Una nuova emergenza si sta aprendo e
dovremo occuparcene: la crisi della scuola. No, per carità, non voglio dire che
la mancanza di fondi, la pessima distribuzione degli insegnanti, la loro
preparazione non sempre eccellente ecc siano problema di questi giorni. Lo so
che si tratta di una crisi che dura da almeno 40 anni e che ormai sta marcendo.
Mi riferisco ad altro: agli ulteriori gravissimi danni che si stanno profilando
ad opera di questa sciagurata classe politica. Dopo la funesta serie ventennale
di ministri della Pubblica istruzione ed università (D’Onofrio, Lombardi,
Berlinguer, Moratti, Mussi, Gelmini, Fornero, facendo salvo il solo De Mauro)
si abbatte su di noi la Carrozza (Maria Carla e non il veicolo: ma una cosa non
è più intelligente e meno pericolosa dell’altra).
L’insigne scienziata ha recentemente esternato proponendo
due cose: di introdurre esperienze di lavoro nel corso di studi e di
reintrodurre geografia economica fra gli insegnamenti dei tecnici. Sulla prima
cosa c’è poco da dire: va benissimo che i ragazzi facciano qualche esperienza
lavorativa, ma a due condizioni: che il lavoro sia pagato e che riguardi tutti.
Ma la ministra (come ormai il politicamente corretto ci impone di scrivere) non
fa cenno ad alcuna retribuzione, per cui dobbiamo pensare che si tratti solo di
una erogazione di lavoro gratuita. Insomma, stiamo reintroducendo
l’apprendistato contro il quale la sinistra condusse una battaglia memorabile
mezzo secolo fa: congratulazioni!
All’epoca era contrario all’apprendistato
anche Ugo La Malfa che, rispetto alla Carrozza, era un pericoloso bolscevico.
Ma poi, tanto per essere chiari sul senso della proposta, la valente ministra
ha aggiunto che la norma riguarderebbe soprattutto i tecnici, mentre gli
studenti dei licei, si sa, sono figli di papà. Insomma l’esperienza educativa
consisterebbe nel fatto che gli studenti dei tecnici così imparano a lavorare
senza retribuzione e senza protestare. Tutto più chiaro.
Veniamo alla geografia, della quale, con
candore, la ministra ci dice che fu eliminata dai tecnici “per ragioni di
bilancio”: e perché non l’italiano o la matematica? E questo già la dice lunga
sul come sono state fatte le riforme scolastiche in questo ventennio. E non si
tratta solo dei tecnici. Due anni fa, feci un piccolo test fra i miei studenti,
per vedere cosa sapessero sulla Cina (figuriamoci!): distribuii un questionario
con risposte predeterminate e alla domanda “Quante navi attraccano nel porto di
Pechino ogni giorno?” circa 60 su 90 sbarrarono la risposta “da 5.000 a 12.000”
(il che, peraltro, avrebbe richiesto una banchina di centinaia di kilometri), solo
due risposero 0. Perché Pechino non ha un porto, non essendo sul mare. E questo
è il livello degli studenti iscritti ad un corso dedicato alla globalizzazione!
Allora ben venga il ritorno della
geografia, ma la geniale scienziata aggiunge: “Economica, perché deve servire a
capire l’economia”. Lasciando da parte questa visione pan-economica del mondo
che non fa capire neanche l’economia, mi limito a segnalare che questa è una
visione del secolo scorso. Nel mondo della globalizzazione – nel quale tutti si sciacquano
la bocca con la “geopolitica”- non ha più senso distinguere fra geografia
economica, politica, sociale, fisica o umana. E dovrebbe essere una delle
materie fondamentali per tutti i corsi di studio e con più ore alla settimana.
Ma non si tratta solo di questi svarioni
culturali da signora Maria di Voghera al caffè: ora ci si é aggiunta anche la
bolgia dei test di ingresso all’Università, a proposito dei quali, la sagace
ministra ha varato norme che aboliscono il voto di maturità nel calcolo del
punteggio finale, lasciando solo il risultato dei cervellotici test approntati.
Faccio umilmente presente allo stuolo di scienziati che affolla il ministero,
che il diploma di maturità si consegue con un esame di Stato esplicitamente
previsto dall’art. 33 della Costituzione, che prevede poi altri esami di Stato
per l’eventuale accesso alle professioni, mentre non menziona minimamente un
ulteriore esame per l’accesso all’Università essendo già il diploma di maturità
titolo necessario e sufficiente per questo. Ora, trattandosi di una norma di
rango costituzionale, non può venire scavalcata da un atto amministrativo,
ancorché previsto da una legge ordinaria.
Sarei curioso di vedere come andrebbe a
finire se i ragazzi si rifiutassero di andare ai test e presentassero
direttamente domanda di iscrizione, reagendo all’eventuale rifiuto da
parte dell’università con un ricorso al Tar, sostenendo che tale rifiuto
confligge con la norma costituzionale ed è un caso di falsa applicazione della
legge. I test possono essere facoltativi ma non possono rendere inefficace il
diploma ottenuto con un esame di Stato. Anche perché, diversamente, a cosa
servirebbe più l’esame di Stato?
Consiglierei al valente ministro e ai suoi
ancor più valenti collaboratori un corso accelerato di diritto costituzionale
(anche presso il Cepu va bene). Vi rendete conto di quali teste d’uovo reggono
le sorti del nostro sistema formativo?
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