da: La Stampa
Freddie
Mercury, il fascino immutato del grande ingannatore
Al
centro di un libro che lo riscopre, di un documentario e di un film prodotto da
De Niro con Sacha Baron Cohen
di Piero
Negri
Dieci giorni prima di morire, Freddie
Mercury dettò al suo manager le ultime volontà riguardo all’eredità artistica.
«Puoi fare tutto quello che vuoi con la mia immagine, la mia musica, remixarla,
ripubblicarla, tutto, tranne rendermi noioso», disse. Bisogna ammettere che in
questi ventun anni (l’anniversario arriva tra un mese, il 24 novembre), eredi,
artistici e no, non l’hanno tradito, se non per alcuni improbabili ritorni
sulle scene che comunque hanno impegnato solo chi li ha voluti, e non il
fantasma del front-man dei Queen.
Per ridare vita al quale, ora arriva un
libro, The Great Pretender, in
Italia in uscita domani con l’editore Magazzini Salani (pp. 144, euro 29,80),
molto fotografico, che annuncia una riscoperta del personaggio su diversi
fronti. C’è un documentario, che a questo libro è collegato (e infatti porta lo
stesso titolo, The Great Pretender: l’ha trasmesso la Bbc e ora esce in
dvd), e - la notizia è recentissima - c’è la conferma di un film, prodotto
dalla società di Robert De Niro, le cui riprese cominceranno nel 2013 e la cui
uscita è prevista per un generico 2014. Confermatissima la presenza nel cast di
Sacha “Borat” Baron Cohen, che tempo fa raccontava di essersi proposto di
propria iniziativa per il ruolo da protagonista.
La figura di Mercury suscita ancora grandi
passioni, perfino al di là della sua eredità musicale e dei Queen, il gruppo
che ha fondato e di cui è stato il volto e la voce. È lo show, la vita come
spettacolo continuo, il rimanere sul palcoscenico fino all’ultimo sospiro a
renderlo immortale e a farlo nostro contemporaneo.
Pochi mesi prima della morte di Mercury, i
Queen pubblicarono l’albium Innuendo, nel quale, obliquamente, Freddie
annunciava la propria morte imminente. Con una canzone scritta con Brian
May,The Show Must Go On, destinata a lunga e solida popolarità, dettava le
condizioni al destino: «Il mio cuore si sta spezzando, il trucco si sta
squagliando, ma il sorriso resiste».
A Freddie Mercury era stato diagnosticata
la positività all’Hiv quattro anni prima. A lungo tenne la notizia per sé e per
gli amici più stretti, chiedendo loro di non toccare mai più l’argomento. Poi
ne parlò anche agli altri tre Queen, con cui riuscì comunque a pubblicare due
album e a registrarne un altro, che uscì postumo. Acquistò un sontuoso
appartamento a Montreux, che arredò e decorò pur sapendo che non sarebbe mai
stato in grado di abitarlo e invitò gli amici fino all’ultimo nei ristoranti
esclusivi che amava frequentare. Il 23 novembre venne diffuso un comunicato per
dire ciò che molti già avevano sospettato, ovvero che aveva l’Aids. Morì il
giorno dopo. «Freddie Mercury è morto in pace questa sera nella sua casa di
Kensington, Londra. La morte è stata causata da una broncopolmonite,
conseguenza dell’Aids», fece sapere il suo manager.
Freddie Mercury era nato con il nome di
Farrokh Bulsara a Stone Town, Zanzibar, in una famiglia indiana di origini
persiane e fede zoroastriana. Con Bob Marley fu la prima rockstar non
anglosassone a diventare un evento globale. Ma fu molte altre cose insieme, tra
i primi a giocare con l’identità sessuale, tra i primi a miscelare rock e canto
lirico, tra i primi a esprimersi in video oltre che in musica. Il tutto sepolto
sotto uno strato di trucco, nel segno di un sorriso disegnato con il rossetto
che non ha mai ingannato nessuno.
Nessun commento:
Posta un commento