venerdì 25 gennaio 2013

Bella Italia, Lucca: l’incanto dell’architettura


da: La Stampa

Lucca, l’incanto dell’architettura
Ha più di 100 chiese e piazze che sembrano bomboniere Nel 2013 celebra i 500 anni del “nuovo” piano delle mura


Di soprannomi Lucca ne ha quanti se ne vuole. I più carini: la città bianca (dal bianco fiore simbol d’amore della Democrazia cristiana, alla quale i lucchesi rimasero per anni e anni avvinti come l’edera), la città muta (sempre zitta a contare i soldi), la città murata viva. Gelosie. Lucca è un capolavoro e i lucchesi, che sono attenti a tutto non soltanto al portafoglio, hanno difeso i suoi tesori dalle aggressioni edilizie storpiatrici di centri storici. Questo, dentro i rigorosi spalti rinascimentali. Fuori, un frullato di costruzioni di cui meglio non parlare. Gonfia di denaro, ducale e guelfa, Lucca è sempre stata sullo stomaco a un monte di toscani che le riconoscevano soltanto il pregio d’aver dato alla luce Giacomo Puccini, il quale a Lucca non ha mai goduto di molte simpatie. Perché Lucca è la città delle famiglie a modo, della discrezione, pochi frulli e pochi deragliamenti. E il sor Giacomo ai deragliamenti, sentimentali, era un abbonato fisso.  

La città che ebbe anche il soprannome di città immobile, però mobilissima dai tempi del traffico della seta a quelli degli armatori navali e di una imprenditoria che tratta calzaturifici, cucirini, confezioni di moda e maglifici con uno spirito in nulla dissimile
a quello lombardo; questa città che ha in Viareggio il suo luna park raggiungibile oggi con un pezzetto di autostrada, è senza dubbio svelta a chiudersi all’interno della corazza muraria lunga quattro chilometri, tenuta in ottima salute, simbolo della dedizione alla cautela e al minuzioso controllo del rischio. Ma è altrettanto svelta a sgattaiolare nelle sere d’estate, a bordo di gran macchine di lusso, verso la striscia del chiasso che va da Viareggio a Forte dei Marmi. A Pisa no, a Pisa non ci vanno. Mai si spegnerà il ricordo dell’assedio dei pisani. È il 1314 e i dannati issano specchi giganti su alte colonne, proprio al cospetto delle mura, affinché vi si rimirino al passeggio quelle civettone di donne lucchesi per il sollazzo dei soldati che affollano l’accerchiamento. Via, subito a casa a cucinare la zuppa di farro e lo stoccafisso!, urlano mariti e fidanzati. E i pisani, tra orrendi sghignazzi di tipi che si chiamano Pecchio, Feccia e Truglia guidati da Uguccion della Faggiola: no, no, lasciatele frascheggiare sulle mura, che poi a casa s’accompagnano noi. Seguono lanci di palle infuocate dalla gelosia. Le mura di Lucca sono leggendarie e in autunno partiranno i festeggiamenti per i 500 anni dall’inizio della loro (ri) costruzione: il 25 settembre 1513 il Governo della Repubblica di Lucca emanò un decreto per abbattere gli edifici intorno alle mura della città. Il decreto diede vita al piano di quella fortificazione moderna che vediamo ancor oggi. Ma le mura non sono certo l’unico spettacolo di questo fenomeno urbano che in epoche migliori aveva nelle sue banche depositi da sfondare i pavimenti. 

Le chiese. Un centinaio. Le massime il Duomo, dedicato a San Martino, con il celeberrimo sarcofago marmoreo di Ilaria del Carretto opera di Jacopo della Quercia. Ilaria sposa nel 1403 il signore lucchese Paolo Guinigi. Muore di parto a 26 anni. Lui è disperato, esige per Ilaria la tomba più bella. S’affida a Jacopo della Quercia e Jacopo esegue. E che formidabile idea, non soltanto per i turisti, quel cagnolino accoccolato ai piedi della bella addormentata. Ma Ilaria nello splendido sarcofago non ci ha mai dormito. Sembra ne abbiano recentemente ritrovato le ossa in Santa Lucia, che fino al 1430 fu la cappella della famiglia Guinigi. San Michele in Foro e San Frediano compongono con il Duomo un trio di edifici romanici di alto interesse. Palazzi patrizi collocati a pennello senza che facciano ressa, di comoda e agevole ammirazione. Lo spettacolo dell’architettura è di bellezza incantatrice, una ribalta di narcisi che fanno l’amore con se stessi. Dentro le mura, tutto un raduno, un appuntamento di meraviglie e non si creda che vi sia aria da museo. Lucca si dipana e si colora nel passeggio di Via Fillungo, una strada da copertina elegante. Poi si accoccola nella Piazza dei Mercanti, al caffè dove sostavano Pannunzio e Arrigo Benedetti. E si svaga nella Piazza del Mercato, ex anfiteatro romano del secondo secolo dopo Cristo, che serví nel Medioevo come base ad una serie di case e casette che inserendosi lungo il perimetro dell’arena delimitano ora una piazza singolarissima, di intensa suggestione. La tradizionale pigrizia lucchese un poco alla volta si scioglie. Ha successo la mostra di Vincenzo Balsamo (fino al 3 febbraio) al Center of Centemporary Art, e fa pubblico «Osservatorio» gli scatti fuori serie del fotografo milanese Francesco Pignatelli (sino al 27 gennaio nella chiesa di San Cristoforo). Da godere assolutamente il Teatro d’opera del Giglio. Al termine d’una Tosca memorabile la grande Raina Kabaivanska confessa: che emozione cantare Vissi d’Arte in una scatolina di pralines. Poi di corsa in Pelleria a mangiare la cioncia, testa di vitello, compresi naso, orecchi, labbra e gote, al sugo di pomodoro con aglio e mentuccia. E ai pisani nulla. 

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