da:
La Stampa
Corruzione i passi mancanti
di Vladimiro
Zagrebelsky
Il
testo di norme anticorruzione, per far approvare il quale il governo ha dovuto
porre la questione di fiducia in Senato e così superare incredibili resistenze,
ha subito incontrato forti critiche. Insufficiente ed anche controproducente,
si è detto, con qualche buona ragione. E’ il versante penale di quel testo che
giustifica le critiche.
Il
fatto del pubblico ufficiale che abusa dei propri poteri o qualità per indurre
altri a dare o promettere denaro o altra utilità, non sarà più punito come concussione
con la pena massima di dodici anni, ma con quella minore di otto anni di
reclusione.
La
pena massima non ha in generale grande importanza nelle sentenze di condanna,
essendo estremamente raro che i giudici fissino la pena sul massimo. Ma conta
invece per stabilire i termini di prescrizione, che, per effetto della
diminuzione della pena, si riducono da quindici a dieci anni. Nel sistema
italiano, che già ha lunghi tempi processuali, la prescrizione del reato
comincia a correre dal momento in cui questo è commesso (e non da quando se ne
ha notizia e iniziano le indagini) e questo tipo di reati resta solitamente a
lungo sommerso e viene a galla occasionalmente, nel corso di altre indagini, a
distanza di tempo. Si comprende quindi la gravità dell’abbreviazione dei
termini di prescrizione, che favorisce il loro
maturare prima che si esauriscano tutti i gradi del giudizio. Non solo, ma le leggi più favorevoli agli imputati si applicano immediatamente anche ai fatti precedenti, con il risultato che gravi processi in corso finiranno nel nulla. Dalle convenzioni internazionali cui l’Italia è legata, pare ricavarsi che, come per la corruzione, occorra punire anche chi, indotto ma non costretto, paga il pubblico ufficiale concussore. E ciò è stato previsto dalla nuova norma.
maturare prima che si esauriscano tutti i gradi del giudizio. Non solo, ma le leggi più favorevoli agli imputati si applicano immediatamente anche ai fatti precedenti, con il risultato che gravi processi in corso finiranno nel nulla. Dalle convenzioni internazionali cui l’Italia è legata, pare ricavarsi che, come per la corruzione, occorra punire anche chi, indotto ma non costretto, paga il pubblico ufficiale concussore. E ciò è stato previsto dalla nuova norma.
Ma
tutti gli organismi internazionali chiedono insistentemente all’Italia di
punire «efficacemente» corruzione e concussione e deplorano l’alta percentuale
di prescrizioni, che rendono nulla la repressione di questi crimini. Rispetto a
quest’obbligo che ci deriva dagli impegni internazionali (ma non dovrebbe
essere necessario il richiamo esterno!), la riforma peggiora il problema. E
l’esito che produrrà sui processi in corso giustificherà polemiche velenose.
Per il futuro è possibile che la nuova norma spinga verso qualche distorsione
applicativa e che per non punire il privato concusso (e così indurlo a
collaborare e non coprire il concussore) si tenda a vedere una «costrizione» in
quella che invece potrebbe essere solo una robusta «induzione» e contestare
quindi il più grave reato di concussione per costrizione. La riforma ora
introdotta sarebbe senza effetto, ma lascerebbe il danno di discussioni senza
fine e forse un problema in più nelle mani dei giudici.
Quanto
alle varie ipotesi di corruzione, le pene massime sono state aumentate,
cosicché d’ora innanzi per tutte sarà ammesso l’essenziale mezzo d’indagine
rappresentato dalle intercettazioni. Alla pena massima, infatti, è legata anche
la possibilità o il divieto di ricorrere alle intercettazioni. Ma non si è
provveduto a reintrodurre un’efficace repressione penale del falso in bilancio.
Il falso in bilancio consente di creare le disponibilità di denaro «in nero»,
necessarie per corrompere. Le indagini e l’efficace repressione della
corruzione passano quindi anche per quelle del falso in bilancio.
Infine
l’introduzione nel sistema penale italiano del reato di «traffico di influenze
illecite» non sembra poter contrastare efficacemente un fenomeno deleterio. Si
tratta del fatto di chi sfrutta le sue relazioni con il pubblico ufficiale per
fungere da intermediario in relazione ad atti che questi deve compiere nei
confronti di altri. Ma per la punizione è stato richiesto che il mediatore si
faccia pagare o promettere qualche vantaggio patrimoniale. Che debba trattarsi
di vantaggio patrimoniale costituisce un limite molto forte, poiché esclude il
semplice scambio di favori, magari non contemporanei e non previsti, esclude
l’essere «a disposizione». Esclude la raccomandazione. Ed è condizione non
richiesta dalla Convenzione penale contro la corruzione del 1999 che l’Italia
ha finalmente ratificato nel giugno scorso e che parla semplicemente di
«vantaggio indebito». Si può capire che il Parlamento fosse preoccupato di far
della raccomandazione e della intermediazione un reato. Quanta parte
dell’attività di «cura del collegio elettorale» si traduce proprio in questo,
per mantenere ed allargare il consenso elettorale? Ma l’estensione della
corruzione, grande e piccola, eccezionale o quotidiana, mette radici proprio
nel costume di forzare, aggirare le regole eguali per tutti e trasformare i
poteri pubblici in occasione per gratificare gli amici o gli amici degli
amici.
E’
passata praticamente inosservata la parte del testo approvato dal Senato che
non riguarda la materia penale e che pure potrebbe rivelarsi di grande
importanza. Si tratta di una minuziosa previsione di modifiche e integrazioni
delle norme che regolano il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. E’
impossibile qui dar conto di tutte le innovazioni. Esse si raggruppano in vari
filoni che riflettono la volontà di assicurare trasparenza all’agire
dell’amministrazione pubblica, di tutelare in qualche modo il pubblico
dipendente che segnala gli illeciti che sono commessi nell’amministrazione, di
rendere i dirigenti responsabili dell’attuazione di piani di prevenzione della
corruzione. Si vieta poi che i funzionari pubblici assumano incarichi in
conflitto d’interesse rispetto all’amministrazione cui sono addetti, e si escludono
dalla nomina a posizioni di dirigente pubblico e dalle commissioni per
l’accesso ai pubblici uffici o per la gestione di fondi pubblici coloro che
hanno subito condanne anche non definitive per reati contro la pubblica
amministrazione ed anche, per un certo periodo, chi ha svolto funzioni
politiche. Si prevede infine la incandidabilità per un certo lasso di tempo al
Parlamento o in enti locali in conseguenza di certe condanne passate in
giudicato.
Una
parte di queste nuove disposizioni di legge sarebbero inutili se elementari
criteri di buona amministrazione e di correttezza intervenissero
spontaneamente. Ciò vale evidentemente ad esempio per le candidature al
Parlamento proposte dai partiti. Non tutto ciò che le leggi consentono è, oltre
che legale, anche lecito e opportuno. Quello ora introdotto è un insieme di
norme molto complesso, che rischia di appesantire il funzionamento della
amministrazione pubblica, se si ridurrà a un’attuazione puramente burocratica.
Ma è possibile invece che contribuisca a «drammatizzare» una questione, quella
della lotta quotidiana alla corruzione, che deve proprio essere sentita come
una drammatica questione nazionale, che riguarda la democrazia, il rispetto per
i cittadini, la dignità del servizio pubblico. Non solo, come ora si usa
sottolineare, per l’impatto che ha sul Pil, importante, ma non unico metro
della qualità di una società.
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