Un’altra
guerra giusta
Dici "intervento francese" e
pensi a Bernard-Henri Levy. Ancora
non si conoscono obiettivi, tempi e modalità dell'operazione Serval, ma il filosofo
da combattimento francese ha già stabilito che
si tratta di una "guerra giusta", per cinque buone ragioni: 1.
fermare l'istituzione di uno stato terrorista, 2. bloccare il collegamento con
gli altri gruppi islamici della regione, 3. ribadire il diritto all'intervento
e 4. la "responsabilità di proteggere" e 5. riaffermare il ruolo
della Francia come paladina della democrazia mondiale.
Certo, ci sarà l'inevitabile concerto di Cassandre
che grideranno all'impantanamento, al nuovo Vietnam, all'avventurismo di una
guerra che doveva durare solo qualche giorno e cui fra una settimana verrà
rimproverato di prolungarsi in eterno: capriccio della parola nella democrazia
delle opinioni! […]
Si saprà contrapporre un doveroso disprezzo a chi già grida
al ritorno della Francia africana (Françafrique) e dei suoi riflessi
neocolonialisti?
A parte i toni curiosamente marinettiani,
Bhl avrà bisogno di cospicue riserve di disprezzo, dato che al terzo giorno di
intervento le Cassandre sono già parecchie. Tra queste Carlo Panella, non certo
un altermondista, che sul Foglio critica non tanto la validità morale
dell'operazione, ma la sua carente e tardiva pianificazione – che ha già
provocato tre vittime tra i francesi, contando anche il fallito
raid in Somalia – e l'incapacità di mettere assieme l'indispensabile
sostegno dei paesi limitrofi, il cui contagio potrebbe rendere lo scenario del
Sahel addirittura peggiore di quello afgano. Panella cita l'ex premier
Dominique de Villepin:
In Mali non abbiamo alcuna possibilità di
successo. In Mali ci batteremo alla cieca. Arrestare lo sfondamento degli
jihadisti verso sud, o riconquistare il nord del paese, o sradicare le basi di
al Qaida nel Maghreb sono tutti obiettivi bellici differenti, nettamente
diversificati. Per di più in un quadro che vede il nostro partner, il governo
del Mali, del tutto instabile politicamente e in assoluta carenza di un
appoggio regionale solido. E conclude:
Entrare in guerra, senza avere chiaro quale
sia il suo obiettivo finale e senza alleati sicuri sullo scenario regionale è possibile.
Ma porta alla sconfitta. Questo è esattamente quello che ha fatto François
Hollande, nella sua prima impresa africana.
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