da: Il
Sole 24 Ore – 27 agosto 2013
Immobili
di pregio, il catasto non aiuta
I
nodi normativi. Ormai inadeguata e poco corrispondente alle reali condizioni la
«fotografia ufficiale» del patrimonio edilizio. Problematico anche il raccordo
tra i vani catastali dell'imposta sugli immobili e i metri quadrati su cui si
basa il prelievo sui rifiuti
di Cristiano Dell'Oste
Si fa presto a dire «troviamo una soluzione equilibrata sull'Imu». La realtà è
che le abitazioni di pregio sono
molto difficili da inquadrare e la
service tax è ancora più difficile da definire.
Partiamo dalla prima questione. Tutte le forze politiche sono d'accordo sul
fatto che le case di lusso debbano continuare a pagare l'Imu, ma non c'è una
visione unica su quali siano davvero le abitazioni di pregio.
La definizione
"classica", già valida ai tempi dell'Ici, fa riferimento alle unità immobiliari censite nelle
categorie catastali A/1 (abitazioni
di tipo signorile), A/8 (ville) e A/9 (castelli e palazzi di pregio
storico-artistico). Il guaio è che queste abitazioni sono appena 73.680 in tutta Italia, contro 19,7 milioni di abitazioni
principali. Come dire: una cifra
puramente simbolica, che farebbe risparmiare pochi spiccioli allo Stato –
in termini di gettito complessivo – e che d'altra parte non fotografa certo la vera platea dei
proprietari di abitazioni di
lusso. Al contrario, proprio gli elevati costi di manutenzione degli
immobili storico-artistici, uniti alla necessità di rispettare i vincoli delle
Soprintendenze, fanno sì che questi fabbricati siano se mai meritevoli di
un'attenzione particolare, testimoniata dal fatto che già il Governo Monti ha
previsto la riduzione a metà dell'imponibile.
Il problema è che la
fotografia catastale del patrimonio
edilizio non è più adeguata. E questo, al di là di tutte le altre iniquità
del sistema, per due motivi di fondo:
- da un lato, il 70% delle case è accatastato come A/2 o A/3, il che rende impossibile
modulare il prelievo in base alla categoria;
- dall'altro, tra A/2 e A/3 ci sono differenze di rendita catastale piuttosto significative, che non sempre corrispondono al reale valore di
mercato degli edifici. Detto in altri termini, due vicini di casa possono pagare importi di Imu molto diversi – a
fronte di prezzi immobiliari identici – solo perché le abitazioni sono state
costruite in anni diversi e accatastate in categorie diverse.
La conseguenza è
evidente. Se si sceglie di aumentare la
detrazione di 200 euro senza abolire l'Imu per tutte le prime case, il grosso di quelle che la pagheranno saranno le abitazioni accatastate accatastate come
A/2, mentre quasi tutte le A/3 saranno
esenti (si veda Il Sole 24 Ore del 23 agosto).
Lo stesso succede con i redditi dei proprietari. Le statistiche delle Finanze
dimostrano che la maggior parte delle case con un elevato valore catastale
appartengono ai proprietari con i redditi più elevati. Ma l'indicatore reddituale è comunque scarsamente
affidabile, perché conteggia come
poveri anche gli evasori e perché non
tiene conto del nucleo familiare. In ogni caso, la modulazione dello
sgravio Imu in base al reddito, al momento, pare uscita dai radar.
Decisamente
complicato si annuncia anche il varo della service
tax, che in qualche modo dovrebbe mettere insieme l'Imu e la Tares sui rifiuti. L'Imu, infatti, si paga sul valore catastale ed è legata
al possesso dell'immobile (quindi, in caso di locazione, la paga il
proprietario). La Tares, invece, è basata
sui metri quadrati, sulla producibilità di rifiuti e sul numero di occupanti del fabbricato (quindi la paga
l'inquilino).
Il nuovo tributo, dunque, dovrebbe
avere due componenti distinte, con i
presupposti oggettivi e soggettivi differenti: una legata al possesso
dell'immobile; un'altra alla sua occupazione
o detenzione. L'aspetto da sottolineare è che introducendo la service tax
si potrebbe distribuire diversamente
il gettito complessivo, trasferendolo in parte dai proprietari agli inquilini o
dalle abitazioni principali alle seconde case.
La componente più
facile da "spostare" potrebbe essere la maggiorazione Tares di 30 centesimi al metro quadrato, che è
destinata proprio a finanziare quei «servizi
indivisibili» di cui si dovrebbe occupare la service tax (illuminazione
pubblica, polizia locale, eccetera). Anche in questo caso, però, bisogna tenere
conto del fatto che la conversione da
vani catastali a metri quadrati non è automatica. Anzi, i vani catastali
non sono uniformi su tutto il territorio nazionale, ma neppure nella stessa
città: negli edifici più vecchi, ad esempio, tendono a essere più grandi, e
comunque – a parità di metratura ed epoca di costruzione – risentono della
struttura delle diverse unità immobiliari.
Inoltre, se il nuovo tributo sarà affidato alle scelte dei sindaci (come indicato nelle ipotesi del ministero
dell'Economia) sarà indispensabile lasciare agli uffici comunali il tempo
necessario a studiare la base imponibile
e calibrare al meglio il prelievo.
Altrimenti il rischio è che accada
come nel 2012, quando – nel dubbio – diversi Comuni hanno alzato l'asticella
della tassazione Imu, per non trovarsi a corto di risorse.
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