Siamo prepotentemente entrati
nell’Antropocene, gli ultimi due secoli di storia naturale che il Nobel Paul
Crutzen ha così battezzato in ragione della preponderanza della specie umana su
tutto il resto. Solo cinque generazioni del Novecento, sulle 10.000 che ci
separano dalla comparsa di Homo sapiens, hanno usato intensamente le risorse
fossili, un tempo pari allo 0,01 per cento di quello complessivo durante il
quale ci siamo culturalmente e tecnologicamente evoluti. Ma ogni medaglia ha il
suo rovescio, e l’accumulo di scorie, unitamente al prelievo sovradimensionato
di stock alimentari agricoli e ittici, minerari, forestali ed energetici, sta
provocando cambiamenti epocali, dal clima alla biodiversità.
Di fronte all’ipotesi assolutamente
probabile di mettere in crisi le condizioni di sopravvivenza dell’uomo sulla
Terra occorre dunque mobilitare l’intero corpus di conoscenza maturato dalla
civiltà. Mentre le scienze matematiche, fisiche e naturali, quelle «dure»,
elaborano scenari e raccolgono dati sul funzionamento del mondo, quelle umane –
psicologia, sociologia, antropologia, storia, economia – dovrebbero diffondere
comportamenti saggi, concepire soluzioni politiche ed economiche, comunicare
urgenze e speranze. E sopra tutti i saperi, la filosofia dovrebbe tornare ad
assumere il ruolo di guida dell’Uomo: dove andare, quali obiettivi porsi, come
individui e come collettività, quali limiti fisici rispettare, a quale etica
conformarsi. E’ probabilmente la più grande avventura con cui siamo chiamati a
confrontarci dall’inizio della nostra presenza terrestre: come vivere a lungo,
noi e le altre specie viventi, su un pianeta dalle risorse limitate, senza
comprometterne il rinnovamento e mirando a una «buona vita».
post precedenti in argomento nella categoria Saggistica
Nessun commento:
Posta un commento