da:
la Repubblica
Mediaset-Rai duopolio in
rosso, le road map per il mercato nell’anno orribile degli spot
di
Stefano Carli
Il 2013
per Mediaset e Rai non è ancora cominciato: quest'anno partirà all'alba del 26 febbraio, una volta finito e
digerito il computo definitivo delle schede elettorali. Solo allora, tra poco
più di un mese, il mercato tv italiano potrà riprendere la lenta marcia verso
la normalità. Che per i due broadcaster dell'ormai ex duopolio significa fare i
conti con la più grave crisi pubblicitaria degli ultimi decenni e proprio nel
momento in cui il mercato tv italiano si sta aprendo davvero. L'acquisizione di
Switchover Media da parte di Discovery Italia, la scorsa settimana,
è stata forse la prima vera operazione
di mercato in Italia, la prima comunque a non aver dovuto pagar dazio ai
placet della politica e dei salotti buoni. Eppure ha fatto nascere in un colpo
e con appena due mesi di trattative il terzo operatore per audience, nelle
frequenze terrestri, scavalcando d'un
colpo La7 (per la cui acquisizione Discovery era in corsa
fino a otto giorni fa, ma evidentemente solo pro forma). E' appunto la prova
che il "giardino protetto" della tv italiana non c'è più. In piccolo
è un po’ come la caduta del muro di Berlino: il nuovo si fa avanti e il vecchio
sbanda. Basta guardare quel che sta accadendo in Borsa al titolo Mediaset: mercoledì ha perso il 4% e il giorno dopo
ha riaperto a più 8 e altrettanto ha fatto di nuovo venerdì. E' un titolo ormai
sottilissimo, è la risposta degli analisti di Piazza Affari, ormai bastano gli umori
dei soli daytrader a spararlo in alto o in basso perché i grandi investitori
non ci sono più. Ma anche le stesse banche hanno giudizi ondivaghi. E mentre Mediobanca e JpMorgan abbassano il rating, Credit
Suisse lo rialza. Anche se gli analisti della
banca svizzera hanno più
fiducia nelle prospettive di Mediaset
Espana che nelle cose italiane, e comunque prevedono un fatturato ancora in
calo quest'anno, per cui l'ottimismo è che Mediaset riesca a recuperare 100 milioni di margini comprimendo
i costi (ma guai a parlare di tagli di personale sotto elezioni). Quel che è
certo è che a ridosso dell'annuncio
delle dimissioni del governo Monti il titolo Mediaset ha iniziato una
salita: ma resta comunque un gruppo con una market cap attorno a 2 miliardi, ed
erano 10 non molto tempo fa. A Viale
Mazzini invece la fine del governo
Monti e l'assetto preelettorale del Parlamento ha portato una mezza
paralisi. Dei ventilati 600 esuberi
non si parla più. Anche perché nel frattempo si sono perse le tracce del progetto del piano industriale stilato dalla
McKinsey in autunno. E d'altra parte come potrebbe essere diversamente? Ad approvarlo dovrebbero essere
l'azionista, cioè il governo, e la commissione parlamentare di vigilanza.
Entrambi assenti per fine mandato. Anche dietro questa apparente normalità da
campagna elettorale però si intravedono segnali di cambiamento. Sia a Viale
Mazzini che a Cologno Monzese c'è fermento. Le elezioni imporranno pure il loro
rituale, tutto ciò che sa di tagli di costi, specie sul versante personale,
viene rinviato, ma la crisi stavolta è troppo grave. Si lavora: in silenzio,
sottacqua ma si lavora.
In casa Rai, in mancanza del piano industriale ufficiale si stanno però
prendendo alcune iniziative. Non clamorose ma che potrebbero dare presto
frutti. Non si toccano per ora le reti
o temi strategici come le torri di
Rai Way, perché queste sono materia da Cda. Ma su temi più industriali qualcosa
si muove. La direzione sta facendo incetta di tecnici di qualità tutti pescati all'interno delle varie direzioni
e ha messo su una task force di una dozzina di persone per accelerare sul
fronte della digitalizzazione. Si
parte dai tg. Sembra una cosa minore,
ma non lo è: se tutta la produzione e lo
storage dei contenuti news viene unificata, viene in un sol colpo meno la
divisione delle risorse lungo i confini finora inviolabili delle diverse
testate giornalistiche: i tre tg maggiori, quelli regionali, i tre radiofonici,
il canale all news. Ogni redazione ha finora lavorato per sé. La divisione
all'inizio ovviamente resterà: ma sarà una divisione puramente virtuale, senza più
una separazione fisica delle risorse a giustificarla. In parallelo la
direzione, ossia il dg Luigi Gubitosi e la presidente Anna Maria Tarantola,
stanno poi cercando di spostare risorse verso i nuovi canali digitali. Sono quelli che hanno sostenuto l’audience della Rai,
la chiave del distacco di 8 punti di
share inflitti a Mediaset (40%
contro 32%). E' una mossa sulla carta azzeccata perché anche se ancora lontano
da quello dei canali tradizionali, il valore pubblicitario dei nuovi canali è in crescita. Fino all'estate il
luogo comune tra gli addetti ai lavori era che un punto di share dei nuovi
canali valesse intorno ai 30 milioni di euro in termini di ricavi pubblicitari.
Oggi stiamo salendo verso i 40. Evidentemente a Viale Mazzini lo spostamento dell'audience
dalle reti ammiraglie ai canali digitali fa meno paura di quanto non faccia a Publitalia, dove finora qualsiasi cosa mettesse
a rischio dall'interno gli ascolti di
Canale 5 viene guardato malissimo. Il fatto che il nuovo vertice Rai abbia
come prima mossa, messo a guidare di fatto la Sipra un manager proveniente da Sky, Fabrizio Piscopo, dice esplicitamente che questo è un aspetto
chiave delle nuove strategie. Intanto però il 2012 di Sipra dovrebbe essersi
chiuso a livelli ancora più bassi del previsto, intorno a 740 milioni: ma
dovrebbe essere l'anno zero. Da quest'anno con più attenzione ai nuovi canali e
probabilmente una strategia più attenta a Internet, finora lasciata a marciare
con il freno tirato, le cose dovrebbero cambiare. Specie nella seconda parte dell'anno.
Che è un anno dispari, quindi senza grandi eventi mondiali del calcio o delle
olimpiadi. Ma questo per Rai, stavolta, potrebbe essere un bene: meno spese e
possibilità di ristrutturarsi con più calma. Serve del tempo. Questo scenario da
trincea si realizza infatti in un mercato che ha aspetti apparentemente paradossali.
Il capodanno di Rai 1 ha fatto il record di ascolti degli ultimi 15 anni. C'è la
crisi, i consumi crollano e le famiglie sono tornate a passare più tempo
davanti alla tv. «L'audience è
tornata a crescere, invertendo la
tendenza degli ultimi anni - commenta Alessandro Araimo, senior partner di
Roland Berger - Ma questo ritorno alla tv avviene proprio mentre le ammiraglie
generaliste stanno tagliando i costi. Il crollo della pubblicità costringe a
riequilibrare i conti economici. Solo che finora entrambe lo hanno fatto
tagliando sul costo dei contenuti e abbassando di fatto la qualità: meno prime visioni, meno nuove
produzioni, aumentano le repliche. Questo ha aperto la strada al progressivo spostamento degli spettatori verso i
nuovi canali e i nuovi contenuti. In più la crisi economica sta favorendo un riflusso verso i programmi free di
utenti della pay tv e anche questo
va a vantaggio dei nuovi canali. E ciò spiega il successo e la crescita di
nuovi protagonisti come Discovery».
Ecco, la pay è l'altro punto dolente di Medìaset. I primi nove mesi 2012 avevano registrato ricavi per 480
milioni, di cui 382 da abbonamenti
(erano 388 nello stesso periodo del 2011) e il resto da pubblicità, e una perdita operativa sui 30 milioni. I
report bancari, da Merryll Lynch, a Goldman Sachs, a Kepler, convergono su un
valore di fine anno intorno ai 520 milioni ma soprattutto nessuno prevede che
questa cifra si sposterà di molto da qui nei prossimi tre anni. L'arpu è basso,
per arrivare a break even dovrebbe avere 3/3,5
milioni di utenti. La ricerca di un partner a supportare l'investimento o
un acquirente, sembra rinviata a dopo il voto, ma il buco nero che porterà al
primo bilancio in rosso di Mediaset da un decennio a questa parte è qui. E con
il taglio ai costi dei diritti potrebbe essere proprio Premium la pay di Mediaset, a pagare ben più di Sky il costo del riflusso di spettatori
verso il free. Per ora si va avanti tagliando costi. E vedendo gli asset
minori, come il 49% di Warner Village, le multisala. Poca roba. Oppure con la
razionalizzazione dei costi. E si torna a parlare della fusione in Publitalia di Mondadori Pubblicità. Stefano Sala, che
deve ripulire la ruggine della concessionaria del Biscione è ufficialmente entrato
nel ruolo di direttore commerciale
dal primo gennaio, ma di fatto è da novembre che ha lasciato la Wpp e si è
messo al lavoro. E' un'ipotesi però che non suscita grandi entusiasmi. E
soprattutto che darebbe effetti principalmente in Mondadori, a patto però di
accompagnarsi una sostanziosa sfoltita nel numero delle testate, in particolare
tra i femminili. La soluzione per Mediaset non è certo impossibile, ma è
complicata: deve invertire la rotta di 180 gradi. Aveva puntato sulla pay e
sulle reti ammiraglie. Deve uscire dalla pay e inventarsi una strategia sui nuovi canali digitali e su Internet, che
il Biscione considera come se fosse una frequenza, ossia si limita a replicarci i canali e poco più. Può
farcela ma deve cambiare molte cose. Dopo il 26 febbraio.
Nessun commento:
Posta un commento