da: La Stampa
Il
prof di “Glee” racconta: “Quante lacrime per Cory sul set”
di Lorenzo
Soria
Non ci sono molti show, soprattutto di
questi tempi, che durano cinque stagioni. Glee ce l’ha fatta: il 27
settembre, a solo 24 ore dalla messa in onda negli Usa, gli insegnanti e gli
allievi della McKinley High School tornano a cantare e ballare anche per i fan
italiani, un fenomeno seguito da 50 milioni di spettatori in ogni continente.
«Il nostro segreto? La musica», risponde sicuro Matthew Morrison, il professor
Schuester che spinge i ragazzi del Glee Club a dare il loro meglio sorprendendo
i tanti scettici che non danno loro una chance. “Usiamo il linguaggio
universale della musica e, allo stesso tempo, affrontiamo molti temi reali e di
oggi».
Oltre a “Mr. Schue”, come lo chiamano
tutti, ritroviamo Jane Lynch nella parte della spietata Sue Sylvester, Rachel
Berry in quella di Lea figlia di due padri omosessuali, Kurt Hummel che ha la
voce da soprano di Chris Colfer. Mancherà invece Cory Monteith, il quarterback,
morto tragicamente in luglio per una overdose. Più che una serie
musicale, Glee è diventato un fenomeno sociale. Ne è certo Matthew
Morrison, una carriera a Broadway tra Footloose e The Rocky
Horror Picture Show e dal 2009 anime diGlee.
Mr.
Morrison, ci dà un anticipo della quinta stagione?
«Vedremo l’arrivo di nuovi personaggi e
mentre molti dei ragazzi hanno ormai finito la scuola, New York avrà una parte
sempre importante. Potremmo chiamarlo Glee 2.0».
Più
dettagli?
«I primi due episodi saranno dedicati ai
Beatles perciò riascolteremo alcune delle loro canzoni più belle. Il terzo
episodio sarà un tributo a Cory ed è uno dei migliori che abbiamo mai
realizzato. Lo abbiamo perso, Cory. Ci manca molto e mentre giravamo ci siamo
molto commossi e spesso abbiamo dovuto rifare le riprese perché c’erano troppe
lacrime. Ma con la sua perdita la famiglia di Glee adesso è ancora
più unita, questa tragedia ci ha reso consapevoli e forse più forti».
Ci
saranno degli ospiti speciali che può anticipare?
«Posso dire chi sarebbe il mio sogno:
Harrison Ford. Non so se ha delle attitudini come cantante, ma sono cresciuto
con Indiana Jones e sono un suo fan da sempre».
Oltre
che con la musica, come spiega il successo dello show?
«La musica viene prima di tutto, perché i
Beatles o Beyoncé non hanno bisogno di traduzioni. E poi perché affrontiamo dei
temi serie e reali e quindi il nostro è uno show che riunisce tutti e poi
insieme si discute».
Tornate
spesso sull’omosessualità...
«Personalmente penso sia assurdo che una
coppia gay che si ama non possa sposarsi. Ma noi le controversie non le andiamo
a cercare, cerchiamo solo di rappresentare la realtà».
È
vero che intende fondare delle scuole basate su quella di Glee?
«Io sono un prodotto della scuola pubblica
e quella che ho frequentato vicino a Los Angeles dove ballavamo e cantavamo mi
ha cambiato la vita. Sì è un mio progetto, vorrei mettere in piedi una catena
di scuole dedicate alle arti. Inizieremo con San Diego, Los Angeles,
Sacramento, poi speriamo di espanderci al resto del Paese e, perché no? al
mondo».
Anche
in Italia, magari?
«Vuoi fare una passeggiata con me? ( in
italiano, ndr.)».
Scusi?
«Ma io non ci credo ( sempre in italiano,
ndr.)».
Ma
da dove viene il suo italiano? Imparato a scuola?
«No, una decina di anni fa ho fatto uno
show con la prima metà che era tutta in italiano. Io non sapevo mai bene di che
cosa stavo parlando».
Un’ultima
domanda. Ha fatto un album dove si è anche esibito in duetti con Elton John e
con Sting e con Gwyneth Paltrow. Tornerà a registrare?
«L’ho già fatto. Il mio secondo album è più
in stile Sinatra e ho inciso dei brani con Smokey Robinson».
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