da: la Repubblica
Una
nuova agenda per le tv più tecnologie e export nel futuro
Le
frequenze andranno alle Telecom e l’asta è anacronistica. Bisogna ridisegnare
il settore guardando al web e creare un vero distretto italiano dell’audiovisivo
di Pier
Luigi Celli
La fine della legislatura coincide con una
macroscopica crisi del sistema
televisivo italiano, che non è solo difficoltà
di bilancio dei principali gruppi; ma è anche necessità di riallineare il prodotto ai bisogni di cultura,
informazione e identità della società italiana.
La necessità di ripensare lo sviluppo
dell’audiovisivo italiano, sul piano industriale, tecnologico ed editoriale,
s’impone perciò come problema dell’immediato futuro. Stupisce non trovarlo nelle “agende” di questa campagna elettorale. Eppure, nell’arco
temporale della legislatura 2013-2018
si affolleranno nodi strutturali, che richiederanno una visione d’insieme da
parte del legislatore, delle autorità regolamentari e delle stesse imprese.
Proviamo ad elencarne alcuni.
1. Nel
medio periodo, ci sarà un ulteriore trasferimento
di frequenze dalla televisione alla telefonia mobile. Questo è razionale,
dal punto di vista del sistema- paese, perché si valorizza una risorsa scarsa.
Le televisioni, legittimamente, cercheranno di opporsi a questa prospettiva, ma
il trend di lungo periodo è ormai chiaro. Di necessità, l’attuale pianificazione delle frequenze dovrà essere largamente
rivista, per tener conto della riduzione delle risorse a disposizione. Il tema
della razionalizzazione e riorganizzazione del sistema
televisivo sarà perciò
inevitabile. L’uso inefficiente di una risorsa scarsa non sarà più possibile; e
per primo si porrà il problema della razionalizzazione e del consolidamento
dell’emittenza locale. Soprattutto,
si dovrà pensare ad un sistema
distributivo meno arcaico e più europeo, fondato sul mix tra reti terrestri,
satellite e banda larga. Forse è questa la strada per venire a capo di una
questione che da tempo si trascina e che potrebbe essere dirompente per
qualsiasi governo: la procedura
d’infrazione avviata a suo tempo dall’Unione
europea per difetto di pluralismo e tuttora pendente in attesa che l’asta
per le frequenze del “dividend” – dai tempi ormai più che incerti - favorisca
l’ingresso di nuovi soggetti. Se oggi infatti, in un quadro di non-crescita
dell’economia e di contrazione dei fatturati del sistema televisivo è
improbabile l’arrivo di nuovi soggetti
(e i problemi di vendita de La 7 lo dimostrano), un futuro contesto di
rinnovato sviluppo del settore, di mutato mix delle reti distributive e di
razionalizzazione dell’etere potrebbe aprire davvero la strada a maggiore
concorrenza. Un nuovo governo, che
con decisione impostasse una politica di sviluppo
del settore audiovisivo e avviasse un’ordinata transizione al futuro
assetto delle frequenze, potrebbe concordare con l’Unione Europea la chiusura
della procedura d’infrazione.
2. Lo
sviluppo ha bisogno di regole. Nei prossimi
cinque anni, la tecnologia e la globalizzazione incideranno a fondo
sulla filiera industriale dell’audiovisivo, con l’irruzione sempre più pesante
dei player globali. Al legislatore e alle autorità regolamentari si porrà il
compito di varare una normativa in
grado di governare questi sconvolgimenti, preservando la capacità produttiva
del sistema audiovisivo italiano (ma il tema è europeo, naturalmente). I temi
peraltro sono noti: revisione del
diritto d’autore per adattarlo al
contesto multimediale; sostegno
ai sistemi tecnologici aperti e pro-competitivi; e – non ultimo per importanza
– regime fiscale per soggetti come Google, in modo da non consentire distorsione
della concorrenza.
3. Ma
le regole non bastano. Occorre un vero e proprio sistema nazionale dell’innovazione per l’audiovisivo. Il modello è
quello dei distretti industriali,
che va declinato in termini di “distretto Italia”. È questa la chiave per una
politica industriale dal basso, fondata in primo luogo sulla capacità delle
imprese di creare (anche in modo cooperativo, in una logica di sussidiarietà)
un ambiente favorevole alla concorrenza, all’innovazione e allo sviluppo: reti
di formazione professionale, strumenti specializzati di venture capital e altri
canali di finanziamento per le start up, creazione di standard tecnici che
garantiscano un eco-sistema tecnologico aperto. In tempi di spending review e di scarsità di risorse pubbliche e private,
la logica del distretto fa camminare
la politica industriale
principalmente sulle gambe delle aziende senza incidere sulle risorse
pubbliche, e la dimensione cooperativa riduce i costi per le imprese e abbassa
la soglia d’ingresso per le start up.
4. La “logica di distretto” serve anche per
far fronte ad una criticità divenuta negli ultimi anni estremamente seria. È
infatti urgente colmare il gap tra
export e importazioni di audiovisivo, perché in un quadro di mercato
interno stagnante (tanto sul lato della pubblicità quanto su quello degli
introiti da pay), il deficit della bilancia commerciale dell’audiovisivo fa
venir meno risorse essenziali, è un fattore di debolezza strutturale
dell’industria italiana che ne frena gli investimenti e l’innovazione. Per
altro, da un punto di vista più generale, se si varasse una strategia di sistema-paese per promuovere
l’esportazione di audiovisivo si avrebbe una ricaduta positiva anche in termini
di promozione della cultura e
dell’immagine dell’Italia.
5. Tutti questi elementi hanno senso e
coerenza se al centro del progetto viene
collocato il prodotto: ossia la capacità del sistema audiovisivo di
generare immaginario, cultura e identità. La tenuta e la crescita
dell’industria audiovisiva passa per la capacità di realizzare un prodotto che
sia competitivo perché in grado di interpretare e dare voce allo specifico
bisogno di informazione, di immaginario, di conoscenze e di identità della
società italiana. Oggi il paese è culturalmente più ricco, più articolato e più
vitale della sua industria audiovisiva. Colmare questo gap significa rimettere
in moto energie intellettuali e produttive, preservare e anzi sviluppare
l’accumulo di professionalità e competenze, stimolare la nascita di nuove
avventure editoriali e rimotivare le macchine produttive esistenti: un nuovo
slancio che deve nascere dall’interno dell’industria culturale, sulla base di
condizioni di competitività internazionale e di ambiente interno favorevole
all’innovazione, la cui creazione richiede il complesso di strategie e di
politiche prima accennate. In questa “ripartenza” un ruolo determinante è
naturalmente quello del servizio pubblico: e la riforma della Rai non potrà che
essere ai primi posti nell’agenda dei prossimi anni, dopo una legislatura che,
sotto questo profilo, è stata un’occasione perduta.
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