da: Il Fatto Quotidiano
Mps,
ora si valuta anche l’ipotesi di truffa. Al setaccio bonifici per 17 miliardi
L'inchiesta
trova nuovi spunti e segue nuove tracce. Ci sono i miliardi che viaggiano da
una parte all’altra dell’Europa e arrivano fino in Asia, operazioni finanziarie
complessissime corrisposte per cassa, dunque cash, mancanza di una "due
diligence" formale, prezzi che lievitano di 4 miliardi in due mesi.
Intanto la Fondazione sembra pronta a mettersi da parte. Incontro Grilli Draghi
L’inchiesta su Mps - deflagrata
con lo scoop del Fatto Quotidiano su un accordo segreto per truccare i conti -
trova nuovi spunti e segue nuove tracce. Quelle di tanti soldi, troppi per
l’acquisto di Antonveneta per esempio. Ma non solo. Ci sono i
miliardi che viaggiano da una parte all’altra dell’Europa e arrivano fino
in Asia, operazioni finanziarie complessissime corrisposte per cassa,
dunque cash, mancanza di una “due diligence” formale, prezzi che lievitano di 4
miliardi in due mesi, una montagna di operazioni sui derivati, da sempre
un rischio per gli investitori, che potrebbero celare aggiustamenti di
bilanci e nascondere la verità agli organi di controllo, nuove
ipotesi di reato che si affacciano sulla scena: più la procura di Siena scava
sull’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi, più la partita
diventa complessa e ampia.
Al vaglio l’ipotesi di truffa ai danni
degli azionisti. A cominciare dai reati contestati agli indagati, che sarebbero
meno di dieci, tra cui ci sarebbe anche l’ex presidente di Monte Paschi di
Siena Giuseppe Mussari (notizia mai confermata ma neppure mai smentita): i
magistrati – anche alla luce delle carte arrivate da Milano sui derivati
dell’operazione Alexandria con la bancaNomura – starebbero
infatti valutando se sia ipotizzabile anche il reato di truffa ai
danni degli azionisti. Un’ipotesi, questa, che andrebbe ad aggiungersi a quelle
già avanzate di manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni dell’autorità
di vigilanza, aggiotaggio.
Ma i pm vogliono soprattutto capire come
sia stato possibile che in soli due mesi il prezzo di Antonveneta sia schizzato
dai 6,6 miliardi pagati dal Banco Santander ai 9,3 (più oneri vari che hanno
fatto salire il prezzo definitivo a 10,1 miliardi circa) tirati fuori da Mps.
Ai quali vanno aggiunti almeno altri 7,9 miliardi di debiti Antonveneta, che
l’istituto senese si è accollato. Quel che è certo, perché documentato, è che
in soli 11 mesi – dal 30 maggio 2008 al 30 aprile 2009 – il Monte ha effettuato bonifici
per oltre 17 miliardi. Soldi che sono finiti ad Amsterdam, Londra e Madrid.
L’elenco dei bonifici è agli atti dell’inchiesta e già sul primo versamento si
sta concentrando l’attenzione degli inquirenti: il 30 maggio partono da Siena 9
miliardi e 267 milioni a favore di Abn Amro Bank con sede ad Amsterdam, che il Banco
Santander – si legge nel documento informativo relativo all’acquisizione di
Antonveneta inviato alla Consob da Mps – ha nominato “soggetto venditore
titolare di diritti e obblighi derivanti dall’accordo”. Si tratta infatti di
una cifra maggiore, anche se di poco, dei 9 miliardi e 230 milioni pattuiti al
‘closing’ per l’acquisizione.
Il secondo bonifico parte lo stesso giorno
ed è destinato al Banco Santander di Madrid, per un importo
complessivo di 2,5 miliardi. Il 31 marzo 2009 partono altri due bonifici, uno
da un miliardo e mezzo e l’altro da 67 milioni, entrambi a favore del Banco
Santander di Madrid. I restanti quattro bonifici vengono disposti da Mps il
mese successivo, il 30 aprile. I primi due, ancora una volta, sono a favore del Banco
Santander e riportano uno l’importo di un miliardo e l’altro di 49
milioni; gli ultimi due, da 2,5 miliardi e da 123,3 milioni, sono a favore di Abbey
National Treasury Service Plc di Londra. Sono soprattutto questi ultimi due ad
interessare gli inquirenti perché si tratterebbe di cifre che, secondo
qualcuno, sarebbero successivamente rientrate in Italia usufruendo delloscudo
fiscale.
Ma le domande non finiscono qui. Anche
perché è lo stesso Monte dei Paschi, nei documenti ufficiali, ad avanzare
qualche perplessità sull’operazione. Nel documento inviato alla Consob,
nell’analizzare i rischi connessi ai risultati economici di Antonveneta, la
banca senese affermava che “Banca Antonveneta potrebbe continuare a non
generare risultati economici positivi, con possibili effetti negativi
sull’attività e sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria
dell’Emittente e del Gruppo”. E’ possibile, ci si chiede in procura, che con
una simile valutazione venga pagato un prezzo così alto? Ma c’è un altro
elemento. “Bmps – si legge sempre nel prospetto informativo – non ha effettuato
una formale ‘due diligence’ finalizzata all’aggiustamento del prezzo di
acquisizione”, anche se ha avuto modo di controllare i bilanci di Antonveneta.
Né, tantomeno “sono state redatte perizie di stima ai fini della determinazione
del prezzo”. Dunque l’operazione è stata effettuata senza che il Monte abbia
verificato dall’interno la contabilità di Antonveneta. Perché? I magistrati ne
chiederanno conto ai vecchi vertici di Rocca Salimbeni.
Verifiche fiscali su altre operazioni. Sul
tavolo dei magistrati anche i documenti relativi di due verifiche fiscali che
hanno interessato altrettante operazioni fatte dal Monte. La prima
riguarderebbe la vendita portata a termine nell’autunno 2011 di Palazzo
dei Normanni a Roma, l’ex sede delle esattorie. La seconda verifica
fiscale, già conclusa nel 2012, avrebbe invece interessato una plusvalenza di
120 milioni scaturita dal rastrellamento, nel 2005, da parte di Mps di azioni Unipol,
quando il gruppo assicurativo era impegnato nella scalata alla Bnl, poi
non andata in porto.
La vendita di Palazzo dei Normanni sarebbe
stata chiusa a 142 milioni, e non 130 come sempre stato detto. Lo storico
edificio, non lontano dal Colosseo, sorge su un’area di circa 6000 metri quadrati,
con una superficie di 36 mila metri quadri. L’edificio venne ceduto dal Monte a
un fondo immobiliare gestito da Mittel. La verifica si concentrerebbe anche
sulla velocità con cui venne chiusa la trattativa con l’acquirente direttamente
dai vertici del Monte. Tra le ipotesi, che sarebbero al vaglio degli
inquirenti, anche quella direttamente collegata al bilancio della banca che,
grazie alla vendita ‘veloce’, venne chiuso in utile. Senza contare che
Immobiliare Sansedoni, società partecipata del Monte e incaricata della
vendita, avrebbe avuto in mano offerte migliori ma le cui trattative
rischiavano di protrarsi per le lunghe. Vero è che anche il mercato
immobiliare, in quel periodo, era già quasi ai minimi e da tempo il Monte aveva
messo in vendita il palazzo senza riuscire a trovare un acquirente.
La seconda verifica, chiusa nel 2012,
avrebbe evidenziato una serie di competenze errate nella registrazione dei
bilanci. In sostanza, il Monte grazie alle operazioni sul mercato sui titoli di
Unipol avrebbe ottenuto una plusvalenza di 120 milioni di euro, portati
a tassazione nel 2006 anziché nel 2005, quando – secondo le indagini – fu
effettuato l’acquisto. Non un semplice escamotage fiscale ma un’operazione,
questa, che avrebbe consentito a Mps di ottenere un consistente vantaggio
fiscale, con un risparmio del 95% grazie a una modifica del Testo unico.
La Fondazione pronta a farsi da parte.
Incontro Draghi Grilli. Intanto la Fondazione Mps sembra pronta
a farsi da parte per sopravvivere. E’ questa la situazione in cui si trova
l’ente senese, primo azionista storico della banca, a una anno e passa dalla
dura ristrutturazione di oltre un miliardo di debiti. L’indicazione è emersa
dalla bozza del documento programmatico non ancora reso noto, in cui viene
scritto che Palazzo Sansedoni è disposto a scendere sotto la soglia del
33,5% per garantirsi la “sopravvivenza” e l’equilibrio finanziario. Un
orientamento che, di fatto, andrebbe a combaciare con l’auspicio del presidente
del Monte, Alessandro Profumo, da tempo disponibile a far entrare nuovi
azionisti nella compagine azionaria della banca più antica del mondo, purché di
lungo periodo. Su questo è tornato l’amministratore delegato, Fabrizio Viola,
che in un incontro con la stampa estera ha precisato che discussioni aperte non
ce ne sono.
Ieri potrebbero aver parlato della banca e
aver ricostruito i fatti degli scorsi anni il ministro dell’Economia, Vittorio
Grilli e il presidente della Bce, Mario Draghi. Il numero uno
dell’Eurotower ha fatto tappa infatti a Milano e incontrato il titolare di Via
XX Settembre, oggi atteso alla Camera per riferire sulla questione di Rocca
Salimbeni. Sui temi dell’incontro le bocche restano cucite ma non si esclude
che Mps sia stato quello centrale. Draghi all’epoca dei fatti era alla Banca
d’Italia e fu proprio lui ad autorizzare l’acquisto di Antonveneta e a
monitorare da vicino il Monte fino al suo passaggio a Francoforte. Intanto il
tema centrale della vicenda resta l’operazione su Padova, il boccone troppo
grosso e mai digerito dalla banca che nel 2007 pagò 10 miliardi al Santander
per rilevarla. Un argomento al vaglio della magistratura senese che sta
indagando su presunte tangenti insieme al caso dei derivati che
provocherà una perdita di oltre 700 milioni. Viola ha precisato di non
avere evidenze di casi di corruzione in questo ambito anche se,
intervistato a ‘Porta a porta’, ha detto “non li avrei spesi” quattro miliardi
in più per comprarla dagli spagnoli. “Più che altro non avrei comprato
Antonveneta tutta per cassa”. Commenti sul tema derivati sono arrivati invece
da Profumo. Secondo il presidente la grande massa di titoli di Stato in
portafoglio, che ha comportato la richiesta di 3,9 miliardi di Monti Bond, è
stata comprata “per coprire le perdite dell’operazione Alexandria” e “sono
questi titoli che ora generano perdite”. “Si tratta di operazioni
interconnesse” all’acquisto di Antonveneta, ha concluso. L’esame del
portafoglio dovrebbe passare al vaglio del Cda di Mps mercoledì 6 febbraio.
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