da: Corriere della Sera
Caprotti:
com'è difficile fare impresa
Dal '70 aspettiamo un'autorizzazione
Dal '70 aspettiamo un'autorizzazione
Caro direttore,
ho letto il bell'articolo del professor Ricardo Franco
Levi sul Suo giornale dell'8 settembre. Non posso che ringraziarvi
per le lusinghiere espressioni usate nei riguardi di Esselunga e del
sottoscritto. Tuttavia vorrei permettermi un'osservazione.
Le tre aziende scelte dall'autore non
costituiscono un campione appropriato. Mettere Esselunga - e dunque me -
accanto ad Armani e Luxottica è azzardato. Meglio sarebbe stato scegliere
Ferrero.
Esselunga è una piccola azienda, piccolissima
nel suo settore, è solo una multiprovinciale, non ha un centesimo di attività
fuori dai confini nazionali. Ove Luxottica, coi suoi centri di produzione in
Cina, i suoi 6.000 negozi sparsi nel mondo è un gigante vicino al quale noi non
possiamo stare. Del pari Armani, che è un genio a livello mondiale, con
investimenti grandiosi anche fuori dal suo
campo d'origine. Noi dunque siamo
un'azienda di qui, una multiprovinciale che neppure riesce ad insediarsi a
Genova o a Modena, per non dire di Roma ove io poco, ma i nostri urbanisti si
sono recati forse 2.000 volte in dodici anni nel tentativo di superare ostacoli
di ogni genere, per incontrare adesso il niet del nuovo sindaco del quale si
può dire soltanto che è un po' «opinionated».
Noi, diversamente da Luxottica, Ferrero,
Pirelli, Squinzi, Bombassei, Calzedonia, siamo un'impresa al 100% italiana
(Pirelli, credo, italiana al 17%). E come tale un'impresa che deve difendersi
dalla Pa (pubblica amministrazione) in tutte le sue forme e a tutti i suoi fantasiosi
livelli ogni giorno che Dio comanda. Tassata al 60%, non più minimamente libera
di scegliersi i collaboratori (la signora Fornero ha «garantito» anche i
soggetti assunti in prova), Esselunga si trascina. Porta ancora avanti vecchi
progetti, cose nelle quali, incredibile dictu, si era impegnata ancora al tempo
delle lire.
Per realizzare un punto vendita occorrono
mediamente da otto a quattordici anni. Ma per Legnano ventiquattro; mentre a
Firenze forse apriremo l'anno prossimo un Esselunga di là d'Arno, una
iniziativa partita nel 1970! Così, ultimamente, abbiamo cancellato ogni nuovo
progetto. Ecco, caro direttore, la pallida risposta di un'azienda che di
problemi ne ha troppi, che si avventura ogni giorno in una giungla di norme,
regole, controlli, ingiunzioni, termini, divieti che cambiano continuamente col
cambiare delle leggi, dei funzionari, dei potenti. Uno slalom gigante con le
porte che vengono spostate mentre scendi. Un'azienda affondata nelle sabbie
mobili italiane. Oberata da un esiziale carico fiscale atto solo a sostenere
tutto ciò che nel paese è sovvenzionato. Cioè quasi tutto. Diversamente da
Armani e Luxottica che hanno «creato», noi abbiamo soltanto cercato di dare un
po' di eleganza, di efficienza, di carattere ad un mestiere assai umile. A
livello internazionale ciò ci è riconosciuto. Ma nel paese non siamo ben
accolti.
E per soprammercato facciamo un mestiere
che nel nostro stranissimo paese è politico. Perché? Perché sono
«politici» i due più grandi operatori nazionali. Fuori non riescono neppure a
capirlo. Ma sono tante le cose che gli stranieri non possono capire di noi, di
un paese che se fosse rimasto libero e normale avrebbe potuto andare chissà
dove. Imprenditori straordinari fecero nel dopoguerra aziende straordinarie. Ma
gli imprenditori sarebbero poi diventati tutti incapaci, a meno che non se ne
fossero andati ad operare altrove. Ma noi non possiamo. Peccato non si possa
dire: «hic manebimus optime».
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