da: Corriere della
Sera
Twitter, boom di richieste di rimozione contenuti
Governi e aziende chiedono di eliminare contenuti
considerati coperti da copyright. A Twitter ma anche a Google
di Eva Perasso
Aumentano le richieste
di rimozione di contenuti da Twitter: addirittura, negli ultimi sei mesi,
sarebbero salite del 76% rispetto allo scorso anno quelle legate al copyright.
Link, immagini, video che non piacciono alle aziende, alle associazioni che
proteggono il diritto d’autore dei grandi gruppi editoriali e
dell’intrattenimento mondiale. O ancora: tweet che diffamano, account sui quali
vengono richieste informazioni circa la provenienza e i dati sensibili
dell’utente stesso. È questo il panorama tracciato dall’ultimo rapporto sulla
trasparenza del social da 140 caratteri, i cui dati sono stati pubblicati il 31
luglio 2013.
QUESTIONE DI COPYRIGHT
– Dal 1 gennaio al 30 giugno 2013 le richieste di rimozione di materiali su
Twitter per violazione del diritto d’autore sono state 5753: il 76% in più rispetto
al secondo semestre del 2012. Il totale riguarda oltre 22mila account diversi,
18mila tweet rimossi e quasi 4mila contenuti
fatti scomparire dal social
network dei cinguettii, per via di una violazione del DMCA, il Digital
Millennium Copyright Act, la legge americana che protegge il diritto d’autore
in Rete. Anche i dati di Google – che pubblica il suo rapporto sulla
trasparenza a partire dal 2011, mentre Twitter lo fa dal 2012 – confermano come
rispetto allo scorso anno l’attenzione al copyright si sia fatta pressante:
nell’ultimo mese Big G ha ricevuto e rimosso dalle sue ricerche oltre 14
milioni di link considerati fuorilegge, segnalati da oltre 2mila enti o aziende
diverse e riguardanti oltre 37mila domini internet. Si pensi che, l’ultima settimana
di luglio dello scorso anno, le segnalazioni erano di poco sopra al milione,
contro appunto i 14 milioni della scorsa settimana.
I RE DELLE RIMOZIONI –
A collezionare il maggior numero di richieste di rimozione, nel caso di
Twitter, sono le grandi associazioni di categoria e le società che aiutano le
aziende a monitorare le violazioni online: come Remove your media (su Twitter
@removepiracy), gruppo americano che ha tra i suoi clienti molti dei grandi del
cinema, dei videogiochi e del software, ma anche la RIAA, Recording Industry
Association of America, il gruppo di interesse che segue le etichette musicali
negli Stati Uniti. Nel caso di Google, la situazione è analoga ma all’ennesima
potenza, visti i grandi numeri del motore di ricerca: qui i re delle
segnalazioni si chiamano Bpi (unione delle etichette britanniche) e Degban,
altra società impegnata a punire per conto delle aziende chi non rispetta il
copyright (tanto che si usa dire “you’ve been degbanned”, sei stato degbannato,
giocando sulla parola ban). A ruota, dopo di loro (che lo scorso mese hanno
segnalato circa 3 milioni di URL da bandire a testa ) vengono nuovamente la
RIAA e tutte le grandi aziende dell’intrattenimento, da Fox a Paramount, da
Disney a Warner Bros, intervallate dai grossi numeri di Microsoft, Adobe e
molte aziende distributrici di software.
I DATI DEGLI UTENTI –
Sebbene i numeri siano inferiori, sono interessanti anche i dati che riguardano
le richieste su singoli utenti: aziende e lobby, ma anche e soprattutto le
pubbliche amministrazioni, chiedono ai social di svelare identità e fornire
dati sensibili sui proprietari degli account. Per Twitter il fenomeno è
soprattutto americano: su 1157 richieste, oltre 900 arrivano proprio dagli Usa.
La motivazione è legata ai controlli antiterrorismo, ma anche a persone
scomparse oltre ad alcuni casi richiesti dai giudici rispetto ai manifestanti
di Occupy Wall Street. Per Google i numeri sono diversi, e i dati (aggiornati
però solo a fine 2012) parlano di oltre 21mila richieste di informazioni
personali a fine anno scorso, di cui 846 riguardano il nostro Paese.
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