da: La Stampa
Luciano
Ligabue “Il mio Miserere rock sugli abusi di potere”
Per
il rocker settimana di sold out all’Arena di Verona “Non l’avevo mai fatto, ma
oggi devo cantare la crisi”
di Marinella Venegoni
Il cartello «Più Liga per tutti» rovinato
dalla pioggia, tutto intorno un fiorire di mantelline colorate tipiche, modello
Arena Bagnata. I rosa, i gialli, gli azzurri che restituiscono l’idea di una
festa fanciullesca, come in effetti è, incurante del maltempo. Il Liga, più
giovane col capello corto, il ciuffo alto un po’ Elvis un po’ punk, non sembra
più lui ed è commosso davvero, ieratico, mentre canta a cappella, sommerso dai
cori, Il giorno del dolore che uno ha, poi attacca la magnifica, anche a
vedersi, orchestra dei 64 giovanissimi più uno (il maestro Marco Sabiu) ed
invenzione e tradizione danzano senza paura, mentre si affacciano Il peso
della valigia e Leggero. Un concerto rock con contorno di orchestra
per dare l’arrivederci ad Arrivederci mostro e riprendersi la strada che
porta verso il nuovo album, riscoprire ancora una volta il legame fra i
giovani, giovanissimi, e il loro idolo: uno che tanti anni fa ha pensato al
rock
come modello per raccontare la ambasce, le storie e i tipi del suo Bar Mario
e gli è andata davvero bene: non solo un maestro nostrano del pop, ma regista,
scrittore, maitre-à-penser, in quest’Italia che ha perso la bussola e si
consola in una notte di pioggia cantando.
E così, come omaggio al Centenario della
Fondazione Arena, siamo al ritorno nel tempio veronese che fu un tempo (ormai
lontano, pre-Gianmarco Mazzi) appannaggio della sola lirica. Luciano Ligabue ha
felicemente visto esaurite in sole 2 ore le prenotazioni per le sei date
dell’Arena, il che era anche prevedibile per un artista con uno zoccolo
durissimo di fans: 72 mila persone in una settimana. Nel tempo ormai lungo che
lo separa dal debutto, egli ci ha insegnato non solo i ritmi delle sue canzoni
ma anche quelli della sua vita. E abbiam capito che alle parentesi di silenzio,
nel mondo del Liga, fanno seguito autentici scoppiettii personali e artistici
che difficilmente possono passare inosservati. Stavolta, però, si è superato.
Prima, c’è stato il taglio epocale di
capelli che lo ha praticamente ridisegnato nel fatale passaggio alla mezza età
(il Liga ha 53 anni) alla fine dello scorso maggio, con esposizione
dell’immagine al popolo. Poi, il matrimonio con la sua Barbara, mamma della
secondogenita Linda che ha ormai 8 anni, il 7 settembre scorso. E ancora, ha
concorso all’attenzione l’uscita del primo album da solista del fratello Marco
Ligabue già con i Rio, il 10 settembre.
Subito dopo, e subito prima di questa
tornata di concerti, ecco un libro intervista «La vita non è in rima (per
quello che ne so)» a cura di Giuseppe Antonelli, storico della lingua Italiana
all’Università di Cassino, nel quale si cerca di svelare il misterioso connubio
fra testi e musica, da parte di un personaggio che per quanto timido rivela
poi, davanti alle domande più intime sulla propria tecnica di scrittura, una
limpida serenità e chiarezza nell’esposizione.
Ben recensito il libro da gente di spessore
del mondo accademico, raramente disposto ad abbassarsi al pop, Ligabue incassa
intanto anche la gloria delle citazioni ripetute da parte del Primo Ministro
Letta: l’ultima volta da Chianciano, quando è ricorso al «Sud, terra di
bellezza senza navigatore» per esprimere un concetto difficile da addolcire.
Sono anni troppo problematici per mettere l’Italia nelle canzoni, se non fosse
per Battiato e per lui tutti, ormai, si tirano indietro.
Ma dal libro di Antonelli, in una rincorsa
senza fine verso il futuro, abbiamo intanto pure appreso i titoli e i testi
delle canzoni che riempiranno il nuovo album di inediti (almeno su quello,
grazie al cielo, resta una piccola sorpresa) in uscita il prossimo 26 novembre.
E intanto è ovviamente uscito una settimana fa un singolo, «Il sale della
terra» che manco a farlo apposta cita «Il capitano che fa l’inchino» proprio in
questi giorni di diretta dal Giglio dell’epica impresa che riguarda la
Concordia.
Insomma, le concomitanze si fanno
inquietanti, e cooperano ad attirare l’attenzione forse più della stessa canzone,
un doloroso (ma ahimé non così avvincente, musicalmente) miserere rock sulle
tribolazioni di questa crisi «che non è solo economica, ma sociale e di
comportamento» come spiega lui al suo intervistatore. «Ha a che fare con il
bisogno di potere, con le conseguenze prodotte da chi vuole conquistare il
potere a ogni costo e a ogni costo mantenerlo». E Il sale della terra ha
finito ieri sera per diventare il gioiello finale, quando l’Orchestra Sinfonica
se n’è andata e scritte topiche sono apparse sul maxi schermo, mescolando Henry
Kissinger («Il potere è l’afrodisiaco supremo») con Jimi Hendrix («Quando il
potere dell’amore avrà superato l’amore per il potere, si avrà la pace») prima
che Ligabue desse l’arrivederci al Mostro per avventurarsi nel nuovo mondo
musicale.
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