da: Il Fatto Quotidiano
Il
bluff è finito: questa settimana Letta presenterà i veri numeri sulla finanza
pubblica e le misure da approvare per rispettare i vincoli europei di bilancio.
La linea di palazzo Chigi è netta e
politicamente esplicita: “Non sarà questo governo a portare l’Italia fuori dal
tetto del 3 per cento del deficit sul Pil”. D’altra parte il ministro
dell’Economia Fabrizio Saccomanni avverte che sul deficit 2013, oggi stimato al
2,9 per cento, ci saranno “scostamenti dal 3 per cento minimi e gestibili”. Se
oggi siamo sopra il 3 per cento e se il governo vuole rimanere comunque sotto
il 3, la conclusione è una sola: proporrà al Parlamento interventi per
raggiungere l’obiettivo. Tagli o tasse. E allora si vedrà se qualcuno osa votare
contro, se è disposto ad assumersi la patente di irresponsabile che vuole
condannare l’Italia alla gogna del ritorno sotto procedura d’infrazione
europea. Ecco quello che bisogna sapere per capire cosa sta succedendo.
Perché
all’improvviso c’è grande allarmismo sulla tenuta dei conti pubblici?
A Roma e Bruxelles c’è interesse a creare
un clima che favorisca la stabilità del governo. Ma i numeri sono davvero
impietosi. Lo ha ricordato giovedì la Banca centrale europea nel suo bollettino
mensile: “C’è un aumento del rischio che l’Italia non raggiunga l’obiettivo del
governo sul deficit 2013 (2,9 per cento del Pil)”.
Siamo
già sopra il 3 per cento?
Secondo le stime informali che circolano
siamo almeno a 3,4-3,5 per cento. Due indizi fanno una prova: l’effetto della
recessione è peggiore di quanto scritto nei documenti del governo: il Pil
scenderà di almeno 1,7 punti, se non di più. Invece che 1,3, come previsto dai
documenti del governo. Secondo indizio: il fabbisogno (la misura di quanto
debito serve mese per mese per finanziare le uscite del Tesoro) è molto
elevato, ad agosto 60,1 miliardi contro i 33,5 del 2012. In gran parte
responsabilità del pagamento dei debiti arretrati della pubblica
amministrazione.
Cosa
è andato storto?
Quando Mario Monti si è congedato, aveva
lasciato i conti in ordine almeno per quanto riguarda il 2013. Ma aveva
già spinto al limite la flessibilità ottenuta grazie ai sacrifici degli anni
passati: per pagare 20 miliardi di euro di debiti arretrati della Pubblica
amministrazione, il deficit di quest’anno sarebbe passato da 2,4 a 2,9. Poi è
arrivato Letta. E, come riassume la Bce, non ha completato le riforme
strutturali e ha introdotto nuove incognite, cancellando la prima rata dell’Imu
con coperture ballerine e promettendo di eliminare la seconda, senza
indicare con precisione risorse alternative. Morale: per quanto creativa, la
contabilità pubblica si fonda sull’aritmetica. Se riduci le entrate senza
tagliare le spese, il conto finale sballa.
Ma
Letta non aveva annunciato più volte, dopo i summit a Bruxelles, che avevamo
ottenuto deroghe, flessibilità, 10-15 miliardi per gli investimenti e 2 per il
mercato del lavoro?
Quasi tutta propaganda. È un po’ più
semplice usare fondi (già stanziati) per infrastrutture e per combattere la
disoccupazione giovanile, ma sui saldi di bilancio finali non c’è mai stata
alcuna concessione.
Perché
il parametro del deficit è così importante per l’Italia?
Siamo un Paese con un debito altissimo
(2.072 miliardi, oltre il 130 per cento del Pil) e con una crescita bassissima
da anni. L’unico modo per dimostrare ai nostri creditori che siamo in
grado di sostenere l’enorme montagna dell’indebitamento è avere un deficit
basso. Perché il deficit misura la differenza tra entrate e uscite nell’anno in
corso (noi siamo in avanzo primario, cioè il Tesoro incassa più tasse di quante
spese finanzia, ma al conto poi deve aggiungere circa 85 miliardi di euro di
interessi sul debito).
L’Italia
rischia di tornare sotto procedura d’infrazione per deficit eccessivo?
Purtroppo sì. La Commissione europea il 29
maggio scorso ha spostato l’Italia nella lista dei Paesi virtuosi, chiudendo la
procedura d’infrazione per deficit eccessivo aperta nel 2009. Quella
decisione si basava però sui conti del 2012 e sulle promesse di Letta per il
2013. Ora rischiamo di finire come Malta, che dopo soli sei mesi dalla
riabilitazione è tornata nella lista nera dei Paesi con deficit fuori
controllo. Le conseguenze di una procedura sono di due tipi: minore credibilità
sui mercati (quindi sale il tasso di interesse da pagare sul debito) e
limitazioni all’uso dei fondi comunitari. Se il problema persiste,
arrivano multe.
Perché
ci hanno raccontato per tanto tempo che il problema della finanza
pubblica era risolto?
Esigenze della politica. Letta doveva
vendersi qualche successo europeo e illudere il Pdl che ci fossero soldi da
spendere, Berlusconi e i suoi avevano promesse da mantenere (soprattutto
sull’Imu), il Pd non aveva intenzione di confermare la sua fama di partito
delle tasse e dei sacrifici, ogni problema sollevato da Mario Monti sarebbe
stato percepito come un’ammissione di fallimento del suo esecutivo tecnico.
Cosa
succederà adesso?
Entro il 20 settembre, cioè venerdì
prossimo, il governo dovrà presentare la nota di aggiornamento al Def, il
documento di economia e finanza. E adatterà le previsioni di crescita del Pil
da -1,3 a -1,7. Confermerà il rispetto del tetto al 3 per cento ma promettendo
un intervento correttivo. Entro il 15 ottobre Letta e Saccomanni dovranno
mandare a Bruxelles una sorta di bozza della legge di Stabilità in cui sono
tenuti a spiegare come intendono mantenere gli impegni presi. Poi a novembre
arriveranno le previsioni economiche d’autunno della Commissione europea: se
Bruxelles non dovesse avere abbastanza elementi per considerare credibili le
promesse italiane e dovesse certificare un deficit sopra il 3 per cento,
sarebbe il primo passo di una nuova procedura d’infrazione. Con immediata
perdita di credibilità del-l’Italia sui mercati finanziari.
Quali
sono i piani di Letta?
Il governo conta di spendere il tesoretto
lasciato da Monti. Secondo i documenti ufficiali, nel 2013 l’Italia pagherà in
tutto 90 miliardi di interessi sul debito, nel 2014 95 e nel 2015 100. Ma se lo
spread resta basso, queste cifre si possono rivedere al ribasso di molto. E la
differenza si può spendere per trovare copertura a interventi come la riduzione
del cuneo fiscale. È chiaro che è una scommessa: se poi il costo del debito
dovesse tornare a salire, saremmo completamente senza cuscinetti protettivi.
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