da:
La Stampa
Lucca,
l’incanto dell’architettura
Ha
più di 100 chiese e piazze che sembrano bomboniere Nel 2013 celebra i 500 anni
del “nuovo” piano delle mura
Di soprannomi Lucca ne ha quanti se ne
vuole. I più carini: la città bianca (dal bianco fiore simbol d’amore della
Democrazia cristiana, alla quale i lucchesi rimasero per anni e anni avvinti
come l’edera), la città muta (sempre zitta a contare i soldi), la città murata
viva. Gelosie. Lucca è un capolavoro e i lucchesi, che sono attenti a tutto non
soltanto al portafoglio, hanno difeso i suoi tesori dalle aggressioni edilizie
storpiatrici di centri storici. Questo, dentro i rigorosi spalti
rinascimentali. Fuori, un frullato di costruzioni di cui meglio non parlare.
Gonfia di denaro, ducale e guelfa, Lucca è sempre stata sullo stomaco a un
monte di toscani che le riconoscevano soltanto il pregio d’aver dato alla luce
Giacomo Puccini, il quale a Lucca non ha mai goduto di molte simpatie. Perché
Lucca è la città delle famiglie a modo, della discrezione, pochi frulli e pochi
deragliamenti. E il sor Giacomo ai deragliamenti, sentimentali, era un abbonato
fisso.
La città che ebbe anche il soprannome di
città immobile, però mobilissima dai tempi del traffico della seta a quelli
degli armatori navali e di una imprenditoria che tratta calzaturifici,
cucirini, confezioni di moda e maglifici con uno spirito in nulla dissimile
a
quello lombardo; questa città che ha in Viareggio il suo luna park
raggiungibile oggi con un pezzetto di autostrada, è senza dubbio svelta a
chiudersi all’interno della corazza muraria lunga quattro chilometri, tenuta in
ottima salute, simbolo della dedizione alla cautela e al minuzioso controllo
del rischio. Ma è altrettanto svelta a sgattaiolare nelle sere d’estate, a
bordo di gran macchine di lusso, verso la striscia del chiasso che va da
Viareggio a Forte dei Marmi. A Pisa no, a Pisa non ci vanno. Mai si spegnerà il
ricordo dell’assedio dei pisani. È il 1314 e i dannati issano specchi giganti
su alte colonne, proprio al cospetto delle mura, affinché vi si rimirino al
passeggio quelle civettone di donne lucchesi per il sollazzo dei soldati che
affollano l’accerchiamento. Via, subito a casa a cucinare la zuppa di farro e
lo stoccafisso!, urlano mariti e fidanzati. E i pisani, tra orrendi sghignazzi
di tipi che si chiamano Pecchio, Feccia e Truglia guidati da Uguccion della
Faggiola: no, no, lasciatele frascheggiare sulle mura, che poi a casa
s’accompagnano noi. Seguono lanci di palle infuocate dalla gelosia. Le mura di
Lucca sono leggendarie e in autunno partiranno i festeggiamenti per i 500 anni
dall’inizio della loro (ri) costruzione: il 25 settembre 1513 il Governo della
Repubblica di Lucca emanò un decreto per abbattere gli edifici intorno alle
mura della città. Il decreto diede vita al piano di quella fortificazione
moderna che vediamo ancor oggi. Ma le mura non sono certo l’unico spettacolo di
questo fenomeno urbano che in epoche migliori aveva nelle sue banche depositi
da sfondare i pavimenti.
Le
chiese. Un centinaio. Le massime il Duomo, dedicato a San
Martino, con il celeberrimo sarcofago marmoreo di Ilaria del Carretto opera di
Jacopo della Quercia. Ilaria sposa nel 1403 il signore lucchese Paolo Guinigi.
Muore di parto a 26 anni. Lui è disperato, esige per Ilaria la tomba più bella.
S’affida a Jacopo della Quercia e Jacopo esegue. E che formidabile idea, non
soltanto per i turisti, quel cagnolino accoccolato ai piedi della bella
addormentata. Ma Ilaria nello splendido sarcofago non ci ha mai dormito. Sembra
ne abbiano recentemente ritrovato le ossa in Santa Lucia, che fino al 1430 fu
la cappella della famiglia Guinigi. San Michele in Foro e San Frediano
compongono con il Duomo un trio di edifici romanici di alto interesse. Palazzi
patrizi collocati a pennello senza che facciano ressa, di comoda e agevole
ammirazione. Lo spettacolo dell’architettura è di bellezza incantatrice, una
ribalta di narcisi che fanno l’amore con se stessi. Dentro le mura, tutto un
raduno, un appuntamento di meraviglie e non si creda che vi sia aria da museo.
Lucca si dipana e si colora nel passeggio di Via Fillungo, una strada da
copertina elegante. Poi si accoccola nella Piazza dei Mercanti, al caffè dove
sostavano Pannunzio e Arrigo Benedetti. E si svaga nella Piazza del Mercato, ex
anfiteatro romano del secondo secolo dopo Cristo, che serví nel Medioevo come
base ad una serie di case e casette che inserendosi lungo il perimetro
dell’arena delimitano ora una piazza singolarissima, di intensa suggestione. La
tradizionale pigrizia lucchese un poco alla volta si scioglie. Ha successo la
mostra di Vincenzo Balsamo (fino al 3 febbraio) al Center of Centemporary Art,
e fa pubblico «Osservatorio» gli scatti fuori serie del fotografo milanese
Francesco Pignatelli (sino al 27 gennaio nella chiesa di San Cristoforo). Da
godere assolutamente il Teatro d’opera del Giglio. Al termine d’una Tosca
memorabile la grande Raina Kabaivanska confessa: che emozione
cantare Vissi d’Arte in una scatolina di pralines. Poi di corsa in
Pelleria a mangiare la cioncia, testa di vitello, compresi naso, orecchi,
labbra e gote, al sugo di pomodoro con aglio e mentuccia. E ai pisani
nulla.
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