da: la Repubblica
Addio
Seconda Repubblica, ma la Terza non c’è
di Ilvo Diamanti
È finita.
La Seconda Repubblica. Già superata da tempo, secondo alcuni. Eppure mai è
stato evidente come in questi giorni. Basta scorrere i sondaggi delle ultime
settimane. Da cui emerge la rapida devoluzione dei partiti e degli attori
politici che l'hanno "fondata". E su cui si è fondata. La Lega e il
Pdl. La Lega: galleggia intorno al 5%. Un dato, in effetti, non lontano da
quello ottenuto dal 1999 al 2006. Ma in grande calo dopo il 2008. Il Pdl è
ormai difficile da stimare, tanto appare fluido il suo peso elettorale.
Estensione di Forza Italia, il "partito personale" di Silvio Berlusconi è in costante discesa. Oggi, tra il 17% e il 15%. Secondo alcuni istituti: anche meno. La stessa Idv, il partito personale di Antonio di Pietro, simbolo di Mani Pulite, l'Anti-Berlusconi per definizione: è in difficoltà. Perde consensi. Come gli altri partiti della destra e del polo di centro. Tutti, ormai, al di sotto del 7%.
Gli
unici soggetti politici che oggi mostrino una spinta propulsiva sono il Pd e il M5S. Per ragioni diverse e opposte. Perché rappresentano, rispettivamente, il prima e il dopo - la
Seconda Repubblica.
Il Pd. Nato dalla fusione - difficile e ancora non risolta - dei principali soggetti politici della Prima Repubblica, Pci e Dc. Dopo essere sceso poco sopra il 20%, a inizio anno, è risalito progressivamente e, nell'ultimo mese, sensibilmente. Oggi è vicino al 29%. Il M5S. Difficile da definire, dal punto di vista del "modello di partito". Perché è un non-partito che ruota intorno a Beppe Grillo.
Inventore e detentore del marchio. Una "rete" di esperienze e liste
locali, che corre sulla "rete". È un soggetto politico contro i
partiti. Per la "forma" che ha assunto. E per i contenuti del suo
messaggio. Il M5S, oggi, è stimato oltre
il 18%. Secondo alcuni, il 20%.
L'altro "fenomeno" politico di questa fase è l'area grigia. Composta di elettori che non dicono e non sanno per chi votare. Provengono, soprattutto, ma non solo, da centrodestra. Dal Pdl e dalla Lega. Misura intorno al 45%.
Per questo è difficile negare che la Seconda Repubblica sia finita. Declinata, insieme ai soci fondatori. Insieme ai temi che l'hanno generata. La frattura centro-periferia e la questione settentrionale. Alla base della crisi dei partiti "nazionali" della Prima Repubblica. Soprattutto di quelli di governo. La Lega. Partito anti-romano, insediato nella provincia produttiva del Nord. Dal Veneto al Piemonte, passando attraverso il nord della Lombardia. Un soggetto politico pedemontano, più che padano. Silvio Berlusconi. Esterno ed estraneo alla grande e piccola impresa industriale. Alternativo, rispetto alla Fiat e agli Agnelli. Imprenditore e Uomo "nuovo". Portabandiera della "produzione dei beni immateriali" (come la definisce Arnaldo Bagnasco). Comunicazione, finanza, credito, assicurazioni. E mercato immobiliare - a sua volta connesso alla finanza e al credito. Un capitalismo che ha la sua capitale a Milano e nella Lombardia. Berlusconi e Bossi, Berlusconi e la Lega: hanno portato il Nord a Roma. Hanno conquistato la Capitale. Non solo il Parlamento. Ma anche dal punto di vista amministrativo. Visto che nel 2008 il centrodestra ha eletto il sindaco di Roma - Gianni Alemanno - e nel 2010 il governatore del Lazio - Renata Polverini. Esponenti di An (la Polverini, per la precisione, segretaria nazionale dell'Ugl). La Casa dei post-fascisti, sdoganati e legittimati da Berlusconi. Integrati nel Pdl. Il Partito che, oltre al Nord, ha conquistato Roma e il Sud. Ebbene, quella stagione è finita. La Seconda Repubblica è finita. il Berlusconismo è finito. Al di là dei sondaggi, lo dimostra la geopolitica del Paese e, in particolare, del centrodestra. Oggi, infatti, è impossibile evocare l'immagine di "Milano a Roma" (che ho utilizzato per commentare le elezioni del 1994 in un libro curato insieme a Renato Mannheimer, pubblicato da Donzelli). Banalmente: in quei luoghi il centrodestra si è perduto. Talora, dissolto. A Milano: governano il centrosinistra e il sindaco Pisapia. In Lombardia: la maggioranza guidata da Formigoni è implosa, travolta dagli scandali. Come la giunta del Lazio. Mentre l'amministrazione romana appare, anch'essa, in seria difficoltà.
Quanto
alla Lega, che esprime i governatori di Veneto e Piemonte, oltre
a numerosi sindaci e presidenti (pardon: commissari) di Provincia del Nord (e
non solo): arranca. Sfiancata, anch'essa, dagli scandali che hanno minato la
credibilità del suo leader carismatico - Umberto Bossi. Assai più della
malattia.
La crisi della Seconda Repubblica, dunque, riflette la crisi politica e geopolitica dei soggetti che l'hanno inventata e imposta. E, insieme, riproduce l'indebolirsi delle fratture che l'hanno generata. Per prima, quella territoriale. Che oppone la periferia al centro, il Nord produttivo alla Capitale dell'Italia assistita e sprecona. Milano e il Nordest a Roma. Oggi quella Repubblica è cambiata profondamente. La questione settentrionale è scivolata in penombra. Insieme al federalismo e all'allargamento dei poteri locali. Mentre è ri-emersa, prepotente, la frattura vecchio/nuovo. Che incrocia quella fra politica (partiti)/società (civile). All'origine della Seconda Repubblica. Oggi quella frattura ritorna. Ma investe coloro che l'avevano rappresentata - e intercettata - vent'anni fa. Trainata, come allora, dagli scandali sulla corruzione politica. Quasi una nemesi. Ne beneficia, per primo, il M5S. Un soggetto politico personalizzato e reticolare. Estraneo alla "frattura territoriale". Mentre il Pd risale, anzitutto, perché le sue tradizioni geopolitiche affondano nelle regioni rosse dell'Emilia Romagna e dell'Italia centrale. Oltre i confini della Seconda Repubblica. Tuttavia, il Pd beneficia anche del fatto che la questione vecchio/nuovo lo coinvolge direttamente. In quanto caratterizza e attraversa le primarie. Imposta da Renzi, rilanciata da Veltroni, raccolta da D'Alema e dagli altri leader del partito. Per primo: Bersani. (È probabile, semmai, che "dopo le primarie" questa congiuntura favorevole del Pd cessi.)
La crisi della Seconda Repubblica, dunque, riflette la crisi politica e geopolitica dei soggetti che l'hanno inventata e imposta. E, insieme, riproduce l'indebolirsi delle fratture che l'hanno generata. Per prima, quella territoriale. Che oppone la periferia al centro, il Nord produttivo alla Capitale dell'Italia assistita e sprecona. Milano e il Nordest a Roma. Oggi quella Repubblica è cambiata profondamente. La questione settentrionale è scivolata in penombra. Insieme al federalismo e all'allargamento dei poteri locali. Mentre è ri-emersa, prepotente, la frattura vecchio/nuovo. Che incrocia quella fra politica (partiti)/società (civile). All'origine della Seconda Repubblica. Oggi quella frattura ritorna. Ma investe coloro che l'avevano rappresentata - e intercettata - vent'anni fa. Trainata, come allora, dagli scandali sulla corruzione politica. Quasi una nemesi. Ne beneficia, per primo, il M5S. Un soggetto politico personalizzato e reticolare. Estraneo alla "frattura territoriale". Mentre il Pd risale, anzitutto, perché le sue tradizioni geopolitiche affondano nelle regioni rosse dell'Emilia Romagna e dell'Italia centrale. Oltre i confini della Seconda Repubblica. Tuttavia, il Pd beneficia anche del fatto che la questione vecchio/nuovo lo coinvolge direttamente. In quanto caratterizza e attraversa le primarie. Imposta da Renzi, rilanciata da Veltroni, raccolta da D'Alema e dagli altri leader del partito. Per primo: Bersani. (È probabile, semmai, che "dopo le primarie" questa congiuntura favorevole del Pd cessi.)
Così
assistiamo alla conclusione della Seconda Repubblica. Ma la Terza non è ancora cominciata. Il Nuovo ordine politico e geo-politico: è
tutto da tracciare. Per ora (echeggiando Berselli),
siamo ancora un "Paese
provvisorio". Privo di confini e di riferimenti - sociali, ideologici
e religiosi - che diano orientamento e stabilità. Penso, per questo, che la consultazione del 2013 segnerà
un'elezione di svolta. Come nel 1994. Imprimerà, cioè, un mutamento profondo.
Del sistema partitico e delle logiche che orientano le scelte di voto. Sarebbe
opportuno, dunque, che fossero anche elezioni "costituenti". Per
evitare che la Terza Repubblica finisca come la Seconda.
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