da: Il Sole 24 Ore
In
Norvegia vince il partito del fisco leggero e del Governo snello
di Gianluca
Di Donfrancesco
Ci sarà anche il partito di Anders Behring
Breivik, l'autore del massacro di Oslo e Utoya, nella coalizione che guiderà la
Norvegia. Le prime elezioni dopo la strage del 2011 hanno incoronato Erna
Solberg, leader dei conservatori, premiata dalle promesse di tagli delle tasse.
Ma hanno anche probabilmente segnato l'ingresso nella maggioranza del Partito
del progresso, di cui Breivik fece parte fino al 2006. Il partito, che neanche
a dirlo, prese le distanze dall'assassino, con il 6,6% dei voti ha ottenuto 29
seggi e sarà necessario alla Solberg per avere il controllo del Parlamento.
Le forze di centrodestra raggiungono
insieme il 53,9% dei voti, pari a 96 seggi. Oslo avrà così il primo ministro
conservatore dal 1990, anche allora al Governo c'era una donna, Gro Harlem
Brundtland, la prima a guidare il Paese e ancora ricordata come la «madre della
nazione». I laburisti del premier uscente, Jens Stoltenberg, pur sconfitti
restano il primo partito, con il 31%, e la coalizione di centrosinistra si
ferma al 40,5%, penalizzata dall'astensionismo: l'affluenza si è fermata al
71,4%, la più bassa dal 1927.
Populisti
sdoganati?
L'ingresso del populista e xenofobo Partito
del progresso nel Governo sarebbe una svolta per il Paese: nato nel 1973 come
un movimento di protesta contro le tasse, è stato sempre tenuto ai margini per
la sua difesa della «purezza culturale del popolo norvegese», spesso
sbandierata dalla leader Siv Jensen, che in campagna elettorale ha proposto la
creazione di «campi di raccolta per richiedenti asilo».
Per questo Paese, che ha una disoccupazione
appena al 3%, un costante flusso di immigrati è essenziale per evitare che il
mercato del lavoro si surriscaldi. I salari nell'industriale superano già del
70% la media europea. Nel 2012, il Paese ha accolto circa 70mila stranieri,
alla fine del primo trimestre di quest'anno, nel sistema produttivo norvegese
c'erano 67.600 posizioni lavorative scoperte.
La
cassaforte del petrolio
La Solberg, una ex scout che ha vinto la
dislessia, avrà comunque il suo bel da fare a superare le divisioni che
separano i partiti di destra, e non solo sulle politiche dell'immigrazione. I
Conservatori si sono impegnati a dare al Governo la coalizione più ampia
possibile, ma dovranno vincere la riluttanza dei partner minori (cristiano
democratici e liberali) ad allearsi con i progressisiti.
Altra questione da affrontare sarà quanto
destinare alla spesa pubblica dei 750 miliardi di dollari (pari al 150% dell
Pil) custoditi dal Fondo sovrano norvegese, con forti probabilità che cresca.
Per quest'anno i laburisti hanno fissato questa quota al 3,3%, al di sotto del
tetto del 4% stabilito nel 2001, ma duramente contestato dal Partito
progressista, che da sempre vorrebbe mano libera per finanziare le
infrastrutture. La Solberg non sembra intenzionata a infrangere il limite
massimo, tanto più che basterebbe salire al 4% per ottenere una manovra di
stimolo pari al 2% del Pil norvegese.
Una riforma del Fondo è comunque probabile.
Istituito nel 1990 per raccogliere e gestire i proventi del petrolio, è
diventato il più grande fondo sovrano al mondo, avendo quadruplicato il suo
valore dal 2005. Può comprare solo azioni estere (e senza salire oltre il 10%
del capitale di una singola società), obbligazioni e proprietà. Il suo
portafoglio è composto per il 60% da azioni, per il 35% da bond e per il 5% da
immobili. Non può comprare "in casa" per non ingigantire il già ampio
settore pubblico.
I conservatori hanno allo studio l'ipotesi
di dividerlo in due fondi e di consentire investimenti in private equity e
infrastrutture, sempre all'estero. E forse una riforma sarebbe anche
auspicabile, dato che il Fondo fallisce costantemente il proprio target di
rendimento del 4%: nel secondo trimestre, per esempio, ha portato a casa solo
lo 0,1%. Anche a bocce ferme, entro il 2020 arriverà comunque a valere il 200%
del Pil norvegese.
Fisco
leggero e liberalizzazioni
I Conservatori sono stati premiati per il
loro programma di taglio delle tasse, potenziamento delle infrastrutture,
alleggerimento delle regole per la concessione di mutui immobiliari (irrigidite
per prevenire una bolla) e maggior coinvolgimento dei privati nella sanità e
nell'istruzione. Durante la campagna elettorale, la Solberg aveva proposto la
vendita di una quota (si parla del 16%, per 11 miliardi di dollari) della
compagnia pubblica Statoil, che estrae oltre il 70% del petrolio e del gas
norvegesi, come parte del più ampio programma di liberallizzazione
dell'economia. Magari riducendo la quota dello Stato nell'operatore telefonico
Telenor e in Norsk Hydro (alluminio).
La coalizione di centrosinistra ha pagato
invece il rallentamento dell'economia. Nel bilancio dei suoi otto anni di
Governo, Stoltenberg poteva vantare il fatto che il Paese è riuscito ad
attraversare la recessione dell'Eurozona senza traumi. Ma negli ultimi due anni
la crisi si è fatta sentire e il Pil frena ormai al +2%. Un miraggio per quasi
tutta Europa, una delusione a queste latitudini.
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