da: Il Fatto Quotidiano
Milano,
arrestata figlia di Mangano. “Mafia si attivò per l’elezione di Zambetti”
Tra
le otto persone finite in manette - accusate, tra l'altro, di estorsione, false
fatturazioni e favoreggiamento - ci sono anche il genero del fattore di Arcore
e Giuseppe Porto, suo uomo di fiducia che, secondo il gip, si sarebbe adoperato
per fare eleggere l'assessore alla Casa della Giunta Formigoni. Tramite un
sistema di cooperative fornivano supporto "logistico e finanziario" a
Cosa Nostra
Ci sono anche la figlia e il genero di Vittorio
Mangano tra le otto persone arrestate martedì mattina dalla Squadra mobile
di Milano nell’ambito di un’indagine
su una presunta organizzazione mafiosa attiva in Lombardia e ritenuta emanazione diretta di “cosa nostra”
siciliana. Insieme a Cinzia Mangano e Enrico Di Grusa, come ha
confermato la Dda di Milano, che coordina l’operazione, anche Giuseppe Porto, uno dei principali
uomini di fiducia di Mangano, deceduto nel 2000
e ritenuto al vertice del mandamento mafioso
di “Porta Nuova”. Paolo Borsellino, che indagava su di lui, pensava
fosse una sorta di ‘chiave’ del riciclaggio
di denaro sporco in Lombardia. Nell’ordinanza firmata dal gip, per le
elezioni lombarde del 2010 Porto, ritenuto “uomo di collegamento” della mafia a
Milano, si sarebbe adoperato per “sostenere il candidato del Pdl Domenico
Zambetti che successivamente verrà eletto e diventerà assessore alla Casa
della giunta Formigoni”. Zambetti che è stato poi arrestato
per voto di scambio con la ‘ndrangheta e concorso esterno in associazione
mafiosa. E per gli inquirenti Cinzia
Mangano è “vertice, promotrice e capo” dell’organizzazione mafiosa
radicata in Lombardia.
Al centro delle indagini della polizia, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, una rete di società cooperative attive nella logistica e nei servizi, che, mediante false fatturazioni e sfruttamento di manodopera, hanno realizzato profitti “in nero” almeno dal 2007. Parte di questi profitti, secondo quanto fa sapere la polizia, è stata poi utilizzata per sostenere, dal punto di vista logistico ed economico, importanti esponenti di cosa nostra detenuti o latitanti; altro denaro è stato invece investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente l’economia lombarda.
Al centro delle indagini della polizia, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, una rete di società cooperative attive nella logistica e nei servizi, che, mediante false fatturazioni e sfruttamento di manodopera, hanno realizzato profitti “in nero” almeno dal 2007. Parte di questi profitti, secondo quanto fa sapere la polizia, è stata poi utilizzata per sostenere, dal punto di vista logistico ed economico, importanti esponenti di cosa nostra detenuti o latitanti; altro denaro è stato invece investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente l’economia lombarda.
Le accuse
per gli otto arrestati dalla squadra mobile sono a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, false fatturazioni, favoreggiamento e impiego di manodopera
clandestina. In particolare, spiega l’ordinanza in riferimento all’articolo 416bis, gli
arrestati “promuovevano, organizzavano e partecipavano ad una associazione
criminosa di tipo mafioso, e come tale si avvalevano della forza di intimidazione del
vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne
derivano per la commissione di estorsioni, favoreggiamento della permanenza sui
territorio italiano di manodopera clandestina, false fatturazioni” e “per
acquisire forme di controllo di attività economiche” anche “attraverso la messa
a disposizione di servizi di ‘recupero crediti’ ed avvalendosi del contributo
sistematico di professionisti addetti alla predisposizione della falsa
documentazione contabile”. Inoltre le cooperative del gruppo Porto-Mangano-Di
Grusa “assolutamente concorrenziali sul mercato” perché offrivano “manodopera a
condizioni per gli imprenditori-clienti molto vantaggiose”, realizzavano
“ingenti profitti ‘in nero’, che venivano destinati all’acquisizione di
ulteriori attività economiche e “allo stabile sostegno logistico e finanziario”
di Cosa Nostra.
L’organizzazione, poi, esercitava una “forza intimidatrice” ai danni di
alcuni imprenditori. “Sono numerose le
vicende di imprenditori lombardi – si legge nell’ordinanza del gip
Donadeo – che vengono a trovarsi in una soggezione psicologica e di
soccombenza per effetto della convinzione di essere esposti al pericolo senza
alcuna possibilità di difesa, di fronte a manifestazioni concrete della forza
intimidatrice” che si traduce “nel compimento di effettivi atti estorsivi o
comunque di intimidazione, dimostrativi del metodo mafioso finalizzato al
subingresso nelle società delle parti lese interessate o comunque del recupero
crediti”.
Le operazioni sono state eseguite in
diverse località della Lombardia, tra cui Peschiera Borromeo, Bresso, Lodi,
Cremona, Corsico, Tibiano, Monza, San Donato Milanese, Brugherio,
Varese e Trezzano. Nel provvedimento di custodia cautelare, emesso dal gip di
Milano Stefania Donadeo su richiesta del sostituto procuratore della
Dda Marcello Tatangelo, si parla di “mafia imprenditoriale” che
“cerca di fare affari, e non solo illeciti”. Inoltre, proseguono i
magistrati, “l’associazione contestata corrisponde alla mafia
imprenditoriale cioè a un’associazione che si avvale della forza dalla storia e
dalla fama della realtà criminale a cui appartiene … non per realizzare in via
esclusiva evidenti azioni illegali bensì per entrare nel tessuto economico
della zona d’appartenenza e trarne un beneficio economico”. Oltre alle otto
misure emesse dal gip di Milano e alle perquisizioni, sono stati individuati
beni e conti correnti ora al vaglio della sezione Misure di prevenzione del
Tribunale di Milano.
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