con i Nirvana fu amore a prima vista. Oggi ascolto i blues di Robert Johnson e John Lee Hooker; le grandi vocalist come Billie Holiday e Nina Simone; il rock'n'roll di Elvis e dei primi Beatles; il rock di Radiohead e Kings Of Leon; ma anche Chopin e Bach. Mi interessano gli artisti che restituiscono in maniera forte e unica le loro visioni interiori - questo è quel che rende Nina Simone e Thom Yorke, due artisti apparentemente inconciliabili, assolutamente vicini". 

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