giovedì 24 gennaio 2013

Baustelle, nuovo album: ‘Fantasma’, brani strumentali e canzoni



da: La Stampa

Tutti i fantasmi dei Baustelle
“Un disco con l’orchestra per rimetterci in discussione”
di Bruno Ruffilli


Quasi settantaquattro minuti di musica, sei brani strumentali, tredici canzoni. Una addirittura, firmata da Rachele Bastreghi e Gustav Mahler (“Abbiamo ripreso l’Adagietto della Quinta Sinfonia, eppure è il pezzo più rock dell’album”, spiega lei). Fantasma dei Baustelle arriva nei negozi il 29 gennaio: registrato a Montepulciano, da cui è partita tredici anni fa l’avventura di Francesco Bianconi, Claudio Brasini e Rachele Bastreghi, è un lavoro maturo, complesso, denso di riferimenti colti. Per la musica italiana è una delle uscite più importanti di questo 2013 appena iniziato.  

Francesco Bianconi, ma dopo Charlie fa Surf, dopo le canzoni per Irene Grandi e Anna Oxa, dopo il brano per Chiara che sarà presentato a Sanremo, per il sesto disco dei Baustelle serviva davvero un’orchestra di sessanta elementi?  
“Volevamo rimetterci in discussione, così siamo partiti con l’idea di un concept album con una grande orchestra. È vero che oggi nessuno ha voglia di ascoltare un disco che dura tanto, non c’è il tempo, la predisposizione. Noi però scommettiamo che sia possibile anche un approccio diverso, meditato e rilassato, come si faceva una volta: per questo l’album è pensato come un film, con tanto di titoli iniziali e di coda, anche se poi ovviamente finirà negli iPhone e nei lettori Mp3 alla voce pop”. 

Come si fa a chiamare ancora pop un disco che cita Ligeti e Stravinsky, autori impegnativi anche per chi ascolta la classica?  
“Sono impegnativi perché siamo assuefatti a un ascolto banale, ma tracce della loro musica si trovano spesso nella musica leggera o nelle colonne sonore. In Fantasma l’orchestra sinfonica è un elemento portante e fin dall’inizio ci siamo posti il problema di come arrangiarla. Abbiamo voluto che non fosse un ornamento, ma avesse lo stesso rilievo che ha nella classica. Così abbiamo potuto esprimere le nostre passioni: in Diorama c’è un intermezzo barocco, nel resto del disco molta musica del Novecento. Volevamo sfuggire al cliché del disco sinfonico, e crediamo di esserci riusciti: ci sono soluzioni complesse ma non per uno snobismo fine a se stesso”. 

In realtà i Baustelle hanno sempre un che di snob, anche quando cantano in romanesco, come in Conta’ l’Inverni…  
“È uno degli ultimi testi che ho scritto. Ho cominciato a trovare parole tronche, che sono sempre un problema perché la scelta è molto limitata. Allora ho provato a cantare in romanesco e dopo la prima frase il resto è nato da sé. Non ho radici romane, ma per questa storia di amore e morte avevo un riferimento: una vecchia canzone di Edoardo de Angelis, Lella”.  

Viene citato anche Olivier Messiaen, più per la sua vita che per la sua musica. Come mai? 
“Messiaen, arruolato nell’esercito francese, fu catturato dai nazisti e internato in un campo di lavoro. Ma continuò a coltivare la passione per la musica, e con un pianoforte rotto e con l’aiuto di altri tre prigionieri musicisti dilettanti, scrisse il Quatuor pour la Fin du Temps per clarinetto violoncello e violino. Il quindici gennaio del 1941 suonarono quest’opera dissonante sul piazzale gelato del campo di concentramento davanti a ufficiali ei prigionieri. Finale parla di lui nell’istante prima di attaccare a suonare il brano, mentre pensa alla moglie a Parigi e cerca di tranquillizzarla. Aveva una concezione personalissima del tempo: nell’Apocalisse vedeva la fine della temporalità e l’inizio dell’eternità”. 

Una storia difficile, non proprio pop…  
“Ma a spiegarle, le cose fanno meno paura, come le storie di fantasmi.” 

Quindi il disco ha un intento didattico?  
“Nella mia esperienza di ascoltatore sono grato ad alcuni artisti che mi hanno insegnato molto. Di una canzone non basta il suono di una batteria, non basta che faccia ballare: il pop ha e deve avere una funzione didattica. Sono nato nel 1973 e ho cominciato ad appassionarmi alla musica negli anni Ottanta. E allora è successa una cosa speciale: La voce del Padrone è andata al primo posto in classifica, un disco pieno di cose difficili e geniali ma raccontate in una maniera accessibile. Battiato mi ha fatto capire che è possibile”. 

Lo avete mai conosciuto?  
“L’ho intervistato una volta quando ero all’università, gli ho passato il nostro primo demo, ma è finita lì”. 

Eppure questo disco ha molto di Battiato, come i suoi album migliori è al confine tra musica leggera e classica…  
“Prima o poi ci conosceremo, ma voglio che sia una cosa naturale, non forzata. Intanto, non posso non notare che il suo nuovo singolo, Testamento, ha un video simile al nostro, con una bambina morta che alla fine apre gli occhi. Sono variazioni sullo stesso tema”. 

E non è la morte, che pure dà il titolo al primo singolo: nelle 14 mila e passa parole dell’album ricorre solo nove volte, mentre “vita” e “tempo” sono i termini più frequenti. Lo definireste un disco positivo?  
“Non è pessimista, ci siamo sforzati di vedere la morte come è un passaggio: per chi crede in un modo migliore, per chi non crede in un altro stato biologico. Non vogliamo caricare la morte di simbologie negative: in altre parti del mondo non è un dramma come da noi. Le canzoni parlano del presente, con i suoi problemi e le difficoltà, ma c’è sempre la spinta a superarli”. 

E c’è spazio anche per la politica, con un accenno a Berlusconi e un “figlio di troia” che appalta la Rai. Come mai proprio in Nessuno, che sembra una canzone d’amore?  
“Non ho un figlio di troia di riferimento. Non ce l’ho nemmeno con Berlusconi, ma con la situazione politica italiana che è sempre la stessa, dal dopoguerra a oggi”. 

Si definirebbe ancora anarchico, Bianconi?  
“Tendenzialmente sì, però andrò a votare”. 

Torniamo a Nessuno.  
“È una specie di credo, una canzone d’amore individuale e universale. Il linguaggio oscilla tra poesia e parlata comune, tra pubblico e privato. Quando si riesce a mettere insieme queste due prospettive scatta qualcosa di speciale, e non penso alle nostre canzoni, ma a quelle di Bob Dylan o Leonard Cohen”. 

Ha visto Django Unchained?  
“Avevo la febbre lo scorso fine settimana, mi rifarò appena possibile”.  

Nelle atmosfere di Fantasma, come nei vostri dischi precedenti, si sente il richiamo alle colonne sonore degli anni Settanta, e anche Tarantino si ispira a quel periodo. Non avete paura di far parte di una moda?  
“Per una curiosa coincidenza, l’Orizzonte degli Eventi all’inizio si chiamava Thursday Django. Abbiamo chiesto al nostro editore di far avere la demo a Tarantino, poi non abbiamo saputo più nulla”.  

E invece nella colonna sonora canta Elisa…  
“Sono contento, vuol dire che avevamo avuto l’intuizione giusta, era il caso di provare con un brano in italiano. Tuttavia il nostro riferimento ai Settanta è più complesso. Da amante dei film di allora, posso dire che alcuni erano brutti davvero, ma anche in quelli la componente musicale era sempre interessante. Non c’era solo Morricone: sulla musica si lavorava tanto, da veri artigiani. In questo disco abbiamo cercato di recuperare quell’attenzione e quella cura per i dettagli”.  

Il tour parte da Bari il 19 Febbraio. Dal vivo come suonano i nuovi Baustelle?  
“È un tour in due tempi: nelle prime cinque date ci accompagnerà una grande orchestra, poi continueremo nei teatri. Senza orchestra, ma con una formazione allargata che comprenderà una sezione fiati. Daremo molto spazio all’ultimo disco, naturalmente, e riarrangeremo anche cose vecchie, come Charlie fa Surf”. 

Cos’è il fantasma del titolo?  
“Sintetizza la nostra idea di tempo: è il passato che appare nel presente. Ma oggi anche il futuro è un fantasma, non ha contorni definiti che avrebbe avuto 25 anni fa. La parola fantasma evoca infinite suggestioni, da Edgar Allan Poe al Canto di Natale di Dickens, passando per la grafica della copertina, che si rifà ai film horror di quarant’anni fa. Cercheremo di ripercorrerle in una serie radiofonica, Storie di Fantasmi, che è partita lunedì e andrà avanti per dieci puntate su Radio Due. Ma il solo fantasma di cui avere paura è dentro di noi”.  

Nessun commento:

Posta un commento