da: La Stampa
Cinema, autunno caldo ma non per gli italiani
Dopo un'estate difficile, aumentano gli incassi (+41%) anche grazie al 3D, mentre deludono le nostre pellicole
di Fulvia Caprara
L’autunno del cinema italiano non è né caldo né eccitante.
In controtendenza con i dati sulla ripresa generale (8317 milioni di biglietti
venduti, pari a +34% rispetto al settembre scorso, e quasi 57 milioni di euro
di incassi, cioè più 41% rispetto al settembre 2011), i nostri film non
incantano e non incassano. La quota dei titoli nazionali (per biglietti
venduti) si attesta, nel periodo che va da gennaio a settembre 2012, al 23,71%,
contro il 36,29% dei primi nove mesi dell’anno passato. In pratica si passa dai
25,6 milioni del 2011 ai 14,7 milioni di quest’anno. E non è colpa (o merito)
del solito, invincibile cinema americano, perchè, stavolta, crescono anche le
quote di mercato dei titoli britannici e francesi. E allora bisogna provare a
capire, chiedersi perchè anche film importanti e belli come Reality di Matteo Garrone, vittorioso al Festival di
Cannes, e come Bella addormentata di Marco
Bellocchio, non siano riusciti a portare a casa i risultati sperati: «C’è da
riflettere - dice Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica e gran capo di Cattleya
-. Bisogna pensare al tipo di film che stiamo facendo. Se in questo momento
l’immagine del nostro Paese ci fa schifo, è chiaro che si tenda a rifuggire da
tutto il cinema che rimanda quell’immagine. Non si ha voglia di andare a
rivedere sullo schermo quello che leggiamo sui giornali e che non ci piace
affatto». Il punto di svolta, osserva Tozzi, risale a dicembre scorso «cioè a
quando si è insediato il governo Monti e abbiamo capito come siamo messi».
Insomma, nella vita vera non c’è proprio niente da ridere e allora chi ha
voglia di andare a soffrire anche al cinema? «È necessario riaprire il dialogo
con un pubblico che ha bisogno di venire rincuorato, di ritrovare fiducia, senza
essere preso in giro». Quindi non commediacce sguaiate, ma «storie, anche
dolci, che abbiano un senso, e film d’autore che si aprano alle sensibilità del
pubblico». Se fossimo in politica, aggiunge Tozzi, «diremmo che dobbiamo
riguadagnare il centro abbandonato». E il centro, nelle sale, significa anche
«cinema di genere firmato dagli autori, un sentiero che non è stato più
battuto». Poi, naturalmente, ci sono i problemi strutturali, «la diminuzione
del numero delle sale nelle città» e il flagello della pirateria, e quelli
strategici: «Da tempo c’è l’abitudine di far uscire, tra settembre e ottobre, i
film più difficili, e invece, dopo il vuoto estivo, bisognerebbe ricominciare
in un altro modo, evitando di affollare le sale dei titoli che arrivano da Venezia
o da Cannes. Il risultato non esaltante del film di Garrone mi fa pensare che
questa tesi abbia un fondamento».
L’altra prospettiva d’analisi riguarda la platea. Il capo
di Taodue Pietro Valsecchi, che l’altro giorno, durante la conferenza stampa del
Festival di Roma, si è alzato in piedi per dire che «il vero problema sta nel
fatto che il cinema italiano non incassa nulla», pensa soprattutto ai giovani:
«I ragazzi che vanno in sala con i tablet in mano vogliono trovare quei
contenuti oppure no? Ho visto i film di Garrone e di Bellocchio e li ho trovati
bellissimi, ma io ho 60 anni, siamo sicuri che c’è ancora chi regge quel
linguaggio?». Valsecchi pensa anche a politiche di «diversificazione dei prezzi
dei biglietti, per esempio ridurre da 4 a 8 il costo per gli studenti». A
Natale, con il marchio Taodue, uscirà il nuovo capitolo dei Soliti idioti e per il prossimo ottobre, annuncia ancora
il produttore, è previsto il ritorno di Checco Zalone: «Non è vero che la gente
non va al cinema perchè c’è la crisi, Batman lo
vanno a vedere eccome, il punto sta in ciò che si racconta. Il mondo non ci
riconosce, i contenuti proposti dal nostro cinema non funzionano nè qui nè
negli altri Paesi». Tutto da rifare? Sì, iniziando, proclama Valsecchi, dalle
«cricche che hanno diviso il nostro cinema in base alle invidie invece che ai
meriti». E poi «sradicando la nomenclatura, i critici che pensano di essere i
capitani del cinema e invece non sono più seguiti da nessuno». L’autocritica è
fatta, adesso bisogna passare all’azione.
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