giovedì 17 gennaio 2013

Mali, “filosofia francese”: ‘guerra giusta’



Un’altra guerra giusta

Dici "intervento francese" e pensi a Bernard-Henri Levy. Ancora non si conoscono obiettivi, tempi e modalità dell'operazione Serval, ma il filosofo da combattimento francese ha già stabilito che si tratta di una "guerra giusta", per cinque buone ragioni: 1. fermare l'istituzione di uno stato terrorista, 2. bloccare il collegamento con gli altri gruppi islamici della regione, 3. ribadire il diritto all'intervento e 4. la "responsabilità di proteggere" e 5. riaffermare il ruolo della Francia come paladina della democrazia mondiale. 
Certo, ci sarà l'inevitabile concerto di Cassandre che grideranno all'impantanamento, al nuovo Vietnam, all'avventurismo di una guerra che doveva durare solo qualche giorno e cui fra una settimana verrà rimproverato di prolungarsi in eterno: capriccio della parola nella democrazia delle opinioni! […] 
Si saprà contrapporre un doveroso disprezzo a chi già grida al ritorno della Francia africana (Françafrique) e dei suoi riflessi neocolonialisti?
A parte i toni curiosamente marinettiani, Bhl avrà bisogno di cospicue riserve di disprezzo, dato che al terzo giorno di intervento le Cassandre sono già parecchie. Tra queste Carlo Panella, non certo un altermondista, che sul Foglio critica non tanto la validità morale dell'operazione, ma la sua carente e tardiva pianificazione – che ha già provocato tre vittime tra i francesi, contando anche il fallito raid in Somalia – e l'incapacità di mettere assieme l'indispensabile sostegno dei paesi limitrofi, il cui contagio potrebbe rendere lo scenario del Sahel addirittura peggiore di quello afgano. Panella cita l'ex premier Dominique de Villepin:
In Mali non abbiamo alcuna possibilità di successo. In Mali ci batteremo alla cieca. Arrestare lo sfondamento degli jihadisti verso sud, o riconquistare il nord del paese, o sradicare le basi di al Qaida nel Maghreb sono tutti obiettivi bellici differenti, nettamente diversificati. Per di più in un quadro che vede il nostro partner, il governo del Mali, del tutto instabile politicamente e in assoluta carenza di un appoggio regionale solido. E conclude:
Entrare in guerra, senza avere chiaro quale sia il suo obiettivo finale e senza alleati sicuri sullo scenario regionale è possibile. Ma porta alla sconfitta. Questo è esattamente quello che ha fatto François Hollande, nella sua prima impresa africana.

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