venerdì 6 settembre 2013

Il sistema imprenditoriale italiano: estate in fuga

Una “moda” scoppiata in questa estate 2013 è quella di alcuni imprenditori (?!) che, in quattro e quattr’otto, nel silenzio delle assenze vacanziere, smantellano le aziende trasferendo gli impianti in altri paesi. E’ il caso di tale Fabrizio Pedroni, imprenditore di Firem srl con sede a Formigine, provincia di Modena.
Ha chiuso l’azienda per ferie e, durante una notte, ha iniziato a smantellare la sua azienda che produce componenti elettrici per trasferirli all’estero. Nuova sede: Polonia.
Scoperta la “fuga” dai dipendenti, l’imprenditore è finito in prima pagina. In un’intervista rilasciata a Bloomberg, l’imprenditore ha dichiarato che la scelta era motivata dalla necessità di far sopravvivere l’attività: in Italia non c’erano più le condizioni per operare.

E’ chiaro a tutti quale dev’essere il dramma vissuto dai lavoratori che si sono visti privati del loro lavoro. E, in questo caso, non si tratta di perdere temporaneamente uno stipendio sostituito da un assegno di cassa integrazione ma di veder sparire un pezzo fondamentale di futuro.
Comprensibile la rabbia, lo smarrimento, di questi lavoratori. Altrettanto comprensibile sarebbe la voglia di ritrovarsi davanti questo presunto imprenditore e mazzolarlo.

E’ tutto comprensibile. Chissà come reagiremmo noi in siffatta situazione. Ciò non di meno, sono anni che aziende italiane, gestite da “acuti manager”, spostano attività all’estero. Un nome a caso: Fiat.
E’ vero che si sentono le grida dei sindacati e qualche immagine televisiva mostra i dipendenti inferociti, ma la notizia scivola via dalle prime pagine velocemente dopo essere stata attorniata da esternazioni di politici, economisti, in difesa della scelta – secondo loro obbligata - praticata dagli incompresi  “grandi manager” di aziende grandi (‘aziende grandi’, non ‘grandi aziende’: invertendo l’ordine dell’aggettivo il senso cambia).

Per quanto possano esservi motivi seri per ritenere non più praticabile lo svolgere un’attività imprenditoriale in Italia, gli imprenditori medio piccoli che organizzano certe sorpresine ai loro dipendenti, svuotando le aziende mentre questi sono in ferie, danno un indubbio senso di squallore.
Ma un po’ di decenza dovrebbe evitare l’ipocrisia di mettere alla gogna i Pedroni e sostenere invece i Marchionne. Entrambi, non sono imprenditori. Perché fare impresa in Italia è cosa difficile e complessa stante la burocrazia che costringe una dipendenza totale dalle lobby (commercialisti), ma senza un’adeguata capacità gestionale anche una normativa semplificata e la sparizione delle lobby non impedirebbe a certi imprenditori di darsi alla fuga. E le sorti di un’azienda non sono legate al solo fattore costo del lavoro.

In Italia non esiste un sistema imprenditoriale, esistono qua e là capaci imprenditori che si scontrano quotidianamente con uno Stato inadempiente e oneroso. Ci sono. Sono sparsi a macchia di leopardo. Ma non sono tanti e tali da fare un sistema imprenditoriale capace di reggere, prima ancora che di crescere. E attribuire tutte le colpe al sistema bancario non serve a capire il perché di una crisi e come uscirne. Chi non ha progetti di ricerca e capacità nel definire piani industriali a termine non può avere credito. Perché, per le banche, i finanziamenti si tramuterebbero nel breve tempo in sofferenze.

E le banche non sono enti di beneficienza. I soldi che danno (quando li danno) sono quelli dei risparmiatori. Ma pare che agli italiani questo “particolare” sfugga…

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