martedì 29 gennaio 2013

Donne: l’Europa delle diseguaglianze



da: Lettera 43

Donne, l'Europa delle disuguaglianze
In Ue c'è un divario tra Nord e Sud sulle quote rosa. In Germania tre su quattro lavorano. In Italia solo una su due: peggio di noi c'è solo Malta.
di Barbara Ciolli

In Germania tre donne su quattro lavorano e il loro stipendio è inferiore di appena il 2% delle buste paga maschili, secondo i dati dell'Istituto dell'economia tedesca di Colonia (Iw).
Che dire poi della Scandinavia, che vanta punte d'occupazione femminili superiori al 90% e donne casalinghe orgogliosamente in via di estinzione?
In Italia si apre invece l'abisso della diseguaglianza, fotografato dall'Istat a fine 2012. Nord e Sud sono due mondi agli antipodi, quasi come fino a 20 anni fa lo erano l'Est e l'Ovest in Germania. Se al settentrione le lavoratrici raggiungono quota 70% come nel Nord Europa, al di sotto di Roma la percentuale crolla al 35% (la più bassa dell'Unione europea), per una media nazionale del 50% che, nella classifica Eurostat del 2011, quanto a maglia nera ci pone davanti solo a Malta e, dopo la crisi del 2008, Grecia.
IL 34% È SENZA REDDITO. Nell'ultimo anno, quasi il 34% delle italiane tra i 25 e i 54 anni non ha percepito reddito, una madre su quattro ha perso il lavoro a due anni dal parto e, tra le senza impiego, il 47% non ha accesso al conto corrente del compagno.
Su questo spaccato da Dopoguerra pesa, certo, la crisi che, decimando i contratti tra i giovani, ha colpito anche le donne. Ma, per le maggiori esperte di occupazione
e politiche femminili dei Paesi europei, pesano anche la mancanza di servizi all'infanzia (soprattutto di asili nido), i tagli alla spesa che colpiscono scuole e posti di lavoro pubblici. Non ultimo, una più equa distribuzione di ruoli e retribuzioni.
Tant'è che, come extrema ratio, le esperte convengono che in Italia le pur discriminanti quote rosa sono necessarie per imporsi tra gli uomini.

Paternità e asili full time in Svezia. In Italia la beffa Fornero

In eguaglianza di genere, gli scandinavi sono maestri dagli Anni 80. Da quando, con il boom economico e i troppi impegni di lavoro, i tassi di natalità dei Paesi nordici erano scesi, come oggi in Italia, ai minimi storici.
Fu allora che, «pragmaticamente», spiega a Lettera43.it Daniela Del Boca, economista del Lavoro all'Università di Torino specializzata in politiche della famiglia, «i governi si resero conto di dover offrire facilitazioni per far lavorare tutti e due i coniugi. Con congedi per entrambi e una rete capillare di servizi».
Asili e doposcuola aperti tutto il giorno come, per esempio, esistono in Svezia per bambini da uno a 12 anni, ma anche anche nidi aziendali nelle piccole e medie imprese. E poi congedi di maternità e paternità, che tra riposo facoltativo e obbligatorio, in Scandinavia arrivano a coprire un anno e mezzo di assenza dal lavoro, retribuito fino all'80% degli stipendi.
IN SVEZIA L'80% DI MAMMI. In Svezia, dove in media le coppie in cui la donna è senza reddito sono meno del 4%, l'80% dei padri approfittano delle possibilità concesse dalla legge per accudire i neonati dopo il parto della moglie.
Tutt'altra storia in Italia, dove per i padri esistono solo i congedi parentali (ben diversi dai congedi di paternità) che entro gli otto anni del figlio permettono di prendersi alcuni mesi liberi. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero, per colmare il gap, ha introdotto un giorno beffa di paternità: 24 ore obbligatorie, entro cinque mesi dalla nascita.
PIÙ MATERNITÀ, PIÙ LAVORO. È una costante appurata che, in Occidente più natalità equivalga a più partecipazione delle donne nel mondo del lavoro. Con più occupate - come ha ricordato anche la Banca d'Italia nel rapporto del 2011- aumenta il Prodotto interno lordo (Pil) e diminuisce la povertà di un Paese.
Eppure in Italia, come ha scritto Del Boca, «le famiglie sono sole». I tagli al pubblico non fanno altro che «togliere ossigeno a un settore chiave, insieme con quello dei contratti part-time, per favorire l'impiego femminile e l'istruzione di giovani e donne». Mentre «più precariato significa meno produttività e stallo».

Il part-time limita carriera e stipendi. La Germania impara dall'Est

In Nord Europa, il compromesso del part-time, che sbarra la strada agli stipendi medio-alti e alla carriera, resta forte.
L'ideale, per una vera emancipazione, sarebbe raggiungere alti tassi d'impiego femminile full time. Invece - soprattutto in Germania, Olanda, Austria e Gran Bretagna - le lavoratrici a tempo pieno rappresentano poco più del 50% della popolazione, mentre almeno il 20% ha contratti a tempo ridotto.
Il grimaldello per scardinare questa disparità, chiarisce Daniela Grunow, sociologa della Goethe University di Francoforte e capo del progetto europeo Apparent sulle divisioni di genere nel lavoro (Erc), «è creare una rete diffusa, di alta qualità e a buon prezzo, di assistenza ai bambini al di sotto dei tre anni».
È infatti nella fascia d'età delle 30-40 enni che, nonostante un'istruzione anche migliore dei colleghi uomini, i progetti di vita delle donne si inceppano, per la necessità di occuparsi dei figli nei primissimi anni di vita.
GERMANIA, DIVARIO EST-OVEST. In tema di servizi, l'ex Repubblica federale tedesca ha dovuto prendere lezioni dalla Ddr: qui già 30 anni fa c'era numero elevato di lavoratrici full time e moltissimi asili. Ma si è ispirata anche ai nidi dell'Emilia Romagna: regione - prima della scure sulla spesa pubblica - con il più alto tasso (62%) di occupate in Italia.
«È stato l'Ovest a dover crescere, per passare dal 60% al 70%» di impiegate a tempo pieno, commenta Grunow. «Tuttavia, il part-time resta eccessivo e la copertura sull'infanzia non è ancora ai livelli svedesi».
Nel Sud Europa, invece, resta invalidante il tasso di giovani donne (il 39% in Grecia e il 37% in Italia) che smettono di lavorare per accudire i genitori malati o i figli.
LE DIFFERENZE TRA LAND. I numeri su impiego e assistenza sono da migliorare anche per Alexandra Scheele, docente di Sociologia economica all'Università di Cottbus in Brandeburgo (ex Ddr) e, dal 2008, esperta della rete Eguaglianza di genere, salute e inclusione sociale della Commissione europea.
«In Germania, nidi e asili variano da Land a Land. Ci sono regioni meglio servite e con prezzi più economici, come Berlino. Altre, come la Bassa Sassonia, con pochi posti e orari limitati delle strutture», racconta. I congedi per genitori - 14 mesi divisi in genere a metà tra i due memebri della coppia, conservando il 67% della retribuzione - sono invidiabili e nessun datore di lavoro fa firmare alle donne umilianti dimissioni in bianco.
«Però al Nord, dove il tasso di disoccupazione è maggiore che al Sud, gli uomini esitano a chiedere la paternità, nel timore di essere visti in modo negativo».
LISBONA SI ALLONTANA. A livello europeo, «la crisi ha colpito i giovani e gli stranieri, più che le donne in sé» ha precisato Scheele. Ma certo, ha penalizzato «indirettamente» il popolo delle part-time, delle precarie e delle dipendenti pubbliche.
Dati aggiornati ancora non ce ne sono. Ma è una certezza statistica che, in tutti i 27 Paesi Ue, la percentuale di occupazione femminile resti comunque inferiore a quella maschile.
Per alcuni Stati - Italia e Spagna incluse - gli obiettivi di Lisbona 2000 (superare il 60% di occupazione rosa nel 2010) sono addirittura un faro che si allontana.

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