da: Il Fatto
Quotidiano
Banche e furbetti, la bomba Zaleski minaccia Intesa
Sanpaolo e Bazoli
I big del credito italiano hanno prestato 6,7 miliardi di
euro all'amico franco-polacco del presidente dell'istituto milanese per giocare
in Borsa, nonostante la legge vieti di concedere finanziamenti per acquistare
titoli propri. Ma il valore delle azioni è precipitato. Ed adesso è arrivato il
momento della resa dei conti: l'istituto di credito rischia un buco di 800
milioni
di Giorgio Meletti
Romain Zaleski è
un uomo spiritoso, e da questo articolo capirete anche che ha tutte le ragioni
per essere allegro. Il 7 febbraio scorso, festeggiando il suo ottantesimo
compleanno, ha dichiarato al Giornale di Brescia che lo celebrava: “Non mi
sento affatto un finanziere, non ho conoscenze della finanza moderna”. Se
non seguite con attenzione le cronache finanziarie faticherete a
credere che questo sia il beffardo autoritratto dell’uomo a cui la
maggiori banche italiane hanno prestato 6,7 miliardi di euro per
giocare in Borsa. Proprio così: sei miliardi e settecento milioni di euro,
pari a circa l’uno per cento di tutti i prestiti delle banche
italiane a circa 2 milioni di imprese, secondo l’austero Sole 24 Ore.
Un pasticcio che rischia di andare fuori controllo, ora che alla
vigilia di Ferragosto le banche creditrici hanno cominciato a litigare.
Il pentolone sta per esplodere
Questa
autentica follia ha cominciato a rivelarsi tale nell’autunno del
2008, con l’inizio della grandecrisi finanziaria mondiale. Ed
era inevitabile. Io ti presto 6 miliardi, tu compri azioni per 6 miliardi.
Ma se le azioni cominciano a scendere? I tuoi pacchetti valgono sempre
meno ma i debiti sempre di 6 miliardi restano. E così è successo. Le grandi
banche, Intesa Sanpaolo e Unicredit in testa, avendo
la coscienza sporca, hanno cominciato cinque anni fa a buttare la
sporcizia sotto il tappeto, più precisamente sotto la celebre collezione di
tappeti persiani di Zaleski. Speravano che le azioni risalissero. Invece
sono andate sempre più giù e adesso siamo alla resa dei conti. Unicredit e
Intesa vanno verso lo scontro. E il pentolone sta per esplodere.
All’origine ci fu
uno scandaloso aggiramento dell’articolo 2358 del codice civile,
che vieta alle banche di prestare soldi per comprare proprie azioni. Fingendo
la mano sinistra di non sapere cosa faceva la destra, Unicredit ha prestato a
Zaleski i soldi per comprare azioni di Intesa Sanpaolo, Intesa gli ha prestato
i soldi per comprare Montepaschi, Montepaschi gli ha prestato i soldi per
comprare Ubi Banca, e Ubi Banca gli ha prestato i soldi per
comprare Mediobanca.
Zaleski, di origine
franco-polacca, era noto in Francia come tesoriere del partito Udf
del presidenteValery Giscard D’Estaing. Una trentina d’anni fa si è trasferito
in Italia, e si è radicato tra Milano e Brescia, dove si è legato, con
solidissima amicizia, al presidente di Intesa Giovanni Bazoli. Tutti hanno
sempre pensato che l’acquisto del 5,9 per cento del capitale della prima banca
italiana fossedecisivo per consolidare l’assetto proprietario che da
sempre esprime la leadership di Bazoli. Ma Bazoli ha
sempre negato con decisione qualsiasi sua influenza nelle
scelte d’investimento di Zaleski. Che cinque anni fa era un vero re dei
salotti, azionista importante, oltre che di Intesa, anche di Ubi, Montepaschi,
Mediobanca, A2A e Assicurazioni Generali. Quando la crisi ha fatto
sentire i suoi primi effetti, due banche straniere, la Royal Bank of
Scotland e Bnp Paribas, si sono affrettate a battere cassa facendosi
ridare i loro 1,6 miliardi di esposizione complessiva e se la sono data a
gambe. Le banche italiane, in silenzio, hanno dato il loro assenso, forse
pensando che era meglio non aprire polemiche. E si sono tenute il buco del
giocatore di bridge che non sa niente di finanza.
L’inizio della guerra vera
Bazoli a quel punto ha
preso Pietro Modiano, direttore generale di Intesa che era in rotta con
l’amministratore delegato Corrado Passera, e l’ha mandato a fare il
presidente della Carlo Tassara, la scatola di Zaleski che contiene i
debiti e le azioni. Il programma era di vendere al meglio e con calma
le azioni in portafoglio per recuperare quanto più possibile e
limitare i dannidelle banche. Dopo cinque anni di terapia il
quadro è ancora sconfortante. I debiti si sono ridotti a 2,4
miliardi, ma le azioni in portafoglio valgono poco più di un miliardo. La Carlo
Tassara non ha ancora fatto il bilancio 2012, perché non lo può fare: con i numeri
attuali dovrebbe semplicemente portare i libri in tribunale, e quindi ha
chiesto alle banche creditrici di trasformare parte dei crediti
in capitale, per tenere in piedi la baracca.
E qui comincia
la guerra vera. Perché se vi è sembrato incredibile che abbiano
prestato 6 miliardi e rotti a una persona fisica per giocare in Borsa, vi
sembrerà ancora più incredibile che in questi cinque
anni gestiti da una successione di accordi di ristrutturazione del
debito detti standstill (in italiano: io non ridò i soldi alle banche e le
banche non me li chiedono) Zaleski
ha continuato a comandare sulla Carlo Tassara attraverso i suoi uomini, guidati
da Mario Cocchi. E così Modiano ha trovato continui ostacoli nel tentativo
di vendere i pacchetti azionari. Tanto per dire, c’è ancora un 1,7 per cento di
Intesa, che vale 400milioni, ma cinque anni fa si poteva vendere a un miliardo
tondo se non si fossero temuti effetti secondari
sugli equilibri della maggiore banca italiana.
E così, all’ennesima
richiesta di proroga avanzata da Modiano, quelli di Unicredit si
sono stufati. Il numero uno, Federico Ghizzoni, ha fatto scrivere una
letteraccia in cui si intima in sostanza di smettere di menare il can per
l’aia. C’è una spiegazione: all’inizio Intesa e Unicredit erano esposte
per 1,7 miliardi a testa. Oggi Intesa è ancora fuori di 1,2
miliardi, Unicredit solo di 500 milioni. E il credito della banca di
Ghizzoni e quasi totalmente assistito da garanzie reali, mentre
quello di Intesa è senza garanzie per quasi un miliardo. Già, la
banda di Bazoli (che però ha sempre detto di non saperne niente, scaricando
la responsabilità su Passera) ha dato i soldi a Zaleski senza
chiedere garanzie. E adesso rischia di restare con il cerino in mano. Per
questo Ghizzoni vuolechiudere alla svelta la partita, Bazoli no,
perché rischia di dover mettere in bilancio un buco di 800 milioni. Zaleski è dunque il nome della
prossima bomba che il capitalismo di relazione sgancerà
sulla già malconcia economia italiana e sulle sue banche.
Twitter @giorgiomeletti
Nessun commento:
Posta un commento