martedì 10 settembre 2013

Scuola: tra debiti e crediti gli insegnanti diventano burocrati

da: Lettera 43

Tra debiti e crediti la scuola diventa azienda
A settembre tornano gli esami di recupero voluti dall'ex ministro Gelmini. Ma i test non aiutano a crescere. E trasformano gli insegnanti in freddi burocrati.
di Nadia Marchetti

Primi giorni di settembre: per alcuni ragazzi si ripresentano le prove che hanno sostituito i vecchi esami di riparazione, ora rinominati «esami di recupero per gli studenti che hanno il giudizio sospeso». Si sa, cambiare il nome oggi è tutto.
Gli insegnanti assumono quindi la veste di giudici implacabili e severi, chiamati ad accertare che il debito sia stato saldato, ovvero siano state recuperate le lacune accumulate nel corso dell’anno scolastico precedente (per cattiva volontà o per reale incompatibilità con le materie).
Curioso il linguaggio secondo cui lo studente è il debitore e il docente colui che ha assegnato il debito e ora deve verificarne l'effettivo saldo decidendo sull'ammissione dei ragazzi alla classe successiva.

RIFORMA DEL 2007 DI GELMINI. Prima del 2007, quando sono stati reintrodotti gli esami di riparazione, il debito esisteva già, solo che non doveva essere saldato con un esame a settembre: con estrema fiducia nella buona volontà degli alunni e delle famiglie si proponevano corsi di recupero con verifica finale, che, nella maggior parte dei casi, risultava negativa.
Perché studiare se il rischio era una riduzione dei crediti in vista della maturità? Per giunta il punteggio era attribuito solo dal terzo anno. E gli studenti con una o più insufficienze avevano comunque diritto a ottenere il minimo dei crediti.
ESAMI PER COLMARE IL DEBITO. Dal 2007 le cose sono cambiate. Già al primo scrutinio, in genere a gennaio, sono segnalati gli studenti insufficienti e si propongono corsi di recupero che sono però ridotti all’essenziale vista la mancanza di fondi e quindi riguardano solo le materie con il maggior numero di voti non sufficienti. E spesso si accorpano studenti di classi diverse se il programma è simile.
Al termine del corso c'è una verifica per testare se lo studente ha recuperato effettivamente le lacune. Ma anche in questa fase il debito solitamente non viene colmato, nonostante l’insegnante ripeta all’infinito gli stessi concetti e riproponga i medesimi esercizi svolti durante la prima parte dell'anno.
La 'strategia' degli studenti è attendista: perché sprecare tempo prezioso che si può trascorrere serenamente su Facebook, quando si hanno davanti mesi lunghissimi per recuperare?
Dopo i primi corsi si torna in classe. E a maggio gli studenti si ridestano
Poi si torna in classe. Il programma nel frattempo è andato avanti, tra assenze per malattia, pause di riflessione, vacanze di Pasqua, feste, gite scolastiche (sempre che si trovino insegnanti disponibili ad accompagnare le classi) e altri corsi di vario genere - di solito interessanti - ma che interrompono la 'normale' attività scolastica.
Quindi si arriva a maggio: a metà mese improvvisamente avviene il risveglio e, come per gli orsi che emergono dal letargo, gli studenti cercano di raggiungere la sufficienza, con genitori che affollano l’ora di ricevimento e ragazzi che con manifestazioni di buona volontà - studiacchiando a memoria le ultime lezioni e facendosi passare gli appunti dai compagni secchioni - provano a ingraziarsi il docente.
Qualche volta arriva la misera 'quasi sufficienza' che però serve a evitare il debito. Ma non tutti i docenti ci cascano. E fanno scattare la trappola, sentenziando la condanna allo studio estivo.
LA DECISIONE FINALE A SETTEMBRE. Durante questo periodo la scuola è obbligata a offrire dei corsi di recupero di 15 ore cui gli studenti possono partecipare.
Poi arriva settembre. A volte lo studente con un sorrisetto beffardo si dimostra assolutamente padrone perfino dei segreti della materia in cui aveva il debito; in altre occasioni, gli alunni, cercando di dominare l'agitazione, spiegano ciò che hanno ripassato. Ma c'è pure chi si presenta totalmente impreparato, avendo addirittura dimenticato quel poco che sapevano a giugno, spiegando che in realtà hanno intenzione di cambiare scuola e la promozione serve solo per trasferirsi. Peccato che poi si iscrivano regolarmente alla classe successiva dello stesso istituto.
LA SCUOLA DEVE TRASMETTERE VALORI. Chiaramente a decidere la promozione non è il singolo insegnante, ma il Consiglio di classe che valuta eventuali passi avanti, magari piuttosto incerti, rispetto alla situazione iniziale, cioè a giugno.
È in questa sede che nascono i problemi. Per esempio capire cosa fare nel caso in cui lo studente non abbia recuperato una sola materia, oppure abbia colmato due lacune su tre: bocciarlo come prescrive l’ordinanza, anche se tutto il resto è pienamente sufficiente?
Sembrerebbe semplice, a parole. Ma non si sta valutando un prodotto che può presentare difetti di fabbricazione. Si tratta di giovani che la scuola dovrebbe aiutare a crescere. Forse, tra debiti e crediti, abbiamo dimenticato il vero scopo della scuola: responsabilizzare, ampliare le conoscenze, stimolare lo sviluppo della personalità e delle attitudini personali.
Credo che il fallimento della riforma sia proprio questo: se tutto viene ridotto a un giudizio di merito, significa che la scuola è diventata un'azienda, il preside rappresenta il dirigente e gli insegnanti sono ridotti a burocrati dal volto impassibile e inespressivo. Come nei romanzi di Franz Kafka.

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