da: Lettera 43
Monte
Paschi, lo scontro tra Monti e Draghi
Derivati,
future, opacità. Lo scandalo Mps letto alla luce degli ultimi 20 anni. Di lotta
per la riforma del sistema finanziario.
di Marco
Mostallino
Nelle banche deve prevalere il «principio
della specializzazione se si vogliono evitare crac paurosi». Parole come
pietre, pesanti di fronte allo scandalo che rischia di toccare fino alle
fondamenta il Monte dei Paschi di Siena.
LA RIFORMA DEL SISTEMA. Parole profetiche e attuali che, però, sono datate
gennaio 1991. Erano dirette, tra gli altri, contro Mario Monti, a quel tempo regista (insieme con il banchiere
statale Mario Sarcinelli) della riforma
del sistema bancario del quale il sesto governo Andreotti stava mettendo le
fondamenta.
Le pronunciò nell'ambito di una furiosa battaglia politico finanziaria l'allora vice direttore generale di Bankitalia Antonio Fazio, divenuto poi governatore e infine travolto da scandali e inchieste, fino a dover passare la mano a Mario Draghi, oggi al vertice della Bce.
Le pronunciò nell'ambito di una furiosa battaglia politico finanziaria l'allora vice direttore generale di Bankitalia Antonio Fazio, divenuto poi governatore e infine travolto da scandali e inchieste, fino a dover passare la mano a Mario Draghi, oggi al vertice della Bce.
MONTI
CONTRO DRAGHI. Fazio e Via Nazionale, allora guidata
da Carlo Azeglio Ciampi, uscirono sconfitti. Prevalse la liberalizzazione voluta da Monti e nemmeno un perplesso Draghi,
allora giovane economista in arrivo dalla Banca mondiale, riuscì a fermare la
spinta del Professore verso uno svincolo quasi totale degli istituti dai
controlli pubblici.
La
liberalizzazione del mercato
Draghi
e Fazio, Guido Rossi, e soprattutto Mario Monti: uomini contro, allora come oggi. Che erano impegnati a
rimettere mano a un sistema del credito ancora regolato da una legge del 1936.
Senza ripercorrere oggi quei passi, è
difficile capire come e perché sia stato possibile a Mps attuare e nascondere,
è l'ipotesi degli inquirenti, enormi operazioni finanziarie spregiudicate e
potenzialmente devastanti.
L'ARGINE DELLA LEGGE SULLE SIM. Le banche chiedevano mano libera, volevano operare su ogni tipo di mercato e soprattutto affrancarsi dal controllo azionario pubblico e dalla vigilanza di Bankitalia. E, in particolare, volevano poter comprare e vendere senza vincoli titoli di ogni tipo. Cosa che la legge sulle Sim (Società di intermediazionemobiliare) del 1990 vietava. Se questa norma non fosse poi stata cancellata, Mps non avrebbe mai potuto acquistare i titoli tossici che la stanno consumando.
L'ARGINE DELLA LEGGE SULLE SIM. Le banche chiedevano mano libera, volevano operare su ogni tipo di mercato e soprattutto affrancarsi dal controllo azionario pubblico e dalla vigilanza di Bankitalia. E, in particolare, volevano poter comprare e vendere senza vincoli titoli di ogni tipo. Cosa che la legge sulle Sim (Società di intermediazionemobiliare) del 1990 vietava. Se questa norma non fosse poi stata cancellata, Mps non avrebbe mai potuto acquistare i titoli tossici che la stanno consumando.
LA
NORMA AMATO. Un passo importante in tal senso era
già stato compiuto dalla cosiddetta legge Amato che aveva dato alle Fondazioni bancarie e al “mercato” il
controllo delle banche che fino a quel momento erano statali: tra queste
c'era anche Monte dei Paschi che così (come il Banco di Napoli, la Bnl e altri
istituti pubblici) cominciò ad affrancarsi dai paletti imposti da Bankitalia.
Ma alle banche questo non bastava. E così, tra il 1989 e il 1990, Guido Carli,
ministro del Tesoro e già governatore di Palazzo Koch, creò una commissione
di economisti e giuristi incaricata di proporre una riforma totale del sistema.
LA
COMMISSIONE SARCINELLI. La guidava Sarcinelli, direttore
generale del ministero, ma la testa
di questo team (composto anche Guido
Rossi, poi al vertice della Consob, Luigi
Spaventa e Draghi) era Mario Monti. Era lui a dettare il
passo: no alla separazione tra banche e
imprese, fino a quel momento garanzia di equilibrio contro i conflitti di
interesse, e via libera al modello di «banca universale alla tedesca». Istituti
autorizzati a raccogliere il risparmio ed erogare credito speciale, contro la
formula italiana che prevedeva la separazione tra le banche di sportello per i
cittadini e le altre al servizio della produzione (gli istituti di credito
agricolo e industriale).
La
vittoria del modello tedesco
Il governatore
di Bankitalia Ciampi cercò in ogni modo di limitare la liberalizzazione voluta da Sarcinelli e Monti sulla spinta di istituti
insofferenti agli ispettori di Bankitalia e alle politiche economiche dei
governi. Banche come giocatori liberi, autorizzate a fare le loro scelte nel
segreto, con un tenue controllo del Tesoro che andava però a ridurre i forti
vincoli che fino ad allora Bankitalia poteva porre. Gli istituti insomma
volevano comprare e vendere titoli, arricchirsi con operazioni speculative fino
ad allora impossibili e divenute oggi pane quotidiano e avvelenato.
IL
TENTATIVO DI MEDIAZIONE. Draghi cercò una soluzione: si
rendeva conto che il sistema del 1936 non era più sostenibile, ma capiva anche
che il duo Monti-Sarcinelli spingeva l'asticella sempre più in alto. Stretto
fra due fuochi, durante i mesi di lavoro della commissione, Draghi nel 1991
venne nominato direttore generale del Tesoro, pur restando consulente di
Bankitalia e provò senza successo a mediare tra le linee opposte di Carli e
Monti da una parte e di Ciampi e Fazio dall'altra.
LE
DUE WELTANSCHAUUNG. Non gli fu possibile. Perché era
diversa la filosofia di fondo: Monti
credeva che le banche dovessero essere libere di perseguire il proprio
interesse, mentre Draghi riteneva
indispensabile che il faro restasse quello dell'interesse generale e
dell'economia del Paese, non quello degli azionisti privati o pubblici.
Da questa guerra intestina fra le istituzioni politiche ed economiche dello Stato, nacque poi il testo unico sul sistema bancario approvato nel 1993. L'ebbero vinta le banche, e il «modello tedesco» voluto da Monti fu applicato e adattato alla realtà italiana, per superare fondamentalmente tre situazioni che gli istituti ritenevano ostacoli: vennero rese possibili le concentrazioni tra banche, altro pallino di Mario Monti.
Da questa guerra intestina fra le istituzioni politiche ed economiche dello Stato, nacque poi il testo unico sul sistema bancario approvato nel 1993. L'ebbero vinta le banche, e il «modello tedesco» voluto da Monti fu applicato e adattato alla realtà italiana, per superare fondamentalmente tre situazioni che gli istituti ritenevano ostacoli: vennero rese possibili le concentrazioni tra banche, altro pallino di Mario Monti.
ADDIO
RADICAMENTO TERRITORIALE. Così le realtà, spesso nate sul
territorio, persero in gran parte la vocazione locale che Mps, ma anche Banco
di Napoli, Banco di Sicilia e Banco di Sardegna avevano. Anche le casse locali
di risparmio, strumenti utili alle imprese sul territorio, finirono pian piano
per diventare preda dei colossi italiani e stranieri.
Il secondo ostacolo superato fu la divisione tra raccolta del risparmio e
credito alle imprese, fino ad allora settori riservati a istituti diversi.
E, infine, le banche l'ebbero vinta anche sul via libera all'acquisto e alla vendita di azioni e titoli sui mercati,
finendo così per riempirsi la pancia di future,
derivati e altri titoli tossici come quelli che stanno
avvelenando oggi Rocca Salimbeni.
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