da: Famiglia Cristiana
Il
sogno di Martini e la Chiesa di Papa Francesco
Il
cardinale sognava una chiesa più povere e più libera, che va incontro alle
persone senza giudicarle. Ora il nuovo corso di Francesco va nella direzione da
lui sognata.
di Don Antonio Sciortino
Non so se il sogno
del cardinale Martini si sia avverato. Di certo, se fosse vivo oggi non gli
dispiacerebbe la nuova Chiesa di papa Francesco, un gesuita come lui ed
entrambi candidati nel Conclave del 2005 per la successione a Giovanni Paolo
II. Pochi giorni prima di morire, nell'agosto dello scorso anno, il cardinale
Martini rilasciò un'intervista a padre Sporschill, pubblicata sul Corriere
della Sera, una sorta di testamento spirituale che suscitò un ampio dibattito,
consensi e qualche dura polemica. In quel testo il cardinale denunciava il
ritardo della Chiesa su tante questioni aperte, che ancora attendono risposta.
«La Chiesa», disse, «è indietro di duecento anni», a significare come avesse
perso l'ottimismo, la freschezza e lo slancio che la caratterizzavano negli
anni del concilio Vaticano II. E non solo per le vicende dei preti pedofili,
dei corvi
in Vaticano e degli scandali dello Ior, ma perché l'immagine che si
percepiva era quella di una Chiesa stanca e invecchiata, appesantita da un
apparato burocratico e ipertrofico, e da riti e abiti pomposi. In difficoltà a
riaccendere quella brace di amore che cova sotto una spessa coltre di cenere, a
rinnovarsi e a essere guida per le nuove generazioni, con uomini liberi e più a
servizio del prossimo, soprattutto degli ultimi e dei poveri. Per vincere
questa stanchezza Martini ha indicato tre "vie", che sono la "parola
di Dio", la "conversione" e i "sacramenti". «La
Chiesa», diceva, «deve avere la forza di riconoscere i propri errori e
percorrere un cammino di radicale cambiamento, cominciando dal Papa e dai
vescovi». Di fronte a tante situazioni "irregolari" ricordava che
«l'amore è grazia, dono di Dio». A un anno dalla sua morte, il messaggio di
Martini è quanto mai vivo e attuale, come dimostra la lettera che riportiamo
qui in basso.
Il
31 agosto 2012, sul finire dell'estate, il cardinale Martini ha lasciato la
vita terrena e ci ha consegnato, come eredità preziosa, un sogno: quello di una
Chiesa più accogliente, che va incontro alle persone senza giudicarle, che non
sale in cattedra ma preferisce sedersi a tavola con tutti. Una Chiesa più
sinodale, sempre in cammino e, quindi, bisognosa di strutture più leggere. Più
povera e più libera, disposta a rischiare. Un sogno che viene da lontano,
coltivato da almeno mezzo secolo con le speranze del concilio Vaticano II. E
che, con la scomparsa di Martini, sembrava svanito o proiettato in un futuro
distante. Invece, dopo appena due stagioni, sul finire dell'inverno, è arrivata
la coraggiosa decisione di Ratzinger. Poi, l'elezione di Bergoglio, gesuita
come Martini, con un nome che è già un programma: Francesco. E ancora una serie
impressionante di gesti, tutti nella direzione sognata da Martini. Ora quella
brutta bestia chiamata "diffidenza" potrebbe dire: «Ma non è troppo
per essere vero?». Oppure insinuare dubbi sull'autenticità di quanto accade: «È
tutto calcolato! La Chiesa indebolita dagli scandali ha bisogno di proporsi in
modo nuovo ma, alla fine, tutto tornerà come prima ». Alcuni, poi, si lasciano
andare a ipotesi complottistiche: «Questo Papa, prima o poi, lo bloccano. Se
continua ad attaccare i poteri forti, farà la fine di Luciani». Io non sono in
grado di fare previsioni. Cerco, invece, di capire la reazione di chi, a questo
sogno, ci ha sempre creduto. E ora si trova di fronte a un'occasione
straordinaria. C'è il rischio, però, di non saperla cogliere. Come l'innamorato
che ha corteggiato a lungo l'amata e quando lei si offre, resta pensoso e si
nega per paura. O, peggio, per risentimento, per i tanti no ricevuti in
passato. Sarebbe imperdonabile vivere così questo momento. Quel che sta
succedendo nella Chiesa è bello, dà gioia e speranza a tanta gente. La fede
muove le persone a riconoscersi come fratelli e abbracciarsi. Un nuovo
atteggiamento che rende tutto diverso. Così, i migranti non sono più
clandestini da respingere, i poveri "scarti della società", i giovani
"esistenze vuote e senza futuro" e gli anziani "un peso".
Tutti sono portatori di umanità e dignità. L'incontro diretto cambia tutto.
L'albero della Chiesa è in movimento, ma servono di più i rami – braccia che si
allungano – che le radici. Queste ci danno stabilità, ma ci costringono a
restare fermi, immobili. Come fu per Gesù e gli apostoli, sempre in cammino
verso nuovi incontri. Come fu per i profeti e anche per Martini. Anch'egli,
come Mosè, non vide la "Terra promessa", ma si fermò vicino alla
meta, ad appena due stagioni di distanza. Nell'ultima sua intervista disse:
«Consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per
i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano
circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del
confronto con uomini che ardono in modo che lo Spirito possa diffondersi
ovunque». La Chiesa che sta arrivando è quella sognata da Martini? Io spero di
sì, anche se il cammino è ancora lungo. Solo un timore deve accompagnare chi
cammina con la Chiesa: che qualcuno venga dimenticato o escluso. Ma il
"vescovo di Roma" ce lo ricorda tutti i giorni.
Lettera
di Giovanni T. - Padova
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