La musica è nota: per abbattere il
mostruoso debito pubblico italiano, ormai stabilmente sopra quota 2 mila
miliardi di euro, non si può fare a meno di cedere i “gioielli” rimasti in
pancia allo Stato. Peccato che le condizioni di mercato, oggi come non mai,
mettano il governo di fronte al rischio di una maxisvendita, destinata a
soddisfare gli appetiti di molti gruppi esteri. L’esecutivo guidato da
Enrico Letta, assiduo frequentatore di centri di potere internazionale come
Aspen e Trilateral, non fa nomi precisi. Ma espone chiaramente le sue
intenzioni, per esempio nella recente Agenda per la crescita predisposta per
dare un segnale all’Europa e agli investitori. E che segnale.
Il
piano
“Per le società partecipate pubbliche”, vi
si legge, “il proseguimento dei processi di vendita sarà realizzato sulla base
di valutazioni che terranno conto di molteplici fattori, tra i quali la
strategicità delle partecipazioni per l’economia nazionale (come ad esempio per
i settori dell’energia o della difesa), e la convenienza economica della
vendita”. Ora, nei settori dell’energia, a livello statale, i big di cui il
governo ha partecipazione residue sono Eni ed Enel. Quando si parla di difesa
il riferimento è a Finmeccanica. L’esecutivo, senza
citarle ma riferendosi ad
esse, usa naturalmente parole prudenti. E spiega, sempre nell’Agenda, che
“occorrerà confrontare i risparmi, in termini d’interessi connessi con
l’abbattimento del debito, con il flusso di dividendi annui distribuiti dalle
società partecipate”. Insomma, Letta e il ministro dell’economia, Fabrizio
Saccomanni, predicano cautela. Nel frattempo, però, il tema vendita-svendita è
in agenda.
Società
locali
Per fare cassa, poi, si punterà anche alla
cessione delle società partecipate dagli enti locali. Il documento governativo,
sul punto, dice che “un beneficio consistente potrà derivare anche dalle
operazioni di dismissione di beni e partecipazioni degli enti territoriali,
alcune in fase già avanzata di realizzazione”. E qui il perimetro si fa anche
più largo, visto che gli enti locali hanno società che fanno di tutto,
dall’energia alla gestione di infrastrutture come autostrade e aeroporti (vedi
l’articolo in basso nella pagina accanto). In questo campo i più grandi comuni
d’Italia sono coinvolti in processi di dismissione per fare cassa. E purtroppo,
come dimostrano i casi delle aste andate recentemente deserte e dei conseguenti
ribassi, il rischio svendita è massimo.
Immobili
Infine l’Agenda per la crescita cita le dismissioni del patrimonio immobiliare, in un momento in cui il mercato è praticamente ai minimi termini. Qui tutto dovrebbe ruotare intorno a Invimit, la sgr del Tesoro che dovrà gestire fondi immobiliari a cui anche gli enti locali potranno apportare il loro asset. Secondo un recente studio dell’economista Edoardo Reviglio si tratta di una partita potenziale di 370 miliardi di euro.
Infine l’Agenda per la crescita cita le dismissioni del patrimonio immobiliare, in un momento in cui il mercato è praticamente ai minimi termini. Qui tutto dovrebbe ruotare intorno a Invimit, la sgr del Tesoro che dovrà gestire fondi immobiliari a cui anche gli enti locali potranno apportare il loro asset. Secondo un recente studio dell’economista Edoardo Reviglio si tratta di una partita potenziale di 370 miliardi di euro.
Telecom,
un boccone per Madrid
Quando si parla di appetiti esteri su
aziende italiane non si può fare a meno di citare Telecom Italia. Del resto le
prossime settimane saranno decisive per capire il futuro della società guidata
da Franco Bernabè. Il tutto ruota intorno a Telco, la cassaforte che detiene il
22,4% del gruppo. Ebbene, nella holding la partecipazione di maggioranza, ovvero
il 46%, è in mano agli spagnoli di Telefonica, mentre il resto è diviso tra
Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali, soci finora chiamati a difendere
l’italianità dell’azienda tlc. Peccato, però, che nel portare avanti i loro
piani di maggiore orientamento sul core business, Mediobanca e Generali abbiano
già comunicato di voler uscire dalla cassaforte. Intesa Sanpaolo, invece, è
ancora possibilista. Insomma, ci sono i presupposti per un via libera alla
conquista di Telecom da parte degli spagnoli di Telefonica? La situazione non è
così semplice, perché in realtà Telefonica vorrebbe tenere in piedi Telco, e
questo per evitare sovrapposizioni con il business sudamericano degli spagnoli.
E’ infatti appena il caso di ricordare che Telecom detiene una partecipazione
pesante in Tim Brasil.
Per questo, nei giorni scorsi, Telefonica
avrebbe offerto ai tre soci italiani 800 milioni di euro per rilevare parte
delle loro quote e convincerli a rimanere in Telco. Ma, come detto, per
Mediobanca e Generali non sembra esserci nulla da fare. Il termine per
comunicare le disdette al patto, a questo punto, scadrà il 28 settembre
prossimo. Subito dopo, il 3 ottobre, si terrà un consiglio di amministrazione
decisivo. In ballo, peraltro, ci sono le sorti di un gruppo sul quale gravano
ancora 40 miliardi di debito. E l’eterno spettro di una conquista straniera.
Corea
e Giappone alla conquista dell’universo Ansaldo
È un vento che soffia sempre più forte
da Oriente. Al centro degli appetiti esteri, e certo non da ora, c’è un po’
tutto l’universo Ansaldo, in pratica il business civile che fa capo a
Finmeccanica. Tra gli obiettivi c’è sicuramente Ansaldo Energia, tra i primi
gruppi al mondo nella produzione di centrali elettriche. Ebbene, dopo vari
tentativi portati avanti in passato dai tedeschi di Siemens, adesso la società,
controllata al 55% da Finmeccanica e al 45% da First Reserve, è un boccone che
interessa soprattutto al gruppo coreano Doosan. I contatti nei mesi scorsi sono
stati molto intensi, anche se di recente il governo Letta ha provato a frenare
il processo chiamando in causa la salvaguardia dell’italianità, non si sa con
quale effettiva convinzione. Anche Ansaldo Breda e Ansaldo Sts, che si occupano
della costruzione di treni e di sviluppo dei sistemi di trasporto, stanno
attirando gli appetiti esteri. In questo caso in pole c’è l’interesse dei
giapponesi di Hitachi.
I
tedeschi atterrano a Venezia
L’amore della Germania per le bellezze
artistiche del Belpaese cresce sempre di più. Al punto che per sentire ancora
più vicine le città d’arte italiane adesso i tedeschi puntano a comprarsi anche
i nostri aeroporti. E’ quello che sta accadendo in questi giorni allo
scalo di Venezia, gestito dalla società Save. Ebbene, a farsi avanti con una
certa insistenza, ma senza ancora uscire allo scoperto, è stato il gruppo
tedesco Fraport, ossia la società che gestisce l’aeroporto di Francoforte, uno
di più imprtanti di tutta la Germania. Save, al momento, è controllata al
40% dalla finanziaria Agorà, che a sua volta fa principalmente capo a Generali,
Finint e a un fondo della banca americana Morgan Stanley. Fraport, dal canto
suo, avrebbe affidato a Mediobanca il compito di esplorare la situazione e
capire quali sono i margini di movimento. Il blitz tedesco sulla società che
governa l’aeroporto di Venezia, peraltro, nei giorni scorsi ha anche provocato
la reazione del presidente del consiglio, il quale ha preso posizione dicendosi
favorevole al mantenimento del controllo italiano su Save. Dietro la quale,
come detto, c’è anche Finint, la finanziaria guidata da Enrico Marchi che
partecipa al patto di sindacato insieme a Generali e Morgan Stanley.
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