da: Il Fatto Quotidiano – 7 agosto 2013
Secondo Angelo Panebianco, editorialista
del Corriere (e non solo lui), la condanna definitiva di B. per frode fiscale
non dipende dal fatto che B. è un frodatore fiscale, ma dallo “squilibrio di
potenza fra magistrati e politica”. Perché in Italia la politica sarebbe “un
potere debole e diviso” che non riesce a riformare il “potere molto più forte e
unito” della magistratura. Solo separando le carriere, abolendo l’azione penale
obbligatoria, trasformando il pm in “avvocato dell’accusa”, spogliando il Csm, cambiando
la scuola e il reclutamento delle toghe e rimpolpando i poteri del governo
nella Costituzione si eviteranno sentenze come quella del 1° agosto.
Forse Panebianco non sa che in tutte le
democrazie del mondo, anche quelle che hanno da sempre nel loro ordinamento le
riforme da lui auspicate, capita di continuo che uomini politici vengano
condannati se frodano il fisco, con l’aggiunta che vengono pure arrestati e, un
attimo prima, cacciati dalla vita politica. Ma soprattutto il nostro esperto di
nonsisachè ignora la carriera criminale di B., che froda il fisco da quando
aveva i calzoni corti. E se non fu scoperto all’epoca è perché con i fondi neri
corrompeva politici, Guardia di Finanza e giudici che avrebbero potuto
scoperchiare le sue frodi fin dagli anni 70. Chi conosce il curriculum del
neo-pregiudicato non si stupisce per la
condanna dell’altro giorno, ma per il
fatto che un tale delinquente matricolato sia rimasto a piede libero fino a
oggi.
La
prima visita.
Il 12 novembre 1979 una squadretta della
Guardia di Finanza ispeziona l’Edilnord Centri Residenziali Sas che sta
realizzando a Segrate la città-satellite di Milano2, sospettata di varie
irregolarità tributarie. Nel cantiere, con alcuni operai, c’è un omino
spelacchiato e imbrillantinato che si presenta come “semplice consulente” della
società. È Silvio Berlusconi, il proprietario, iscritto da un anno alla loggia
deviata P2. I finanzieri vogliono sapere perché abbia prestato fideiussioni
personali in favore di Edilnord e Sogeat, società il cui capitale è
ufficialmente controllato da misteriosi soci svizzeri. Ma lui fa lo gnorri e
mette a verbale: “Ho svolto un ruolo molto importante nei confronti
dell’Edilnord Centri Residenziali e della Società generale attrezzature Sas,
perché entrambe mi hanno fin dall’inizio affidato l’incarico professionale
della progettazione e della direzione del complesso residenziale Milano 2”.
Anziché ridergli in faccia e approfondire le indagini, il maggiore Massimo
Maria Berruti che guida la squadra si beve tutto, chiude l’ispezione in meno di
un mese, nonostante le anomalie finanziarie riscontrate e archivia tutto con
una relazione rose e fiori. Poi, il 12 marzo 1980, si dimette dalle Fiamme
Gialle. Per qualche mese lavora per l’avvocato d’affari Alessandro Carnelutti,
titolare a Milano di un importante studio legale con sedi a New York e Londra,
dove si appoggia all’avvocato inglese David Mackenzie Mills. Poi Berruti inizia
a lavorare per il gruppo Fininvest, specializzandosi in operazioni finanziarie
estere e in contratti per i calciatori stranieri del Milan. Gli altri due
graduati che erano con lui nel blitz del ’79 sono il colonnello Salvatore Gallo
e il capitano Alberto Corrado. Il nome di Gallo verrà trovato nelle liste della
loggia P2. Corrado verrà arrestato nel ’94 e poi condannato con Berruti per i
depistaggi nell’inchiesta sulle mazzette Fininvest. Versate a chi? Alla Guardia
di finanza, naturalmente.
San Bettino vede e provvede. Nel 1980
Berlusconi rischia di ritrovarsi un’altra volta la Finanza in casa. Allarmatissimo,
scrive una lettera al-l’amico Bettino Craxi, leader del Psi che sostiene il
governo Cossiga: “Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante
ha annunciato che dopo la visita a Torino, Guffanti e Ca-bassi, la Polizia
tributaria si interesserà a me… Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto
fare” (lettera pubblicata dal fotografo di Craxi, Umberto Cicconi, in Segreti e
misfatti, Roma 2005).
Che si sappia, anche quella volta le Fiamme
Gialle si tengono alla larga dal Biscione. Che evidentemente ha sempre più cose
da nascondere.
Giudici
venduti e no
Il 24 maggio 1984 il vicecapo dell’Ufficio
Istruzione di Roma, Renato Squillante, interroga B., assistito dall’avvocato
Cesare Previti e imputato “ai sensi dell’articolo 1 della legge 15/12/69 n.
932” per interruzione di pubblico servizio a causa delle presunte antenne
abusive sul Monte Cavo che interferiscono nelle frequenze radio della
Protezione civile e dell’aeroporto di Fiumicino. Gli imputati sono un
centinaio. Ma la posizione di B. viene subito archiviata il 20 luglio 1985,
mentre altri 45 rimarranno sulla graticola fino al 1992 e se la caveranno solo
grazie al-l’amnistia. Non potevano sapere che Squillante e Previti avevano
conti comunicanti in Svizzera. Insomma, che il giudice romano era a libro paga
della Fininvest.
Il 16 ottobre 1984 i pretori di Torino,
Pescara e Roma, Giuseppe Casalbore, Nicola Trifuoggi e Adriano Sansa,
sequestrano gli impianti che consentono a Canale 5, Italia 1 e Rete 4 di
trasmettere in contemporanea in tutt’Italia in spregio alla legge. Craxi
neutralizza le ordinanze con due “decreti Berlusconi”.
Mills
e la Fininvest occulta
Nel 1989 l’avvocato Mills, consulente
Fininvest da alcuni anni, costituisce per conto del gruppo Berlusconi la All
Iberian e decine di altre società offshore (la Kpmg, per conto della Procura di
Milano, arriverà a contarne 64) domiciliate nelle isole del Canale (all’ombra
di Sua Maestà britannica), nelle Isole Vergini e in altri paradisi fiscali.
Ordine è partito dai responsabili della finanza estera del gruppo, Candia
Camaggi e Giorgio Vanoni. Nasce così il “Comparto B” della Fininvest, “very
discreet”, cioè occulto e in gran parte mai dichiarato nei bilanci consolidati,
alimentato perlopiù dalla Silvio Berlusconi Finanziaria Sa (società
lussemburghese regolarmente registrata a bilancio), ma anche da denaro
proveniente dal Cavaliere in persona (in contanti, tramite “spalloni” che lo
portano da Milano oltre il confine elvetico). Sul conto svizzero di All
Iberian, in soli sei anni, transitano in nero quasi mille miliardi di lire.
Usati per operazioni riservate e inconfessabili, come confermeranno le sentenze
definitive All Iberian, Mills e Mediaset. Anzitutto, B. versa 23
miliardi a Craxi tra il 1990 e il ’91. Gira soldi di nascosto ai suoi
prestanome Renato Della Valle e Leo Kirch: non potendo, per la legge Mammì,
detenere piú del 10% di Telepiú, B. finanzia occultamente le teste di legno che
rilevano le sue quote eccedenti. Acquista per 456 miliardi il capitale di
Telecinco, la tv spagnola, di cui per la legge antitrust di Madrid non potrebbe
controllare più del 25%. Presta soldi a Giulio Margara, presidente di Auditel e
direttore di Upa, l’associazione utenti pubblicitari. Gira 16 miliardi a
Previti, in parte per pagarlo in nero in parte perché versi tangenti a giudici
romani come Squillante e Vittorio Metta (autore della sentenza comprata che nel
1990 scippa la Mondadori a De Benedetti per regalarla alla Fininvest). Scala di
nascosto i gruppi Rinascente, Standa e Mondadori in barba alla normativa
Consob . E soprattutto, tramite alcune offshore, intermedia l’acquisto di
film dalle major di Hollywood, facendone lievitare i costi per 368 milioni di
dollari e dunque abbattendo gli utili di Mediaset per tutti gli anni 90,
consentendo al gruppo di pagare meno imposte e al beneficiario dei conti
esterni, cioè a se stesso, di accumulare una fortuna extrabilancio ed
esentasse. E cosí via. Resta pure il sospetto che parte del denaro di
destinazione ignota sia servito a pagare i politici del pentapartito per la
legge Mammì del 1990 sull’emittenza: quella che consente a B. di tenersi
tutt’e tre le reti Fininvest in barba a qualunque minimo principio antitrust.
Lo testimoniano i responsabili della Fiduciaria Orefici, che aiuta il Cavaliere
a foraggiare il conto All Iberian: il dirigente Fininvest Mario Moranzoni
confidò loro che “i politici costano, c’è in ballo la Mammí”. Per le presunte
tangenti Fininvest in cambio di quella legge, la magistratura romana indagherà
Gianni Letta e Adriano Galliani, ma l’ufficio Gip guidato da Squillante negherà
il loro arresto, e l’inchiesta finirà nel nulla.
Le
Fiamme Sporche
Nel 1989 il responsabile servizi fiscali
della Fininvest, Salvatore Sciascia, altro ex finanziere passato alla corte del
Cavaliere, si libera di una verifica fiscale a Videotime (la società Fininvest
che racchiude Canale5, Rete4 e Italia1) versando ai finanzieri una tangente di
100 milioni di lire. Lo stesso fa nel 1991 con 130 milioni scuciti per
ammorbidire un’ispezione a Mondadori. E poi nel 1992 con altri 100 milioni per
una visita delle Fiamme Gialle a Mediolanum. E ancora nel 1994 con 50 milioni
perché i finanzieri chiudano un occhio, o possibilmente due, durante un
blitz disposto dalla Procura di Roma e dal Garante per l’editoria sulla reale
proprietà di Telepiù: che, se dovesse risultare ancora in mano a B. tramite i
soliti prestanome (così com’è nella realtà), porterebbe al-l’immediata revoca
delle concessioni per Canale5, Rete4 e Italia1. Ma anche quella volta i
finanzieri corrotti se ne vanno con gli occhi bendati. Nel ’94, appena un
sottufficiale confessa a Di Pietro di aver ricevuto parte di una tangente
Fininvest, esplode lo scandalo Fiamme Sporche, che in poche settimane porta
all’arresto di un centinaio di finanzieri corrotti e all’incriminazione di
oltre 500 imprenditori e manager corruttori (il Gotha dell’imprenditoria
milanese). Confessano quasi tutti. Tranne uno: Silvio B., che non può ammettere
nulla perché è appenadivenuto presidente del Consiglio. Sciascia dice che ha
fatto tutto per ordine di Paolo Berlusconi, Silvio non c’entra nulla. Intanto
l’avvocato Berruti chiama l’ex collega Corrado (quello dell’ispezione del
1979), ormai in pensione, perché tappi la bocca sulle mazzette Fininvest il
capobanda, colonnello Angelo Tanca. E così avviene. Quando il pool Mani Pulite
ha pronta la richiesta di cattura per Sciascia e Paolo, il governo di Silvio
vieta la manette per corruzione col decreto Biondi. È il 14 luglio ’94.
L’Italia si ribella, Bossi e Fini si defilano, B. è costretto a ritirare
il decreto a furor di popolo, così finiscono dentro Sciascia, Paolo, Corrado e
Berruti. Il quale, si scopre, prima di orchestrare il depistaggio è volato a
Roma per incontrare il premier a Palazzo Chigi. La prova che ha fatto tutto
Silvio, non Paolo. Di qui l’invito a comparire durante la conferenza Onu di
Napoli e poi il processo. Primo grado: condannati Silvio e Sciascia, assolto
Paolo. Appello: prescritto Silvio, condannato Sciascia. Cassazione: condannato
Sciascia, assolto per insufficienza di prove Silvio, perché potrebbe essere
stato Paolo, che però non può essere riprocessato una volta assolto. La prova
contro Silvio potrebbe, anzi dovrebbe fornirla Mills, sentito come testimone al
processo: purtroppo è stato corrotto con 600mila dollari e mente ai giudici,
salvando il Cavaliere.
9
processi aboliti per legge
Ma le tangenti c’erano, e quello che il
gruppo Berlusconi ha da nascondere alla Guardia di Finanza è più che evidente.
Lo dimostra la miriade di processi nati da quei fondi neri negli anni 90,
quando i giudici e i finanzieri corrotti iniziano a scarseggiare. Non potendoli
neutralizzare a monte a suon di mazzette, B. li cancella a valle con una
raffica di leggi ad personam: falso in bilancio, condoni fiscali ed ex
Cirielli. Risultato: 2 processi fulminati perché il reato non c’è più,
cancellato dall’imputato (All Iberian-2 e Sme-2) e 8 caduti in prescrizione.
L’ultimo, per il semplice decorrere del tempo, sulla divulgazione
dell’intercettazione della telefonata segreta e rubata tra Fassino e Consorte.
Gli altri 7: corruzione del giudice Metta per la sentenza Mondadori e caso All
Iberian-1 per i 23 miliardi a Craxi (prescritti grazie alle attenuanti
generiche); falsi in bilancio Fininvest anni 90; altri falsi in bilancio per i
1550 miliardi di lire di fondi neri sottratti al consolidato col sistema All
Iberian; fondi neri nel passaggio del calciatore Lentini dal Torino al Milan;
corruzione giudiziaria del teste Mills (prescritti grazie al-l’ex Cirielli);
appropriazioni indebite e i falsi in bilancio e la gran parte delle frodi
fiscali sui diritti Mediaset (prescritti grazie al combinato disposto della
legge sul falso in bilancio e all’ex Cirielli). I reati superstiti, e cioè le
frodi fiscali del 2002 e 2003, per un totale di 7 milioni di euro (su un totale
di 360 milioni di dollari, ormai evaporati), sono miracolosamente giunti in
Cassazione per la sentenza definitiva del 1° agosto prima della solita
falcidie.
Sarebbe questo il sintomo di una politica
debole e di una giustizia forte? E che c’entra, con questa fogna, la politica?
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